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Computers Trilogia dell'amore
scritto inedito di: Milost Della Grazia
Il fascino di Trieste
Nel 1994, è morto a Trieste l’austriaco barone Goffredo De Banfield, asso dell’aviazione austriaca durante la prima guerra mondiale e rivale di Francesco Baracca. Suo padre, morto nella battaglia di Solferino, aveva salvato Francesco Giuseppe facendogli scudo con il suo corpo. Suo figlio Goffredo era diventato il pupillo dell’imperatore ed era il soldato più decorato dell’impero; l’ultimo con l’Ordine di Maria Teresa. Sulla carlinga del suo aereo c’era scritto: “all’amico il petto, al nemico la fronte”. Durante un combattimento aereo la mitragliatrice di Francesco Baracca, si inceppò. De Banfield comprese subito la situazione e da gran signore, fatto un gesto di saluto a Baracca, si allontanò con il suo aereo. Tra le sue reliquie c’era un fazzolettino di seta che gli aveva donato l’imperatrice Sissi. Era nato a Trieste, con gli amici parlava il triestino e si considerava un triestino. Volle morire ed esser sepolto in questa città.
Trieste fu molto amata anche da uno dei più grandi poeti moderni tedeschi, Reiner Maria  Rilke, ospite dal 1911 al 1912 dei principi Thurn und Taxis nel castelo di Duino. La splendida natura e il sereno ambiente gli ispirarono una delle sue opere più significative, le dieci Elegie Duìnesi, una specie di monologo con se stesso, che scrisse nella pace del suo studio.
Il nome del poeta  è rimasto legato al sentiero che va dal Castello di Duino  fino al golfo di Sistiana; sentiero che i triestini vollero chiamare sentiero Rilke o passeggiata duinese. Percorrere questo sentiero tipico della costiera triestina, senza fretta, in una fresca mattinata d’autunno quando il Carso si infiamma di rosso e di giallo per gli arbusti del sommaco e le foglie del terebinto, resterà un ricordo indelebile per la sua bellezza struggente..Il carso con le sue rocce, il mare a strapiombo, l’aria limpida ed una infinità di piante dai colori rari, rendono irreale lo scenario del castello di  Miramare. Rilke, affascinato da questa  vegetazione illirica, affermava nelle sue Elegie che l’uomo, nella sua effimera vita, è oppresso dall’angosciosa cognizione della morte e non riesce a vivere dentro la natura perché il tempo a sua disposizione è troppo breve e puo solo documentarne la realtà, mai compenetrarla. Questa notte ho letto le tue prime Elegie, gli scriveva Marina Cvetaeva dalla Russia ed il mio letto è diventato una nuvola. Per Marina, Rilke era la personificazione dello spirito poetico e l’incarnazione della sua Germania.
Il poeta le scriveva: mi è dolce indugiare in questo raccolto tepore, rintoccano trepide le ore come un lontano rimpianto, ripeti parole d’amore, ma piano piano, perché duri l’incanto.
Ogni tanto nonna Ottilia si concedeva una passeggiata fino a  Duino e camminavo davanti a lei  lentamente, guardando il mare, i fiori, di cui chiedevo il nome e gli uccelli che volavano sopra di noi. Questa era la flora illirica che Rilke prediligeva, le macchie di aceri, di frassini e di càrpini quercioli, che con le loro cime biancheggianti contrastavano con il verde scuro della flora mediterranea. Tra i ruderi di antichi castellieri preistorici crescevano le campanule, le centaure carsiche, protese sulle rocce verso il mare, gialle e preziose euforbie e ginestre di bosco, frutti di scotano, di !antana e di terebinto rosseggianti,. profumati rami di gialle clematidi, macchie di ginestre ed in cielo il corvo imperiale con le sue grandi ali nere ed il falco pellegrino volteggiavano sul mare, Tutti liberi,  perché non  vincolati al pensiero della morte. A quell’epoca avevo sette anni, ero troppo giovane per conoscere la poesia di Rilke.  Ogni tanto incontravamo qualcuno seduto  su di una roccia che contemplava il mare,  qualcuno che avrebbe potuto essere il poeta.
Tornavamo a casa verso il tramonto e si sfiorava il castello di Miramare con il suo grande parco. Nonna Ottilia mi  raccontava ancora una volta la tragedia dell’arciduca Massimiliano d’Abshurgo, fratello minore dell’imperatore, fucilato in Messico a Cerro de las Campanas nel 1867. La storia di Massimiliano e di Carlotta sconvolse Trieste che li considerava ormai suoi concittadini e  Carlotta impazzì per il rimorso di aver convinto Massimiliano ad accettare il trono del Messico.
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