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Filippo Maria Visconti | ![]() |
![]() Filippo Maria Visconti aveva vent'anni quando si trovò alla testa del governo ducale. Avendo sposato in prime nozze la vedova di Facino Cane venne in possesso di beni e terreni, ed anche di una forte quantità di soldi. Mediante un'alleanza con i Genovesi, i Veneziani e la Savoia, attraverso azioni diplomatiche e promesse di denari, con le armi del condottiero Francesco da Bussone detto il Carmagnola, si assicurò il possesso di tutte quelle città che erano andate perdute: Lodi, Como, Trezzo, Piacenza, Brcscia, Bergamo, Vercelli, Bellinzona, e nel 1421 della stessa Genova. La potenza viscontea era, dunque, nuovamente accresciuta e diventata temibile, ed intorno a lei si andava formando una pericolosa rete infida di sospetti e di ostilità. Per frenare le sue ambizioni si formò una lega composta dai Fiorentini, Veneziani, Savoia, Stato Pontificio. Lo scontro frontale avvenne tra Milano e Venezia a Maclodio l'11 ottobre 1427. Il conte di Carmagnola, passato dalla parte dei Veneziani contro il duca milanese, inflisse una sconfitta grave e clamorosa ai Milanesi. Erano i primi colpi di piccone alla potenza ducale. Filippo Maria era disorientato per il comportamento dei suoi stessi capitani di ventura: ebbe perfino abboccamenti con il Carmagnola al quale aveva promesso in sposa la sua figlia Bianca Maria, ma era messo in guardia da ex amici del Carmagnola, uno di questi era il nostro Nicolò da Marignano che andava dicendo al duca di non fidarsi del Carmagnola. La Pace di Cremona nel 1441 portò una tregua tra i contendenti, Genova riotteneva l'indipendenza. Di fatto incominciò ancora una volta la decadenza del ducato, che era minacciato continuamente da una fortissima Venezia. Filippo Maria non ebbe figli maschi. La prima moglie, accusata d'adulterio, fu uccisa nel 1418. La seconda moglie, Maria di Savoia, fu la compagna della sua vita, ma senza prole. Dagli amori con Agnese del Maino nacque Bianca Maria che sposerà il condottiero Francesco Sforza nel 1441. Bianca Maria, come diremo, morirà in Melegnano l'anno 1468. I primi interventi per Melegnano Una prima tempestiva azione di Filippo Maria fu la proclamazione di un decreto con il quale si stabiliva che tutte le città del ducato, tanto del Seprio e della Bulgaria che della Martesana e della Bazana, ritornassero sotto la giurisdizione diretta del podestà e degli alti magistrati della città di Milano, come al tempo del suo defunto genitore, eccettuata Melegnano il cui capitano o vicario aveva il mero e mistero imperio (mero imperio: la facoltà di punire con la morte i colpevoli; misto imperio: la facoltà di punire con pene minori per reati minori). Di conseguenza i melegnanesi erano sotto l'ampio potere del capitano di Melegnano che era il vicario del duca per l'amministrazione e per il tribunale. Forse È la prima forma di autonomia che ebbe Melegnano, in quanto ecclesiasticamente si era ancora alle dipendenze di San Giuliano che era l'antica chiesa battesimale e capo di pieve. Il decreto visconteo sull'autonomia è del 1412. Quattro anni dopo il duca scrisse al Vicario di provvisione e ai Dodici di provvisione di far pubblicare che chiunque trasportasse mercanzie e bestie dalla città di Milano diretto a Lodi e territorio, o viceversa, dovesse transitare necessariamente per il territorio di Melegnano e non seguire altra strada, sotto pena del bando e della perdita delle mercanzie. Questo provvedimento fu preso per favorire le trattorie e le osterie che stavano sul percorso, molte delle quali erano controllate o tassate o gestite da amici del duca, e quindi rappresentavano una fonte continua di guadagno per le casse ducali. Un secondo motivo era costituito dalla certezza che nessuno potesse sfuggire al pagamento dei vari dazi che si dovevano pagare al passaggio di ponti e di vari incroci o punti fissi collocati su varie strade. La diretta dipendenza di Melegnano e i