La libreria di Saba è sempre lì, in via San Nicolò
al 30, piena di tesori che non puoi trovare altrove. Anche la villa
dove vive mia figlia appartiene al passato, con i quadri ed i
mobili antichi, che è quasi un peccato spolverare, perché
quella è la polvere della storia. Nel suo parco gli scoiattoli passeggiano
sugli alberi e le orchidee crescono tra l’erba per i semi portati dalla
bora dal vicino orto botanico. Anche la sfarzosa villa Sofia di mia cugina,
al di là dello stradone in via della Ginnastica, fa parte della
storia, perché Sofia era il nome di mia zia e di un’altra tragica
Sofia che qui abitava un tempo; quella uccisa a Sarajevo insieme a suo
marito, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli Absburgo.
Qui tutto appartiene ormai ad un passato che non esiste più, sono
rimasti i gabbiani che planano sull’acqua, è rimasto il colore dell’aria
e dei tramonti, i segni che le onde del mare imprimono sulle banchine,
è rimasto il fantasma di quello che una volta era la città.
Ma che cosa era un tempo Trieste ? Un crogiolo di italiani, sloveni, croati,
tedeschi, austriaci, svizzeri, greci, serbi, armeni ed ebrei che lavoravano
e vivevano in pace tra loro. Ora è diventata una città di
pensionati. Nel 1967 aveva 308.000 abitanti, oggi sono scesi a meno di
200.000. Quelli che mancano non sono emigrati, ma sono semplicemente morti.
La diaspora dei triestini iniziò dopo la prima guerra, quando mio
padre e zia Olga partirono per gli Stati Uniti,. zia Lidia per il Messico,
zio Nico per la Cina, Strehler per Milano, Pietro Valdoni per Roma e così
tanti altri triestini. Tutti avrebbero voluto tornare, ma nessuno l’ha
mai fatto. Trieste è oggi una delle città culturalmente
più ricche, più affascinanti nonostante la perdita dell’hinterland.
Ma quale italiano va a visitare Trieste? Manca completamente il turismo;
in un anno si sono avuti diecimila turisti in tutto, tra i quali pochissimi
italiani; per lo più vecchi triestini nostalgici o anglosassoni
alla ricerca dei luoghi joyciani. Eppure Joyce vale almeno quanto il Colosseo,
disse un assessore qualche anno fa.
Trieste è la città di Saba e di Italo Svevo, è
la città di Scipio Slataper, l’autore del mio Carso.
” In una famosa lettera scrisse a sua moglie: tu sai che sono slavo
di nascita, tedesco di cultura ed italiano come idea.... Era ben consapevole
di questa sua diversità reale. Molti sono i triestini ed i giuliani
noti per i loro libri: Julius Kugy, Biagio Marin di Grado, Gianni e Carlo
Stuparich, il goriziano C. Michelstaedter, Silvio Benco, Bobi Bazlen, Fulvio
Tomizza .e Claudio Magris con il suo Danubio tradotto in dodici lingue.
Quanti hanno mai preso in considerazione che a Trieste e nel suo hinterland
esiste una cultura slovena con scrittori come Alojz Rebula, Boris Pahor,
il poeta lvo Gruden, lo scrittore Bartol Vladimiro ed Augus Cernigoj; ma
soprattutto il poeta sloveno Kosovel Srecko. Claudio Magris lo definisce
poeta orfico, pura espressione del suo amore per il Carso e del suo dolore
per l’emarginazione e l’oppressione della sua gente. Morì purtroppo
giovanissimo a soli 22 anni nel 1926, gli anni peggiori per l’oppressione
degli slavi nelle terre concesse all’Italia con il patto segreto
di Londra. Hanno scritto che il Carso di Kosovel vive nella pittura di
Luigi Spacal.
Moltissimi stranieri, una volta stabilitisi a Trieste, la considerarono
la loro nuova patria e le diedero grande lustro con la loro personalità
e con il loro lavoro.
|