 Dal
Friuli a San Pietroburgo, in linea d’aria, sono 1900 chilometri, tre comodi
giorni d’auto. Attraversata la Polonia entro in Bielorussia a Brest, nella
zona delle Paludi del Pripjat, da dove, verso il 600 d.C. partirono le
varie tribù slave per invadere i Balcani. La strada
è buona, il paesaggio riposante, con boschi di betulle immensi,
il traffico è scarsissimo, quasi soltanto autocarri. Mi fermo
ogni tanto per bere o mangiare qualcosa
e mi sdraio sull’erba ai bordi della strada, guardando il cielo tra
il fogliame delle betulle. Qualche autocarro rallenta e si ferma, per chiedermi
se ho problemi oppure sono soltanto curiosi ed hanno voglia di rilassarsi,
scambiando quattro parole con qualcuno. Quando scoprono che sono
italiano, sorridono e pronunciano due nomi Raffaella Carrà e Baggio
del Milan. No, non ho mai conosciuto Raffaella, però
sono stato per anni uno
dei medici del Milan e conosco molto bene Gianni Rivera. Questo li
interessa molto ed aumenta la loro considerazione nei miei riguardi, è
il
momento di offrire un sorso della vodka polacca, che ho acquistata
a Varsavia e riprendere la nostra strada. Non posso far
a meno di pensare al traffico caotico delle nostre strade ed alla proverbiale
cortesia dei nostri camionisti. Arrivo
a San Pietroburgo in uno di quei momenti in cui sulla città
incombe quello che qui chiamano “notti bianche“, quando il sole scende
di pochi gradi sotto l’orizzonte e su tutta la città cala un crepuscolo
leggero, per cui le vie, le piazze ed i palazzi assumono una tinta pallida
ed irreale. Per me Pietroburgo è la città più
bella in assoluto, la città-eroe, che nell’ultima guerra resistette
ad un assedio di novecento giorni mangiando i topi delle fogne, città
che ebbe un milioni di morti, per la fame e per i combattimenti.
Lascio la città all’alba dirigendomi verso Vyborg , piccola città
un tempo finlandese, passata alla Russia con la pace di Mosca del
13 marzo 1940. Era finlandese anche quel largo istmo tra il lago
Lagoda ed il golfo di Finlandia, parte meridionale di quella regione chiamata
Karelija dai russi e Karjala dai finlandesi, che ha come capoluogo Imatra,
dove mi aspetta Leena Heikkila, moglie finlandese del mio amico Nicola.
Sto attraversando la famosa linea Mannerheim, che andava dal lago Lagoda
al Golfo di Finlandia, linea dove i finlandesi tennero inchiodati i russi
per oltre tre mesi. Ricordo bene quel settembre del 1939, non erano
ancora passati due mesi dall’invasione della Polonia da parte dei
tedeschi e dei russi, i quali, dopo un accordo tra Hitler e Stalin,
si erano divisi la Polonia in due parti, quando la Russia attaccò
la Finlandia, che rimase praticamente sola a combattere contro il gigante
sovietico, malgrado l’indignazione suscitata in tutto il mondo. Stalin
aveva deciso di prendere Helsinki in tre giorni ed invece impiegò
più di quattro mesi per sfondare quella linea difensiva che avevano
predisposto in Carelia. |