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Carrellata
storica sul Risorgimento italiano
scritto inedito di: Milost Della Grazia |
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Garibaldi | ![]() |
![]() Frequentavo la quinta elementare ed un mattino di primavera, tutta la classe, accompagnata dal maestro, andammo a visitare una casa di riposo per anziani, pochi chilometri a nord di Milano. Qui, tra gli altri ospiti, c’era l’ultimo vero garibaldino ancora in vita ed il maestro ci raccontò qualche episodio della vita di Garibaldi: Quel anziano e distinto signore era stato un suo soldato, a diciotto anni si era imbarcato per la spedizione dei “Mille”, partecipando poi a tutte le battaglie, Calatafimi, Palermo, Milazzo e Volturno, sempre al suo fianco. Era alto ed asciutto, per l’occasione vestiva una camicia rossa da garibaldino. Durante la colazione rispose a tutte le nostre domande, alla fine diede la mano a tutti noi, salutandoci militarmente mentre ci allontanavamo. Di solito le gite scolastiche servono per trascinare bande di ragazzini a fare confusione in musei e gallerie, nelle quali non capiscono e non imparano nulla. Quella visita alla casa di riposo, quello che ci raccontò il maestro e il vecchio garibaldino, fu per me una lezione di storia indimenticabile. Quando lasciammo l’ospizio ero emozionato, avevo dato la mano ad uno di quegli eroi che, senza tante chiacchiere, aveva fatto l’Italia. Credo sia difficile trovare una città italiana senza una via, una piazza o senza un monumento dedicato al nostro eroe. Ogni regola ha le sue eccezioni e mi sono ricordato che, passeggiando per Cormons, non avevo trovato alcuna traccia di Garbali. La spiegazione è che questa graziosa cittadina del Friuli orientale, a poche decine di metri dal confine con la Slovenia, faceva parte dell’impero austro-ungarico fino al 1918, per cui, di fronte alla chiesa della Beata Vergine nella piazza principale, su di un piedestallo troneggia una statua bronzea di Massimiliano I ( 12 ). Probabilmente, se le poste di allora avessero funzionato male come al giorno d’oggi, Garibaldi, nel 1866, non avrebbe ricevuto in tempo il famoso telegramma, con il quale Vittorio Emanuele II gli proibiva di marciare su Trento ed invece di rispondere “Obbedisco !”, avrebbe continuato la sua marcia, occupando la città, magari arrivando fino a Trieste, passando per Cormons, fatto che avrebbe reso superflua la prima guerra mondiale. ![]() Peppino Garibaldi, era generoso anche con il nemico, nella sua mente pensava di combattere per tutti i popoli che anelavano alla libertà, sloveni, polacchi, croati, cechi e probabilmente credeva di portare a Trento la civiltà, non poteva immaginare che l’Austria non era quello stato marcio, governato da un imbecille chiamato Cecco Beppe, come qualcuno gli aveva raccontato, ma che l’Austria era invece uno stato dove popoli di lingue e religioni diverse convivevano, senza amarsi, ma, rispettose delle usanze altrui, abituate a lavorare tranquillamente insieme. Suo nonno, capitano di mare, era di Chiavari ed ebbe sei figli, tra cui Domenico, anche lui capitano di piccolo cabotaggio tra la Riviera di ponente e quella di levante, con base a Nizza, a quei tempi francese. Qui sua moglie Rosa, ligure anche lei, il 4 luglio del 1807 diede alla luce un maschio, battezzato Giuseppe, ma chiamato subito Peppino . Quando lo vide, la madre Rosa disse che ne avrebbe fatto un prete, così almeno poteva evitare di fare il soldato e di andare a morire in qualche guerra. Era il secondo maschio della famiglia, il primo si chiamava Angelo, poi nacquero altri due maschietti ed una bambina, quest’ ultima morta in tenera età. Peppino rimase sempre il cocco di mamma, scavezzacollo, senza voglia di studiare, ma soprattutto senza alcuna voglia di fare il prete. Non sapendo bene cosa il figlio volesse fare nella vita, il padre Domenico, quando Peppino compì 15 anni, lo affidò ad un suo amico, che lo prese come mozzo su di un brigantino in partenza per il Mar Nero. Si comportò da mozzo perfetto e nel 1833 era secondo ufficiale a bordo di una nave in partenza da Marsiglia per il Mar Nero. Sulla nave si era imbarcato uno strano personaggio, un fanatico rivoluzionario, Emile Barrault, forse la prima persona di una certa cultura con la quale poteva parlare, il quale lo convinse che nel mondo c’era un grande fremito di libertà |
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