benefici ai parenti Sicuro del suo potere politico, Filippo Maria Visconti, tra le delibere di natura amministrativa e politica, ne ordinò diverse per ampliare la giurisdizione del podestà di Milano su alcune terre del contado, tentando di ricopiare lo schema e l'efficienza del padre, Gian Galeazzo. Però il territorio di Melegnano, che era già sottratto al podestà da diversi decenni, fu lasciato ancora in tale situazione amministrativa. Di conseguenza Melegnano, come già dicemmo, rimaneva sotto l'ampio ed unico potere del duca, il quale si serviva di un suo vicario per la normale amministrazione e per il tribunale. Si prolungava, cioè, la situazione di una certa qual autonomia o, per meglio dire, di sganciamento dalle norme burocratiche intermedie. Nel programma del nuovo assestamento del ducato milanese, per meglio consolidare la stabilità, dopo le amare esperienze politiche e militari, ma anche per rispettare alcuni patti, il duca Filippo Maria concesse in feudo ad alcuni suoi stretti familiari diversi fondi in Melegnano, Riozzo, Cerro, Bascape', Colturano, Balbiano, ed una località che era chiamata “Cascine di Melegnano”. Questa concessione creava la conseguenza che i suoi familiari beneficiati Giovanni, Francesco, Estore, Bernabò di Mastino, potessero riscuotere i tributi e gli affitti delle fattorie, delle cascine, delle case; avessero le entrate per l'uso dei torchi dell'uva, delle colombaie, di alcune rogge tra cui la roggia Spazzola. L'investitura, però, aveva alcuni limiti ben precisi, perchè‚ alcune tasse, il dazio, e specialmente il pedaggio che si doveva pagare passando sul ponte del Lambro rimanevano di stretto diritto del duca in persona. Ed era ovvio che il castello rimanesse sempre direttamente dipendente dal duca e non dai suoi parenti. Bisogna, comunque, ricordare che tutto questo avvenne già ai primi anni del dominio di Filippo Maria, cioè il giorno 10 aprile 1414. Tuttavia il duca non trascurava il potenziamento continuo della posizione melegnanese, sia nei primi anni fino agli anni più avanzati del suo governo, ne è un esempio l'ordine dato a Vanini de Ferraris di fare nella terra di Melegnano le provvisioni e le riparazioni opportune a miglior difesa del territorio. I parenti del duca a Melegnano I contrasti all'interno della famiglia Visconti erano sempre vivi, bisogna ricordare che i Visconti erano assai numerosi, e la maggior parte delle volte si litigava per il possesso di città, di paesi, di vecchi feudi, di ricchi privilegi. Per esempio, Francesco Bussone detto il Carmagnola stava assediando Monza per conto di Filippo Maria contro Valentina che era figlia di Bernabò. La lotta era quindi aspra. Ma Valentina, dopo un'accanita resistenza nella quale incitava gli assediati ad opporsi fermamente, dovette cedere nell'aprile del 1413, concludendo con il Carmagnola un trattato per cui i feudi nel territorio di Melegnano, già appartenenti a Bernabò, venivano restituiti. Alla presenza di Filippo Maria e dei suoi consiglieri fu steso il rogito il 10 aprile 1414, stilato dal notaio Catalano Cristiani. Furono restituiti i territori in Melegnano, Cerro, Riozzo, Cabiano, Colturano, Balbiano ed alcuni altri nei dintorni. Nel rogito si nomina la Spazzola, una località dal nome Calandrano, le Cascine di Melegnano (Maiocca e Maiocchetta). Questi beni furono restituiti a Giovanni di Lodovico, a Bernabò di Mastino, a Francesco ed ad Estore. Estore o Astorre, figlio naturale di Bernabò, fu il capostipite di un ramo della famiglia Insediata per oltre tre secoli sulle terre di Melegnano. Sua madre era della casata milanese dei Grassi e si chiamava Beltramola, amata da Bernabò. I Visconti sono nominati e registrati in Melegnano fino in pieno Settecento. A Melegnano sorgeva il Palazzo Visconti che è l'attuale edificio del bar Centrale in piazza Garibaldi. Alla chiesa del Carmine vi era una cappella dedicata ai Re Magi, alla cui sommità stava incisa l'arma dei Visconti. Sui resti del Ponte di Milano