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Computers Gli ultimi asburgici
scritto inedito di: Milost Della Grazia e Machì Venera Milost
Zio Winfrid
Questo suo ammiratore, Wienfrid Aichner, era nato ad Abfaltersbach, piccola cittadina della parte austriaca della Val Pusteria, a pochi chilometri da Dobbiaco. Parlava molte lingue, suo padre era stato professore di greco antico all’Università di Vienna, dove lui si era laureato in Economia e Commercio. Un’importante ditta di Vienna aveva aperto una succursale a Milano, con uffici in piazza della Repubblica e con tre fabbriche, una a Romano di Lombardia, una in Piemonte ed una a Roma, delle quali era consigliere delegato. Mentre mia madre a Milano stava cercando un lavoro, incontrò Wienfrid, che le chiese di sposarlo. Mia madre, stanca di una situazione senza prospettive, accettò. In Italia non esisteva ancora il divorzio, ma un avvocato le procurò la cittadinanza ungherese e si sposò con Wienfried Aichner. L’avvocato poi fece deliberare il matrimonio dal tribunale di Venezia. Zio Winfrid, così lo chiamavo io, passava le sue ferie sempre in Val Pusteria. Mia madre amava il mare, ma non poteva pretendere che suo marito rinunciasse alla sua Pusteria dopo un anno di lavoro. Lei era la negazione di qualunque tipo di sport, si accontentava di passeggiare lungo la Rienza, mentre io seguivo zio Wienfrid nelle sue scalate. Durante la guerra aveva combattuto contro gli italiani come Kaiserjegher, l’alpino austriaco, e durante queste scalate portavamo sempre con noi il cane di zio Wienfrid, uno splendido Doberman, che diventò il terzo cane della mia vita. Di me, una volta, mia madre disse: se tu fossi suo figlio, lui sarebbe il padre migliore di questo mondo. Di lei zio Wienfrid mi diceva sempre: per me la cara mamma ha sempre ragione, anche quando ha torto, per cui sappiti regolare nei miei confronti. Non ero felice e loro avevano bisogno di intimità e cercarono più volte di convincermi ad entrare all’Accademia Navale di Livorno, ma avevo capito che quella vita non andava bene per me, nonostante che mio nonno, mio padre e vari zii fossero stati nel passato alti ufficiali della marina austro-ungarica. Anche l’ammiraglio Brivonesi, comandante dell’Accademia, mi definì pecora nera di una famiglia di marinai. Per mia fortuna questa decisione mi salvò la vita, perché tutti i miei compagni di corso morirono a Capo Matapan nell’imboscata a sud di Creta che l’ammiraglio inglese Cunningham, con l’aiuto del decodificatore di Churchill, aveva loro teso mandando a picco mezza flotta italiana. Dopo l’ esperienza negativa di Livorno, mi iscrissi a medicina, ma dopo i primi esami, scoppiò la seconda guerra mondiale che io ormai vedevo come una liberazione. Mi arruolai volontario e zio Wienfrid, da bravo austriaco molto religioso, mi fece numerose croci sulla fronte e sul petto. Appena sbarcato in Albania a Valona, il cappellano, prima di spedirci al fronte, fece inginocchiare tutto il battaglione, dandoci l’assoluzione di tutti i peccati in articolo mortis. Sarà stata questa oppure le croci di zio Wienfrid, ma dopo cinque anni di guerra, di battaglie, di ferite, di assalti alla baionetta, ero tornato a casa vivo e in buone condizioni. Non ho capito se per il Signore non ero ancora abbastanza maturo per passare ai piani superiori, oppure aveva ragione il Duce quando sosteneva che la fame, il freddo e le sofferenze patite in Albania avrebbero rinforzato la nostra razza. Finita la guerra, il mio primo pensiero fu quello di superare tutti gli esami, laurearmi e trovare una clinica dove lavorare.
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