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Computers Carrellata storica sul Risorgimento italiano
scritto inedito di: Milost Della Grazia
Garibaldi
Parlerò ora dell’infanzia di Giuseppe Garibaldi, della sua straordinaria avventura siciliana e di quel periodo poco noto della sua vita, che gli valse la fama di eroe dei due mondi. 
Frequentavo la quinta elementare ed un mattino di primavera, tutta la classe, accompagnata dal maestro, andammo a visitare una  casa di riposo per anziani, pochi chilometri a nord di  Milano. Qui, tra gli altri ospiti, c’era l’ultimo vero garibaldino ancora in vita ed il maestro ci raccontò qualche episodio della vita di Garibaldi: Quel anziano e distinto signore era stato un suo soldato, a diciotto anni si era imbarcato per la spedizione dei “Mille”, partecipando poi a tutte le battaglie, Calatafimi, Palermo, Milazzo e Volturno, sempre al suo fianco. Era alto ed asciutto, per l’occasione vestiva una camicia rossa da garibaldino. Durante la colazione  rispose a tutte le nostre domande, alla fine diede la mano a tutti noi, salutandoci militarmente mentre ci allontanavamo. Di solito le gite scolastiche servono per trascinare bande di ragazzini a fare confusione in musei e gallerie, nelle quali non capiscono e non imparano nulla. Quella visita alla casa di riposo, quello che ci raccontò il maestro e il vecchio garibaldino, fu per me una lezione di storia indimenticabile. Quando lasciammo l’ospizio ero emozionato, avevo dato la mano ad uno di quegli eroi che, senza tante chiacchiere, aveva fatto l’Italia.  Credo sia difficile trovare una città italiana senza una via, una  piazza o senza un monumento dedicato al nostro eroe. Ogni regola ha le sue eccezioni e mi sono ricordato che, passeggiando per Cormons, non avevo trovato alcuna traccia di Garbali. La spiegazione è che  questa graziosa cittadina del Friuli orientale, a poche decine di metri dal confine con la Slovenia, faceva parte dell’impero austro-ungarico fino al 1918, per cui, di fronte alla chiesa della Beata Vergine nella piazza principale, su di un piedestallo troneggia una statua bronzea di Massimiliano I ( 12 ). Probabilmente, se le poste di allora  avessero funzionato male come al giorno d’oggi,  Garibaldi, nel 1866,  non avrebbe ricevuto in tempo  il famoso telegramma, con il quale Vittorio Emanuele II gli proibiva di marciare su Trento ed invece di rispondere “Obbedisco !”, avrebbe continuato la sua marcia, occupando la città,  magari arrivando fino a Trieste, passando per Cormons, fatto che avrebbe reso superflua  la prima guerra mondiale. Questa mattina ho voluto assicurarmi che quello che avevo scritto  era esatto e, non avendo trovato un vigile urbano, mi sono rivolto al bar della piazza del comune, dove mi hanno confermato che a Cormons non esistono vie,  monumenti o targhe di Garibaldi, dandomi un programma dei festeggiamenti per il 154° genetliaco imperiale ( 13 ), ai quali prenderanno parte friulani, austriaci, ungheresi, sloveni e cechi, con cerimonia al cimitero militare, canti e balli delle varie etnie. Mi ha anche raccontato che l’antica Cantina Produttori Vini del Collio spedisce una volta all’anno a tutti i capi di stato del mondo una confezione di “Vino della Pace.  Mi sono ricordato che un anno fa, passando per caso per Cormons e la frazione di Giassico nel mese di agosto, ero  stato coinvolto nei festeggiamenti in onore di  Massimiliano, con un magnifico corteo storico. Qualcuno mi aveva allora raccontato che i cittadini di Cormons amavano tanto Massimiliano, perché li aveva esonerati dal pagare tasse per sei anni, riconoscente per l’ottimo vino che gli avevano inviato a Vienna.  Tutto questo mi ha riempito di entusiasmo, per la mia “Weltanschauung” mitteleuropea, per il ricordo di mio padre, ufficiale pluridecorato dall’imperatore, per i miei vari zii, ufficiali austriaci, combattenti per l’imperatore sul fronte russo in Galizia. 
Peppino Garibaldi, era  generoso anche con il nemico, nella sua mente pensava di combattere per tutti i popoli che anelavano alla libertà, sloveni,  polacchi,  croati, cechi e probabilmente  credeva di portare a Trento la civiltà, non poteva immaginare che l’Austria non era quello stato marcio, governato da un  imbecille chiamato Cecco Beppe, come qualcuno gli aveva raccontato, ma che l’Austria era invece uno stato dove popoli di lingue e religioni diverse convivevano, senza amarsi, ma, rispettose delle usanze altrui, abituate a lavorare tranquillamente insieme. Suo  nonno, capitano di mare, era di Chiavari ed ebbe sei figli, tra cui Domenico, anche lui capitano di piccolo cabotaggio tra la Riviera di ponente e quella di levante, con base a Nizza, a quei tempi francese. Qui sua moglie Rosa, ligure anche lei, il 4 luglio del 1807 diede alla luce un maschio, battezzato Giuseppe, ma chiamato subito Peppino . Quando lo vide, la madre Rosa disse che ne avrebbe fatto un prete, così almeno poteva evitare di fare il soldato e di andare a morire in qualche guerra. Era il secondo maschio della famiglia, il primo si chiamava Angelo, poi nacquero altri due maschietti ed una bambina, quest’ ultima morta in tenera età. Peppino rimase sempre il cocco di mamma, scavezzacollo, senza voglia di studiare, ma soprattutto senza alcuna voglia di fare il prete.
Non sapendo bene cosa il figlio volesse fare nella vita, il padre Domenico, quando Peppino compì 15 anni, lo affidò ad
 un suo amico, che lo prese come mozzo  su di un brigantino in partenza per il Mar Nero. Si comportò da mozzo
 perfetto e nel  1833 era secondo ufficiale a bordo di una nave  in partenza da Marsiglia  per il Mar Nero. Sulla nave si
 era imbarcato uno strano personaggio, un fanatico rivoluzionario, Emile Barrault,  forse la  prima  persona di una certa cultura  con la quale poteva parlare, il quale lo convinse che nel  mondo c’era un grande fremito di  libertà

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