fino al 1745 vi era lo stemma visconteo; come anche tale stemma era dipinto sull'entrata del Castellazzo, ora Casa di Riposo. I rapporti tra il duca Filippo Maria e Melegnano I rapporti tra il duca Filippo Maria Visconti e la Comunità di Melegnano furono intensi: l'anno 1425 si presenta a noi come uno dei più interessanti per la frequenza documentata di legami, con una fitta serie di atti politici ed economici riguardanti direttamente Melegnano. L'anno 1425, dunque, avvenne un controllo minuzioso delle azioni e delle responsabilità del vicario capitano di Melegnano, sospettato di abusi e di corruzione; la revoca di tutte le deleghe ducali che erano state concesse al melegnanese Speziario Ribaldini; l'esenzione da ogni tassa per Maffeo da Muzzano: costui era figlio di Ambrogio detto Muriano di Muzzano il quale aveva ricevuto donazioni in terre dal precedente duca Giovanni arcivescovo per remunerarlo degli zelanti servizi, e Maffeo da Mozzano era il segretario ducale, proprietario di terreni in Melegnano e in Vittadone. Vi furono, nello stesso anno, diverse consultazioni tra il duca con Guidetto Coconato, uno dei più fidati consiglieri, alla presenza del cancelliere ducale Piccinino sulla situazione e sulla efficienza militare di Melegnano e dintorni. Fu pure spiccato l'ordine di stendere una esatta statistica ed una precisa portata dei danni dell'epidemia che nel 1425 stava decimando paurosamente le nostre stalle del Melegnanese; e per i sudditi vi era l'obbligo di arrestarsi in Melegnano, prima di entrare a Milano, per il controllo sanitario preventivo antipeste. Scrisse al capitano di Melegnano di liberare dalle carceri del castello Francesco Matteo di Forlì e il suo nipote che vi giacevano da lungo tempo: questi dovevano andare in Romagna, presso il commissario Luigi Crotto, versando una cauzione. Inoltre firmò un salvacondotto per diverse persone, concedendo la libertà di muoversi entro il ducato: tra questi vi furono Antonio de Meldula e Mariotto di Camerino che attestarono di essere immuni dalla peste, ma il duca li obbligò a fermarsi in Melegnano, perchè‚ prima di entrare in Milano avrebbero dovuto avere ancora altre istruzioni ducali. Verso la fine del 1425, il 12 ottobre, ordinava al capitano di Melegnano di restituire a Matteo da Tottis di Imola, già qui detenuto e per ordine ducale rilasciato dalla prigione, i venticinque ducati richiesti in pagamento dei giorni di carcere, ammonendolo severamente per tale abuso. Concesse, inoltre, la facoltà ai relativi fittabili di tagliare e di disboscare parecchie pinete attorno a Melegnano e a Colturano, con la severa proibizione di non toccare le piante di rovere ed i vivai novelli. Rilasciò un salvacondotto o passaporto per la durata di due mesi a Scaramuccia melegnanese, che era un ufficiale nell'esercito del marchese di Mantova, perchè‚ venisse a scolparsi di un omicidio a lui attribuito. Tra gli atti contrattuali vi sta la particolare concessione a Maria di Savoia, la sua seconda moglie, della riscossione del dazio delle merci che passavano sul ponte di Melegnano fino a reintegrarla della somma di 1105 ducati d'oro da lei prestati al marito, in data 2 gennaio 1442. La fine di Filippo Maria Visconti Si avvicinava la fine anche per il duca di Milano, colpito dalla malattia e dal fallimento dell'ultima avventura bellica contro Venezia che arrivò sotto le mura di Milano avendo invaso la Brianza, il Lecchese, il Comasco ed il Varesotto. I tormenti e l'angoscia della sconfitta diedero il colpo finale: morì il 13 agosto 1447 a cinquantacinque anni, ultimo duca della famiglia dei Visconti. Poche ore dopo la sua morte nasceva l'Aurea Repubblica Ambrosiana, con un Vicario e i Dodici di Provvisione, un Consiglio di 24 Capitani e difensori della libertà del Comune, la formazione di un'Assemblea di cittadini, il Consiglio generale dei Novecento: organismi politici supremi della nuova realtà milanese. |
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