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Storia e Mitologia

scritto inedito di: Milost Della Grazia
Mosè
Alcuni millenni a. E. V. numerosi nomadi di ceppo semitico erravano per quella vasta zona che tutti gli storici definiscono culla della nostra civiltà, che va praticamente dalla valle del Nilo alla catena dei monti Zagros, ad oriente della Mesopotamia. Circa quattromila anni fa alcune tribù guidate da capi carismatici monoteisti migrarono a sud nella terra di Canaan. Di tanto in tanto questi nomadi, a causa delle carestie, erano sospinti verso le più ospitali terre orientali del Delta del Nilo, dove intorno al 3000 a.E.V. i villaggi, fino ad allora indipendenti, si erano costituiti in un unico stato con il re Menes, il quale si autonominò “Signore delle Due Terre”, cioè dell’Alto e del Basso Egitto, rappresentati nei geroglifici da una pianta (Alto Egitto ) e da un’ape (Basso Egitto). Dopo qualche anno i re si fecero chiamare “Faraoni “, parola che vuol dire “casa grande” e designa il palazzo reale e chi lo abita, il re Faraone, che aveva un grande potere in quanto padrone di tutta la terra d’Egitto e supremo regolatore delle piene del Nilo, dalle quali dipendeva la vita dei suoi sudditi. Dopo circa diciassette secoli una parte consistente di tutte le tribù di Israele emigrarono pacificamente nella zona del Delta del Nilo, chiamata Gosen. Fino a quando regnarono i faraoni Ramsess I e Seti I furono anni d’oro per Israele e fu il periodo in cui, in seguito alla riconciliazione di Giuseppe con i sui fratelli, Giacobbe con l’intera famiglia e tutti i loro beni ed il bestiame si trasferirono in Egitto nel fertile paese di Gosen. Le cose cambiarono sotto Ramsess II, che non aveva alcun motivo per considerare gli ebrei come suoi sudditi privilegiati, ma, soprattutto, aveva in mente grandi progetti per la costruzione di una nuova capitale, Pi-Ramsess e di una città commerciale, Pitom. In realtà gli ebrei conservarono tutti i loro diritti e le loro proprietà e Ramsess all’inizio si limitò ad imporre loro un certo numero di ore lavorative gratuite per la fabbricazione dei mattoni necessari per la costruzione delle due città (nota 1). Il faraone, in realtà, era preoccupato per il gran numero di ebrei che nascevano e temeva che un giorno potessero essere più numerosi degli egiziani stessi, per cui ordinò alle levatrici ebree di tenere in vita solo le femmine e di uccidere i maschi. L’Egitto cominciava a sgretolarsi perchè stava diventando una società fossilizzata, le cui maggiori energie erano dirette alla erezione di insensati monumenti alla vanità umana. Quello che faceva andare in bestia gli egiziani era la constatazione che gli ebrei trovavano forza e consolazione nel loro Dio, per loro puro spirito, mentre i loro maestosi dei non procuravano a loro alcuna soddisfazione. Fu così che, in pieno declino, gli egiziani concepirono contro gli ebrei un odio demenziale. In questo calderone di odio, circa nel 1550 a.E.V. nacque Mosè. Sua madre Iochebed, appartenente alla tribù dei Levi, per salvarlo dal genocidio decretato dal Faraone, dopo averlo tenuto nascosto per tre mesi lo depose su di un arca di papiro fra le canne lungo la riva del Nilo, dove la figlia del Faraone lo trovò e gli diede il nome Mosè, cioè “salvato dall’acqua”. Grazie alla saggezza della madre e della sorella Miriam, entrambe al servizio della figlia del Faraone, fu allattato ed allevato dalla propria madre e poi adottato come figlio suo dalla figlia del Faraone, che lo fece istruire secondo le scuole egiziane. Fin quasi a venti anni il mondo di Mosè era limitato ai confini del palazzo reale e del tempio. Era diventato un bel giovane, sempre sbarbato, con la pelle profumata di oli costosi, indossava la bianca tunica dei principi reali e alla corte del Faraone aveva imparato le arti della guerra e del comando. Mosè ormai aveva quarant’anni e cominciò a chiedersi perchè doveva vivere in tutto quel fasto mentre il suo popolo soffriva. Un giorno, mentre per caso passava vicino un’area in costruzione, vide un sovrintendente egiziano frustare brutalmente uno schiavo ebreo esausto. Infuriato per tale crudeltà, percosse a morte l’egiziano e seppellì il corpo nella sabbia. Il giorno dopo apprese che qualcuno lo aveva visto uccidere l’egiziano e pertanto decise di andarsene per un pò di tempo dall’Egitto e si rivolse a suo fratello Aaronne che lo indirizzò a un certo Ietro che viveva nel Median, zona abitata da tribù semi-nomadi provenienti dall’Arabia Saudita, che avevano imparato a sopravvivere in questa terra di nomadi. Non è escluso che Aaronne lo abbia accompagnato da questo Ietro e così Mosè diventò un pastore. Aveva imparato molte cose, tra le quali la più importante è saper trovare acqua nel deserto e dopo qualche tempo sposò la maggiore delle figlie di Ietro, Zippora, che gli partorì due figli, Ghershom ed Eliezer. . Spesso con il gregge si allontanava molto dalle tende dove abitava e una volta gli apparve l’angelo di Geova che gli parlò dalla fiamma di un roveto, poi Dio lo chiamò: Mosè, Mosè, io sono il Dio di Abraamo e di Isacco, vai dal faraone e fai uscire il mio popolo dall’Egitto. Ma Mosè era titubante, come faceva ad andare ora dal faraone ? E disse a Geova: Sono balbuziente e non riesco a parlare correttamente. Questo faraone si aspettava regali, parlava di magia, voleva le prove che Geova era più forte del loro Dio. Il problema dell’egiziano ucciso era ancora aperto oppure era caduto in prescrizione ? Mosè continuava a sollevare obiezioni a Geova, chiedendogli di essere dispensato dall’impresa. Anche se questo suscitò la Sua ira, Dio non rigettò Mosè ed alla fine gli diede Aaronne, suo fratello, come portavoce, dicendogli: come Mosè era profeta di Dio, guidato da Lui, così Aaronne dovrà essere guidato da Mosè. Geova volle anche, per chiarezza, precisare che la fama di legislatore d’Israele che Mosè si era fatta, non era corretta, in quanto le leggi erano state da Lui dettate a Mosè sul monte Sinai e Mosè le aveva trasmesse al popolo di Israele, illustrandole adeguatamente, facendo le cose come Lui gli aveva comandato. Da questo punto continuerò il racconto dell’esodo e lo concluderò, come fece Kurosava nel suo film Rashomon; dopo un prologo comune, con due due epiloghi, uno conforme alla Bibbia, libro sacro per eccellenza ed un secondo epilogo, per quelli che rispettano l’ermeneutica, parolone difficile per indicare l’arte di interpretare i testi sacri, cioè per quelli che non rinunciano alla loro qualifica di eredi dell’homo sapiens sapiens e credono solo a quello che è razionale, quindi non credono ai miracoli, neppure a quello di San Gennaro.
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