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Computers Gli ultimi asburgici
scritto inedito di: Milost Della Grazia e Machì Venera Milost
dalle stelle alle stalle
Alice Milost, nel frattempo, aveva fatto conoscere a suo fratello Emil la sua amica Esther Mladineo. Dopo poche settimane si sposarono. Emil aveva 26 anni, Esther 19 anni e come viaggio di nozze scelsero Brioni. Tornati a Trieste, vissero per qualche tempo in casa dei suoceri, finchè il 25 dicembre del 1919 nascevo in Aquedotto io, Edwin Milost. Tutti erano felici perché la guerra era finita, dopo un breve approccio con gli ufficiali italiani, mio padre decise di emigrare, ma un amico gli propose di andare con lui in Africa, a Libreville nel Gabon francese, dove si poteva guadagnare molto, coltivando e vendendo legnami pregiati come il mogano. per cui avrebbe potuto richiamare rapidamente nel Gabon la moglie ed il figlio. Il lavoro ed il guadagno non mancavano, ma la vita in Africa per una famiglia, era impossibile. Dopo cinque anni era ancora nel Gabon, ma dovette tornare a Trieste perché colpito da febbre gialla. Unica cosa buona, aveva guadagnato molto. Una volta guarito i medici gli proibirono di tornare in Africa e per qualche mese si accontentò di comandare modeste navi della Navigazione Libera Triestina in giro per il Mediterraneo. Ma guadagnava poco per cui decise di emigrare negli Stati Uniti per trovare un lavoro adeguato alle sue capacità e scelse il New Jersey negli USA , ma alle 11.30 del 24 ottobre del 1929, il famigerato giovedì nero, l’ attività di Wall Street, la borsa di New York, si fermò ed entro il martedì successivo, 14 miliardi di dollari erano andati in fumo e milioni di persone non avevano più una lira. Decine di persone si uccisero per aver perso tutti i loro averi. Mio padre non poteva prevedere la catastrofe. Quando lavorava nel Gabon, poteva inviare a mia madre una cifra notevole che le permetteva di vivere molto bene, ma durante la grande crisi, privandosi di tutto, non poteva neppure scriverle. Lui, pupillo dell’imperatore e comandante di sommergibili, durante la notte dormiva su una panchina al Central Park e durante la giornata si accontentava di piccoli lavori, come sostituire per qualche ora il comandante dei vaporetti nella baia di New York. Mia madre mi aveva portato in quella oasi di relativa tranquillità che era ancora Villa Perotti. Da un paio di giorni non stavo bene, ero febbricitante ed avevo male di gola. Sarei morto se il dottor Zoppolato non mi avesse iniettato il vaccino, perché avevo la difterite. Mia nonna stette giorno e notte accanto al mio letto, leggendomi qualche pagina del Cuore. Ma anche il sogno di Villa Perotti doveva finire. Dato che mio padre non poteva più aiutarci, Zia Gemma, grazie alle numerose lingue che parlava, fu assunta alla Pirelli come segretaria di un dirigente. Mia madre non voleva dipendere dai suoceri e, una volta a Milano, era alla ricerca di un lavoro. Trovò invece un amico, che conosceva molto bene, un giovane austriaco, laureato in legge, che era venuto a Trieste dopo la guerra, cercando un impiego. Le aveva fatto una corte discreta, ma poi, visto che si era sposata con mio padre, l’aveva perso di vista.
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