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Gian Galeazzo e la Peste |
![]() Mentre Gian Galeazzo era al vertice della sua potenza e si preparava ad ampliare i suoi territori ed il suo dominio sull'onda del successo politico e militare, avvennero casi di peste a Monza ed a Milano nel 1393. Era una malattia infettiva contagiosa trasmessa dai roditori all'uomo, provocando febbre, cefalea, dolori. alle ossa, delirio e tumefazione delle linfoghiandole con evidenti bubboni. A Milano venne sospesa la festa di sant'Ambrogio in dicembre; chi potè‚ fuggì in Brianza o in campagna; il duca stesso si ritirò per un po' di tempo a Pavia. Egli poi scelse Melegnano come luogo sicuro, perchè‚ il castello, sulle rive del fiume Lambro, offriva una buona speranza di salute e di prevenzione dal contagio. Emanò un ordine: per le strade di Melegnano, Sant'Angelo, Belgioioso, Pandino, Cassano, Rivolta non dovevano passare i mercanti, perchè‚ tali terre erano state scelte per l'abitazione di lui e della sua corte. Per un po' di tempo fu sospeso il mercato del giovedì. In una lettera scritta da Melegnano l'8 dicembre 1400 ribadì la proibizione sui passaggi, ed allargò la zona proibita aggiungendo Pavia, Lodi, San Colombano. Sul ponte di Melegnano furono posti vistosi cartelli perchè‚ non si passasse verso Lodi nè‚ si entrasse da Lodi. Chi usciva dà Milano non poteva entrare in Melegnano, né in Binasco, nè‚ in Sant'Angelo nè‚ in altri luoghi sopra ricordati, ma doveva girare lontano. Contemporaneamente appariva in cielo una cometa, un fenomeno astronomico ben spiegabile oggi scientificamente, ma allora aveva un significato superstizioso di oscuro presagio di future disgrazie: inondazioni, terremoti, carestie, mortalità, guerre, cambiamenti di Stati, discordie e rivoluzioni. Mentre Gian Galeazzo era rintanato nel castello di Melegnano, venne tradotto da Pavia fino a noi qua, Niccolò da Uzzano, che era un prigioniero di guerra, cittadino di Firenze, il quale doveva testimoniare davanti all'opinione pubblica che Gian Galeazzo non aveva avuto intenzione di avvelenare il nuovo imperatore di Germania, Roberto di Baviera, avverso a Galeazzo ed amico dei Fiorentini, il quale annunciava una grande spedizione in Italia per punire il duca di Milano. Gian Galeazzo colpito dalla peste in Melegnano e sua morte Ma la peste non perdonò neppure il duca di Milano. Durante il mese di agosto del 1402 Gian Galeazzo si aggravò. Era assistito dalla moglie Caterina e dai figli Giovanni Maria e Filippo Maria. I medici Gusberto de' Maltraversi e Marsilio da Santa Sofia, chiamati i monarchi della medicina, furono al suo fianco. Vennero a Melegnano parecchi della corte ducale milanese: il conte Antonio d'Urbino, il conte Francesco Barbavara, che erano i consiglieri ducali; Giovannolo da Casate ed Antonio Crivelli, nobili; i cancellieri Giovanni da Carnago ed Antonio da Lucino. Ma il male divenne inesorabile: il duca, all'estremo delle sue forze, volle il priore degli Agostiniani di Pavia, Pietro da Castelletto. La mezzanotte del 3 settembre 1402 Gian Galeazzo moriva, all'età di 51 anni, nel suo castello di Melegnano, dove svanì per sempre il sogno altamente ambizioso di riunificare sotto le insegne viscontee molta parte d'Italia. La comunicazione ufficiale della morte così citava:"dum enim febres eum invasissent et interiectis spaciis aliquando remitterentur, interdum fierent fortiores, tandem pluribus ipsarum secutis accessibus, ad extremum deductus fuit". I melegnanesi per primi tributarono le esequie, poi la salma fu trasportata a Viboldone. A Milano i funerali furono splendidi. Infine fu sepolto alla Certosa di Pavia. Della sua morte si impadronì la leggenda: un diavolo non visto era entrato nel castello di Melegnano e stava in un angolo con sguardo cupo e bieco attendendo la sua preda, mentre per tutta la notte si scatenò dal cielo un forte acquazzone, con vento, tempeste, fulmini, quasi che il mondo avesse a disfarsi in quel momento. Il dominio fu diviso tra i suoi figli. Giovanni Maria ebbe il titolo ducale signoreggiando su Lodi, Milano, Melegnano, Cremona, Piacenza, Bobbio, Parma, Reggio, Bergamo, Brescia, Como, Siena e Perugia. Filippo Maria ebbe il titolo di conte di Pavia, Novara, Vercelli, Tortona, Alessandria, Verona, Vicenza, Feltre, Belluno, Bassano. Pisa e Cremona furono assegnate al figlio illegittimo Gabriele Maria. Ma Giovanni e Filippo erano ancora minorenni, per cui l'amministrazione di tutto il ducato e le azioni politiche furono dirette dalla madre col titolo di reggente, assistita da un Consiglio di Stato. Comunque la reggente Caterina seppe destreggiarsi. Ella a Melegnano aveva terre, oltre a quelle di Balbiano e di Colturano. Durante la sua reggenza mise in vendita la possessione detta le Cascine di Melegnano, che erano la Maiocca e la Maiocchetta. |
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