Pellegrini, sulle orme di una Persona che ti riempie la vita. Con questo spirito, una cinquantina di persone, accompagnate dal loro parroco e da una buona guida, sono state in Terra Santa dal 15 al 22 ottobre 2009. Un’esperienza che per un credente è fondamentale, da praticare almeno una volta nella vita, ma per qualcuno era il terzo viaggio. Nella terra di Gesù tutto parla di lui in modo straordinario e ti tocca dentro perché si possono vivere anche fisicamente le pagine del Vangelo. Mettendo i piedi su quella terra da Lui santificata è impossibile per dei convinti credenti rimanere insensibili. Semmai la delusione arriva dagli uomini che ne hanno fatto oggetto di mercificazione e contrapposizioni per spartirsene ancora oggi le “vesti”, come succede nella grande basilica del Santo Sepolcro in Gerusalemme. Con la forza della fede però, si riesce a passare sopra i limiti umani.
Da Nazareth a Cana, dal Monte Tabor a Gerico, da Tiberiade a Betania in barca, dal Mar Morto al Giordano in pullman e a piedi: un pellegrinaggio è qualcosa di forte e ti fa comprendere che la fede è un dono da conservare e da coltivare. In Israele e in Palestina nessuno si è lamentato per la calura che ha toccato i 40° nel deserto di Giuda, essendo disagi marginali rispetto al significato dei luoghi. Gerusalemme e Betlemme, con Ein Karem e Betfage, sono soprattutto questi a catalizzare folle di pellegrini europei, ma non solo, perché si sono viste comitive provenienti dall’estremo oriente, segno che l’interesse trascende il richiamo turistico.
La terra di Gesù, così santa e così contesa, è anche segno delle contraddizioni umane. È abitata da gente che prega e nello stesso tempo si guarda in cagnesco, che talvolta perde la percezione del confine tra bene e male, tra solidarietà e spaccature, eppure basterebbe così poco per andare d’accordo. Che tristezza però quel muro, che si passa mostrando il passaporto davanti ai mitra spianati! Qui si percepisce che il messaggio evangelico ha ancora intatta la sua ragione di esistere perché il mondo ancora non l’ha accolto.
Per i pellegrini è stato anche un modo di sentirsi uniti nella solidarietà. A Betlemme è stato lasciato un aiuto concreto al Caritas Baby Hospital, l’unico ospedale pediatrico della Palestina che vive esclusivamente di ciò che passa la Provvidenza. La comitiva ha potuto toccare con mano una realtà che lascia il segno, e non è mancata la commozione di qualcuno di fronte a quei “gesùbambini”, solo che non si trattava di statuine del presepio, ma esseri bisognosi di cure e di attenzioni.
Sono stati momenti forti e significativi quelli vissuti visitando i luoghi di Maria, come non si è mai guardato se la chiesa era tenuta da ortodossi, cattolici, armeni, siriaci o copti, oppure se ci si trovava al muro del pianto o in una sinagoga. I cattolici sono un esempio di ecumenismo e non disdegnano di pregare silenziosamente nei luoghi riservati a confessioni diverse. In fondo, se Gesù Cristo e Maometto si sedessero attorno ad un tavolo andrebbero sicuramente d’accordo perché avrebbero in comune lo stesso Dio: il problema lo hanno i loro seguaci. Pregare insieme aiuta a sentirsi uniti nell’unica fede. È successo alla processione serale, con la recita del rosario poliglotta, alla basilica dell’Annunciazione a Nazareth.
Gerusalemme è il respiro dell’anima per chi vi si approccia con la sete di Dio. Tutto parla di Cristo e non c’è negozio del Suq e della città che non offra immagini sacre o corone del rosario, ma chi ha sete della sua Parola riesce a scorgere al di là della fisicità materiale qualcosa di molto più profondo, fondamentale. Ed è ciò che è successo a questi pellegrini i quali, guardando il sepolcro vuoto, hanno potuto sperimentare un po’ di quella “Gloria di Dio in Gesù Cristo” che è la speranza di tutti i credenti.
27 ottobre 2009 Mariano Berti
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