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L'epilogo
ricordi di guerra di: Milost Della Grazia
Non sono mai stato iscritto al Partito Nazionale Fascista, ma soltanto al GUF, Gruppi Universitari  Fascisti ed il nostro segretario aveva firmato una domanda, collettiva per tutti noi, di volontari. Passai i mesi di marzo, aprile e maggio del ‘ 41 in Albania con la Lupi di Toscana, poi fui trasferito in Sanità come studente in medicina.Dopo Berceto mi portarono con una ambulanza all’ospedale militare tedesco di Cremona dove venni operato nuovamente per prevenire una osteomielite. Dopo questo nuovo intervento la ripresa fu rapida ed entro gennaio mi dissero che ero guarito e pensavo di rientrare nel mio reparto. Per mia fortuna a Cremona entrai nelle grazie di un’infermiera tedesca intelligente e poco nazista che mi mise al corrente che la nave stava affondando e che eravamo vicini al “si salvi chi può”. Mi procurò un maglione, un paio di pantaloni, una piccola scorta di cibo ed una vecchia bicicletta arrugginita. Mi fece uscire dall’ospedale una notte che stava piovendo e nascondendomi di giorno, per evitare i posti di blocco, e pedalando la notte, raggiunsi la zona di Lambrate, alla periferia di Milano, dove abitava zia Gemma ad un piano rialzato. Sapevo dov’era la sua camera da letto e gettai un sassolino sulla  tapparella. Si accese una luce, “zia , fammi entrare subito”.  Dopo mezz’ora le avevo raccontato tutto, mentre bevevo qualcosa di caldo.  Non aveva molto da mangiare, le persone anziane come lei vivevano con quello che passava la tessera annonaria e pativano la fame. Per me non era una novità e ci organizzammo subito in modo che nessuno potesse notare la mia presenza. Per i tedeschi ed i fascisti ero ormai un disertore, per i partigiani un fascista, dovevo solo scegliere da chi farmi fucilare.  Zia Gemma, sorella di mia madre, era nata a Makarska  sulla costa dalmata, parlava cinque lingue, compreso il russo e non si era mai sposata per restare fedele al ricordo del unico amore della sua vita, un ufficiale austriaco, morto nel 1917 sul Carso.  L’ultimo attacco contro i tedeschi ebbe inizio il 9 aprile con centinaia di bombardieri e migliaia di cannoni che scatenarono l’inferno sulle linee tedesche. Kesselring era stato trasferito sul fronte occidentale per tentare una estrema difesa, il nuovo comandante tedesco von Vietinghoff, senza prendere in alcuna considerazione  gli ordini di Hitler, aveva ritirato tutte le sue truppe oltre il Po, che molti soldati tedeschi avevano passato a nuoto. Le truppe alleate il 25 aprile erano arrivate a Mantova ed a Brescia, Mussolini era stato catturato dai partigiani ed era finito in piazzale Loreto insieme a  Claretta Petacci e ad altri  fascisti uccisi dai partigiani.  Una donna si alzò le gonne ed urinò sul cadavere di Claretta, tra le risate della gente, che si divertiva a sputare sul cadavere di Mussolini. 
Quelli stessi che avevano gridato  “ Guerra  Guerra ”, infierivano ora sul cadavere di Mussolini, non perché aveva inventato il fascismo e comandato l’Italia per venti anni, ma soltanto perché li aveva delusi, non aveva saputo vincere e  la colpa della sconfitta era sicuramente sua.  Sentivo la gente in strada ridere e sghignazzare, ero stanco di avere paura ed uscii anch’io insieme alla zia. Un uomo, sfiorandoci di corsa, ci disse ridendo di correre 
in piazzale Loreto perché  era arrivato il Duce. Dal portone di fronte al nostro uscì un conoscente che sapeva tutto di me, era un imboscato che in questa guerra non aveva mai mosso un dito ed ora aveva intorno al collo un bel  fazzoletto rosso e stringeva tra le mani un vecchio fucile. Mi vide, lo fissai deliberatamente e restò, per un attimo, interdetto, poi il “partigiano” corse anche lui verso piazzale Loreto.  Imbecille, gli disse forte zia Gemma, con la sua voce tagliente. Ormai avevamo capito cosa era successo, tornammo a casa e  ci sedemmo in cucina piangendo.  Il generale Crittenberger, quello dei “bisonti”, era alle porte di Milano  ed iniziò ad occupare la città. Per prima cosa, inorridito, fece cessare lo scempio dei cadaveri, ma le fotografie di Benito Mussolini e di Claretta  Petacci,  appesi per i piedi in piazzale Loreto, avevano già fatto il giro del mondo.
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