Medio Oriente o Asia Minore con tale nome vengono designati i paesi dell’Asia occidentale, dall’Iran alle coste orientali del Mediterraneo. In quella regione dell’Asia Minore chiamata Mesopotamia e “ Mezzaluna Fertile “ le prime tracce umane risalgono al paleolitico medio e superiore, quando gli archeologi inglesi rinvennero alle falde dei monti Zagros tre scheletri di Homo sapiens neanderthalensis. Nello stesso tempo, grazie alle numerose “ tell “
( collinette ) sparse un po’ ovunque, rinvennero anche i resti di alcune comunità che risalivano alla cosiddetta “ rivoluzione neolitica”, momento in cui in questa regione germogliarono le prime civiltà sumeriche e
l’ homo sapiens sapiens divenne anche ’homo religiosus e da nomade diventò dapprima sedentario, poi agricoltore ed abile nell’addomesticare animali e nel forgiare il ferro per creare strumenti da lavoro.
Fu in questo periodo che si diffuse in tutto l’oriente il culto fallico del toro.
Nel secondo millennio, avvenimento storico fondamentale, Geova si rivelò ad Abramo, erede di Noè e lo scelse come capostipite del popolo d’Israele, promettendogli che avrebbe moltiplicato il suo seme come i granelli della sabbia e Geova diventò “ il Dio di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe “.
A quei tempi la Mesopotamia era divisa in tante piccole città-stato rette da re con metodi teocratici. La loro lingua era la più antica tra quelle in uso a quei tempi. Le città più note della Caldea, parte meridionale della Mesopotamia, erano Ur, Uruk e Erudu, ad oriente Umma e Lagasli, al centro Adali e Nippur. ed a nord Kish ed Eshnunna, tutte città-stato a popolazione linguisticamente mista e spesso in guerra tra di loro. Durante gli scavi archeologici trovarono un grande numero di tavolette d’argilla, sulle quali, qualcuno molto meticoloso, aveva registrato, cinquemila anni fa, le cose più disparate, come il numero delle pecore e delle capre da vendere o da acquistare o argomenti di grande interesse letterario, come
“ l’epopea della creazione e l’ epopea di Gilgamesh”.
Il primo personaggio che nel 1700, partendo da Venezia, compì un viaggio, visitando Istambul, Bagdad, Damasco ed Aleppo, fu l’italiano Pietro della Valle, il quale, tornato a Roma, descrisse i vari monumenti e le numerose iscrizioni cuneiformi che aveva accuratamente ricopiato, delle quali dimostrarono grande interesse il professor T. Hyde di Oxford ed il tedesco Georg F. Grotefend.
Il primo a presentare una buona traduzione della scrittura cuneifome fu l’inglese H. Creswicke Rawlinson e da allora in Europa nasceva un grande interesse per queste civiltà mesopotamiche. Iniziarono gli scavi a Nimrud, città costruita nel 1879 a.C. da Assurbanipal, che portarono alla luce numerosi pannelli di pietra con incisioni figurative di animali e scritte cuneiformi , materiale finito tutto al British Museum di Londra. Tra i numerosi altri studiosi che si interessavano di questi Assiri, vi era anche George Smith, uno sveglio ragazzino, il quale, da incisore di matrici per la zecca, diventò un grande esperto di questa scrittura cuneiforme, tanto che il proprietario del “ Daily Telegraph “ gli finanziò nuovi scavi a Ninive, dove il giovane Smith trovò tavolette che parlavano di una Genesi della creazione e una storia del diluvio molto simili a quelle della nostra Bibbia. Dall’insieme di tutte queste tavolette e dai frammenti più grandi gli studiosi hanno ricostruito il “mito di Gilgamesh“ (12 tavolette di Ninive ), “ il mito della creazione caldea “ ( 7 tavolette di Ninive ) e la cosiddetta Tavoletta XI o del Diluvio, più altri miti cosiddetti brevi.
E’ interessante notare come queste tavolette d’argilla siano arrivate alla nostra osservazione, dopo tanti millenni, in condizioni eccellenti rispetto ai rotoli di papiri che si frantumano quando si tenta di srotolarli.
Di Gilgamesh ha scritto recentemente anche il noto biblista, monsignor Gianfranco Ravasi, presentando il suo libro “Breve storia dell’anima”. Egli parla dell’eroe mesopotamico che naviga a lungo nel mare della morte per raggiungere l’isola dei Beati e racconta la storia di questo re, vissuto forse nel 2600 a. C. e passato ai posteri come costruttore di mura possenti e di templi.
Con lui si scontra un personaggio primitivo e selvaggio, Enkidu, ma lottando con Gilgamesh si trasforma in un insostituibile suo amico. .Quando Enkidu muore, Gilgamesh incontra una realtà a lui finora sconosciuta, la morte e inginocchiato davanti alla salma dell’amico, grida: qual sonno ti ha accolto ? Ma Enkidu non riponde e davanti al suo silenzio, Gilgamesh ruggisce come un leone.
Per sette giorni piange e scuote la salma, tenta di svegliare l’amico, ma la salma comincia a disgregarsi ed a Gilgamesh, per salvarlo, resta un’ ultima possibilità.
Partire e navigare nel mare della morte, alla ricerca dell’isola dei Beati, dove vive Utnapistim, l’uomo che gli dei avevano sistemato nel giardino del Sole, concedendo solo a lui la vita eterna. Per arrivare all’isola dei Beati, Gilgamesh, con la forza della disperazione, attraversa le foreste correndo, scavalca erte montagne e strette gole. Arrivato all’isola dei Beati, un “Caronte” lo conduce in una grotta dove incontra Utnapistim, che gli spiega come può salvare il suo amico:
Devi impossessarti di una piantina spinosa e profumata che cresce qua e là nel più profondo del mare e devi introdurla nella bocca della salma prima che la piantina appassisca. Gilgamesh con grande fatica riesce a impossessarsi della piantina e prima di iniziare il ritorno, depone per un attimo la piantina sull’erba per rinfrescarsi il volto. Mentre stà lavandosi, un serpente, attratto dal profumo della piantina, striscia sull’erba e la inghiotte in un attimo, sparendo nel bosco, inutilmente inseguito da Gilgamesh. Mentre piange sconsolato sente una voce lontana che dice: la vita che tu cerchi non la troverai mai, perchè gli dei, quando crearono l’uomo, in sorte gli dettero la morte e la vita la tennero per sè. Antico problema al quale Goethe dedicò il suo Faust e Bertold Brecht una lirica inserita nel suo “Libro di devozioni domestiche”.
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