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Computers Dall'homo erectus all'homo religiosus  ... 
scritto inedito di: Milost Della Grazia
il processo di ominazione...
Quali furono le variazioni ambientali e climatiche che ebbero grande influenza sullo sviluppo dell’homo ? Per ecosistema intendo una unità funzionale costituita dall’ambiente di una determinata zona e dagli organismi che qui nascono e si riproducono, il tutto correlato da un insieme di scambi energetici tra l’ambiente ed i suoi abitanti e considero un perfetto prototipo di ecosistema il bacino del Ngorongoro, nel quale da centinaia di anni vivono isolati ed in perfetto equilibrio piante ed animali di tutte le specie.  Venti milioni di anni fa tutta l’Africa compresa tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno era coperta da vaste foreste, nelle quali la maggior parte della luce solare era assorbita dalla parte più alta della pianta e i primati, per lo più vegetariani, non avevano problemi a raggiungerla, ricca com’era di morbide foglie, di tenere gemme, fiori e frutti.  Dopo qualche millennio l’Africa andò incontro ad una grande crisi ambientale per una forte diminuzione delle piogge con conseguente diffuso inaridimento , per cui soltanto le grandi piante che crescevano lungo i fiumi riuscirono a sopravvivere, formando le “foreste a galleria” , mentre le zone marginali e periferiche si trasformarono lentamente in savane, creando un nuovo habitat al quale i primati dovettero adeguarsi.  Fu questa grande crisi ambientale a dare una notevole spinta al processo di ominazione, senza la quale , probabilmente, l’homo non sarebbe mai nato, rimanendo a livello di primate.   La savana è anche oggi il regno dei grandi e dei piccoli predatori, con poche piante isolate e l’erba molto alta. Data la distanza tra i vari alberi, i primati non potevano più passare agilmente da un albero all’altro e facevano più fatica a procurarsi il cibo, ma soprattutto dovevano prestare grande attenzione ai predatori. Se in una savana un primate non riesce a guardare oltre l’erba alta, ha scarse possibilità di sopravvivere, per cui l’andatura bipede eretta era fondamentale e con le mani libere poteva trovare insetti nascosti sotto un sasso, raccogliere bacche, foglie e germogli, ma soprattutto poteva trasportare il cibo, invece di mangiarlo sul posto.  Ricordo la lezione che mi diede un ranger, durante un breve safari, su come sopravvivere nella savana. Mi raccontò come riposa una giraffa: dapprima, in piedi, dà una occhiata a 360 gradi intorno, per individuare eventuali predatori, poi si corica e dorme per 15-20 minuti al massimo , poi ripete la stessa manovra varie volte, perché questo è il solo sistema per sopravvivere.   Una volta sveglia, è più veloce di un leone ed è in grado di difendersi con formidabili calci.   Poi mi fece un breve corso di coprologia, raccogliendo vari pezzi di sterco seccato di elefante: valutando come erano stati masticati dei piccoli rametti legnosi, ancora presenti nelle feci, si poteva risalire all’età dell’elefante. Sdraiati dietro un cespuglio, lasciò passare a pochi metri da noi un branco di elefanti e mi spiegò che bastava mettersi controvento per poter osservare, a pochi metri da noi, anche un branco di leoni, senza correre alcun rischio. Avevo però osservato che teneva la carabina sempre con due colpi in canna. Alla fine mi propose di passare la notte su di una piattaforma, sistemata con una branda su di un albero nei pressi di uno stagno, per osservare gli animali che venivano a bere, ma preferì tornare alla nostra “lodge”. Lungo la strada strappò da un cespuglio alcune foglie e mi disse di masticarle. Dopo pochi secondi avevo la guancia completamente anestetizzata, come dal dentista. E’ quello che fanno gli indigeni, quando hanno mal di denti, mi disse.
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