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Ferito al Fronte
ricordi di guerra di: Milost Della Grazia
Dove sono quelli che amo ? Mio padre è in California, l’ho visto l’ultima volta  nel 1927, quando l’ho accompagnato alla vecchia stazione di Milano, in partenza  per l’America. Chissà dove è mia madre, dov’è la mia patria, ora che ho perso quella che che Mussolini mi ha insegnato ad amare, la Slovenia, terra di mio padre o la Croazia, terra di mia madre ? Mi addormento intirizzito, con un nodo alla gola ed una grande voglia di piangere.  E’ piovuto tutta la notte e sono fradicio, devono aver anche bombardato, a giudicare dal terreno che vedo sconvolto dalle granate davanti la mia feritoia. Spero che i muli riescano a passare e ci portino qualcosa di caldo, nel frattempo faccio il giro di tutte le postazioni ed invio la solita relazione al capitano Weintz:  Nulla da segnalare a quota 1021. 
Passano i giorni, la pioggia rende più dura la nostra esistenza. Assistiamo ad un lancio di materiale a pochi chilometri da noi, il che mi conferma che i partigiani sono alle nostre spalle. Speriamo inutilmente che una raffica di vento ci regali qualche pacco. Si intensifica il bombardamento, il capitano Weintz telefona spesso al Comando di Divisione.  Il 22 novembre quota 949, che è alla nostra destra, è violentemente attaccata frontalmente dalla 92° ed alle spalle dai partigiani, per cui non è più in mano nostra. I “bisonti” potrebbero passare per l’ampia falla, aggirando tutto il settore. Sono le ore 16 ed il capitano Weintz decide di riprendere la quota prima di notte.  Il tenente Reiter  comanda il plotone pionieri, come sergente maggiore sono in testa con due squadre, appoggiato dal fuoco di una mitragliatrice pesante che tiene sotto tiro quota 949. Comportandoci come prescrive il manuale, due squadre ci danno copertura con fuoco intenso mentre avanziamo verso la quota, poi diamo copertura noi, mentre avanzano loro. A cinquanta metri da quota 949, urlando come forsennati, diamo l’assalto finale.  Una granata esplode alle mie spalle, sento solo un grande calore al dorso ed alle gambe, mentre tre bersaglieri sono riversi a terra feriti. Facciamo l’ultimo balzo, lanciando le micidiali bombe a mano tedesche sulla postazione, dalla quale non sparano più ed occupiamo quota 949.  Il nemico è sparito, troviamo una mitragliatrice, alla quale fuggendo hanno tolto l’otturatore, per terra munizioni, scatolette di latte e di carne vuote, un pacchetto di Camel con tre sigarette. Faccio piazzare le nostre mitragliatrici, due verso Gallicano ed una per coprirci le spalle, sistemo le sentinelle, mando una staffetta dal capitano per riferire che la quota è saldamente in mano nostra e che ci sono dei feriti da soccorrere. Mi sento stanco e mi sdraio per terra, passo una mano nei pantaloni e la ritraggo insanguinata. Lo stress mi ha scatenato nel sangue una massa di endorfine, perché non sento alcun dolore  Sono le otto di sera, la linea è tranquilla, i feriti sono stati prelevati e sono in attesa del cambio. Il tenente Reiter ha avvisato il capitano Weintz che anch’io sono ferito. Comincio a sentire bruciore alle gambe e mi sento sempre più  debole. Arrivano i barellieri che mi portano via, passando dal comando, dove consegno al capitano la mia pistola. E’ un po’ triste, forse vorrebbe essere al mio posto e salutandomi mi dice: Sei fortunato, per te la guerra è finita. Mi portano in un ospedale da campo nei pressi di Castelnuovo. L’ospedale è sotto una tenda e dalla barella vedo due chirurghi che stanno finendo di operare un alpino, poi viene il mio turno. Ho varie ferite alle gambe, con ritenzione di schegge. Non sono un caso urgente, mi medicano sommariamente, mi danno un sedativo e mi caricano sull’ambulanza insieme ad un “bisonte” che rivedrò  a Berceto.  Soffriamo entrambi per i sobbalzi, ma stiamo tornando nel mondo civile e per noi due, comunque vadano le cose, la guerra è veramente finita.
Dopo qualche ora arriviamo in un ospedale militare tedesco, situato in un grande parco.
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