All’alba del 7 ottobre del 1571, approfittando del vento favorevole, Alì Pascià ordinò di alzare le vele, convinto di andare ad affrontare un nemico inferiore come numero e come mezzi.
Di fronte aveva Don Giovanni con la sua ammiraglia. L’aveva riconosciuto perchè aveva alzato il vessillo del Papa .
Venti miglia più a nord, a forza di remi per la mancanza di vento, avanzava il grosso della Lega santa che aveva al centro le 64 galee
spagnole di Don Giovanni, tutte con vessillo azzurro.
Era domenica e tutto il personale della flotta, dall’ammiraglio all’ultimo soldato, ascoltarono la messa, si confessarono e comunicarono.
« Mi ricordo il drammatico inverno del 1940 sul fronte greco-albanese. Appena scesi dagli autocarri, che ci avevano trasportati da Valona a Tepeleni, prima di spedirci in prima linea e di darci una minestra calda, un cappellano militare ci fece inginocchiare e ci confessò in “articolo mortis”.»
Verso le otto del mattino la vedetta sulla coffa di una Galea siciliana di don Juan de Cardona lanciò l’allarme.
« due vele latine in vista ».
Tutti corsero sui ponti per vedere le vele.
La distanza tra le due flotte era di circa 15 miglia , due ore di navigazione, il tempo giusto per fare gli ultimi preparativi.
Il giorno della battaglia sul pennone dell’ammiraglia doveva sventolare il vessillo del Papa.
Fece distribuire un cibo migliore, dei biscotti e del buon vino a tutto il personale di bordo. Convocò il consiglio di guerra, ripetendo che non era il momento di discutere, ma di lottare. Consigliava i vari nobili a prepararsi, perché tra breve tempo avrebbero dovuto dimostrare il loro valore. Dovette dare una calmata al duca di Bracciano ed ai suoi turbolenti fedeli, i quali, in attesa di buttare in acqua i turchi, per scaldarsi i muscoli volevano dare una spolverata a qualche nobile nostrano. Poi Don Giovanni indossò la sua armatura migliore e
per ultimo si di imbarcò su una veloce barchetta a remi per passare in rivista tutta la flotta, tenendo in alto il crocefisso che impugnava come fosse una spada.
Salutò i capitani chiamandoli tutti per nome. risalito sulla ammiraglia, appariva soddisfatto e di buon umore. L’approssimarsi della battaglia lo rendeva euforico.
I marinai, infine, spalmarono con sebo i ponti della nave per far scivolare il nemico in caso di arrembaggio. La sua euforia contagiò gli equipaggi che si lanciarono in un ballo collettivo per sfogare la loro tensione. La flotta nemica era ad un paio di miglia. Improvvisamente il vento invertì la sua direzione, le vele dei turchi si afflosciarono, mentre si gonfiavano quelle della Lega Santa. Il fatto fu salutato come un segno della protezione divina.
A dare il via alla battaglia fu un colpo isolato di cannone, sparato dall’ammiraglia turca. Don Giovanni rispose con una cannonata. Quando le galeazze si trovarono al centro della formazione nemica, sembrò che esplodessero come una polveriera.
Più di duecento cannoni avevano aperto il fuoco insieme, decine di unità furono colpite ed affondate, i veneziani attribuirono un ruolo decisivo alle galeazze che in effetti svolsero un ruolo importante nel combattimento. Verso la fine, le due ammiraglie si scontrarono di prua, con un urto terribile. I turchi tentarono l’abbordaggio, ma furono imbrigliati dalle reti e respinti dalle scariche di quattrocento archibugieri.
A fare precipitare gli eventi a favore delle armi cristiane fu un fattore inaspettato. Cogliendo l’occasione della sorveglianza allentata, gli schiavi cristiani di una galea turca, riuscirono a liberarsi dai ceppi e raccogliendo le armi dei caduti si gettarono nella mischia.
La battaglia sul lato sinistro veneziano stava per terminare,
Al centro, attorno alle due ammiraglie di Don Giovanni e di Alì, incastrate con la prora, si imbrigliarono una trentina di galee, sulle quali infuriava una lotta disperata tra frecce e scariche di archibugio.
Il duca di Bracciano non perse il momento, con i suoi mercenari, saltava con la spada in mano terrorizzando i turchi che fuggivano da lui, mentre intorno alla Real si stava svolgendo una sanguinosa battaglia. La Galea toscana si lanciava all’arrembaggio della ammiraglia turca . Durante la battaglia emersero Alessandro Farnese, che si lanciò con duecento suoi famigli su una galea nemica, che si arrese subito, per cui catturarono una nave intatta.
Un altro combattente eccezionale fu Miguel de Cervantes, che si distinse sulla galea Marquesa. Nella mischia riconquistò l’onore perduto anche Paolo Ghislieri, il nipote scioperato di Paolo V.
A bordo delle due flotte nessuno rimase inoperoso, parteciparono alla lotta anche gli uomini di chiesa, in particolare, il frate Anselmo
da Pietramolara. Dopo aver respinto due volte gli attacchi dei giannizzeri, i cristiani passarono al contrattacco e i primi a saltare sulla Galea Sultana, furono gli archibugieri del terzo reggimento di fanteria Sardegna, tra i quali figurava anche un combattente travestito, cioè, Maria la Bailadora, che fu tra i primi a balzare sulla coperta infilzando la spada in un turco che voleva affrontarla.
Alì Pascià, circondato dalla sua guardia personale, si batteva come un leone con ogni tipo di arma.
Alì, vistosi perduto, si gettò con la sua Galea contro Don Giovanni, ma un colpo di archibugio lo uccise con in pugno la scimitarra. La sua morte demoralizzò i superstiti, i cristiani strapparono via la bandiera verde di Allah, gridando, vittoria! vittoria!
I soldati e i galeotti cristiani liberati, si gettarono su di un bottino impressionante per le ricchezze che conteneva, in quanto, Alì Pascià si portava dietro sempre tutti i suoi tesori.
Alle quattro del pomeriggio di domenica sette ottobre 1571, la battaglia era finita, nel mare c’era una immensa distesa di cadaveri. Il mattino dopo Don Giovanni, riunì il consiglio di guerra per fare il punto della situazione. Della flotta turca erano riusciti a fuggire soltanto quaranta galee, centoottanta erano state affondate, trentamila turchi erano stati uccisi e diecimila furono fatti prigionieri.
La Lega aveva perso in tutto quattordici galee, settemila soldati caduti, dei quali quattromilaottocento veneziani. I galeotti cristiani liberati erano quattordicimila, dei quali, diecimila italiani.
Pio V, il papa, salutò il ritorno di Don Giovanni d’Austria, con le parole del Vangelo, “ E ci fu un uomo mandato da Dio chiamato Giovanni”.
Il 1°ottobre del 1578 Don Giovanni d’ Austria ricevette gli ultimi sacramenti e morì poco dopo in delirio, gridando ordini in una immaginaria battaglia.
Il suo cuore fu sepolto a Namur e il suo corpo riposa all’Escorial di Madrid accanto alla tomba di suo padre Carlo V d’Absburgo.
|