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Computers Trilogia dell'amore
scritto inedito di: Milost Della Grazia
Antica Roma
A Roma la situazione era molto diversa, perché i romani riconoscevano alla donna una funzione essenziale nella società, attribuivano a lei  una funzione determinante nella crescita dell’Urbe, perché secondo i latini la fecondità, l’amore e la procreazione erano la base per rendere eterna una città. La storia d’amore tra Enea e Didone appartiene alla tradizione romana e per farsi una idea dell’importanza che i romani davano all’amore basta pensare che Romolo e Remo non ebbero una madre, ma furono nutriti da una lupa , che nel gergo romano è una prostituta, una prosperosa  contadina che elargiva le sue grazie  ai pastori del luogo, oltre che nutrire i due gemelli, simbolo dell’Urbe. Secondo  il poeta greco-siciliano Stesicoro, Roma, invece, fu fondata da un gruppo di troiani fuggiti da Troia in fiamme. Tra di loro c’era una donna, che vista la bellezza del luogo, ordinò ai compagni di bruciare le navi  e di fondare una città, che poi chiamarono con il suo nome, Roma.  Questa storia è stata poi confermata  dagli scritti  di Dioniso di Alicarnasso, vissuto  poco dopo Stesicoro. Comunque discendere da Enea o da questa  eroina chiamata Roma, per i romani era uguale, perché la radice era sempre Troia. Anche il ratto delle sabine è una  leggenda che ormai appartiene alla storia, con la descrizione della disperazione delle giovani rapite, ma, come dicono i romani,  tutto finì a  tarallucci e vino, cioè con baci e carezze tra i rapitori romani e le sabine, confermando la  concezione romana del matrimonio e dei rapporti  tra marito e moglie, cioè una conquista violenta .che si conclude con molto amore. Questo sentimento aveva in Roma espressioni genuine, comuni sia alla gente del popolo e contadina, che agli aristocratici, come avviene in ogni società sana, ma alla  fine della repubblica, cioè negli anni politicamente più tempestosi, si fece sentire l’influenza della cultura greca anche su questo sentimento, cercando formule nuove appartenenti alla raffinata letteratura greca, con strofe che univano la dolcezza di Saffo alla vitalità latina. Era una nuova scuola di poeti e il  più grande era Catullo, il poeta delle  liriche d’amore ispirate a Lesbia.
Le vittorie delle legioni romane in Africa ed in Oriente  fecero affluire a Roma grandi ricchezze, dalle miniere d’argento spagnole, dalle somme enormi che i paesi vinti dovevano versare ai romani, dalle tasse che tutti i cittadini dell’impero dovevano pagare, dai dazi e dal sale  che veniva prodotto dal monopolio dello stato romano.  Tutto questo danaro migliorò il tenore di vita dei cittadini, ma soprattutto l’aspetto della città e la cultura dei romani, che potevano avere  pedagoghi greci, migliorò  la situazione delle donne, che potevano permettersi di avere in casa una esperta pettinatrice, una “ornatrix”, capace anche di truccarle il volto.
Presso i romani  era costume “fidanzare”  la giovane figlia molto presto, anche se rimaneva sotto la tutela del  pater familias, dalla quale si liberava solo al momento del matrimonio, per passare a quella del marito, che in genere le lasciava una notevole libertà. Una volta coniugata la  donna diventava la matrona, quella che custodiva tutte le chiavi,  salvo quella della cantina, della quale si interessava il marito. Esisteva il divorzio ed anche la donna poteva ripudiare il marito, tanto che Seneca aveva amaramente scritto che certe  donne divorziano per rimaritarsi e si sposano per divorziare. Alludeva  a quelle donne emancipate che non volevano avere figli  per non perdere la bellezza  della loro figura, donne che si occupavano di politica e parlavano perfettamente il greco omerico, cercando di eguagliare in tutte le cose il sesso maschile.
Durante il periodo dell’impero trionfò questa  specie di femminismo e l’imperatore Augusto, senza ottenere un grande successo,.aveva cercato di ripristinare una certa moralità, ma inutilmente, tanto che qualche senatore aveva cercato di  far passare la propria concubina come moglie e Scipione l’Africano  non cercava di nascondere la sua senile infatuazione per la bella serva.
L’Urbe era piena di  ruffiani, di papponi e di prostitute, giunte dai territori conquistati.
I costumi peggioravano  sempre più,  come si può leggere nelle epistole di Cicerone e  ogni tanto uno scandalo scuoteva la capitale, come quello del poeta  Caio Valerio Catullo, che ebbe la cattiva idea di abbandonare la dolce Sirmione, per trasferirsi a Roma. Avere una relazione con una prostituta non era vietato, bastava che il capriccio non si trasformasse in passione, ma Catullo si innamorò perdutamente della spregiudicata Lesbia, sorella del tribuno Clodio Pulcro, ucciso a furor di popolo. Anche  Catullo morì a trenta anni, bruciato dalla vita dissoluta che Lesbia e suo fratello gli avevano fatto fare. Di lui ci è rimasta una notissima poesia con l’invocazione a Lesbia di dargli  mille baci,  mille “basia od oscula “.
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