origini del dialetto
La pianura padana era abitata, prima della venuta dei Latini, da tribù mediterranee, liguri, retiche, iberiche (originarie della penisola occupata oggi da Spagna e Portogallo). Non è rimasta nessuna traccia scritta del loro linguaggio. Però alcune parole o "radici", a quanto affermano gli studiosi, indicaano senz'ombra di dubbio ancor oggi la loro appartenenza a queste antiche parlate pre-latine. Alla lingua Mediterranea si possono far risalire il termine gava (torrente) e quello di insubrium (nome di Milano prima della venuta dei Celti). Alla lingua "ligure", invece, appartengono le radici clav (rupe sporgente) e pala (roccia). Alla lingua "retica" - secondo alcuni studiosi i Retici erano popolazioni montane originate da quelle liguri - si devono molte parole che in seguito entrano a far parte dei dialetti lombardi e di quelli della Svizzera italiana o che, al contrario, danno origine a "nomi" di località. Eccone alcune: barga (capanna), cous (grotta), nava (conca), crenna (fessura, screpolatura stretta e lunga nelle pareti rocciose), ganda (pietrame) ecc.. Un altro linguaggio scomparso "ufficialmente" dai documenti della storia è il giurassico, contemporaneo del ligure (quindi come questo pre-latino) la sua origine è nelle montagne dell'attuale Giura franco-svizzero. Confrontando alcuni vocaboli di questa lingua con il dialetto milanese - il principale del ceppo lombardo occidentale, dal quale sono poi derivati gli altri dialetti di parte della regione - troviamo sorprendenti affinità.
L'articolo el (il) è rimasto in dialetto tale e quale; la parola magnin (calderaio ambulante), ha dato origine alla milanese magnan. Analogamente d'origine giurassica sono la guja (ghiaa in milanese), il pungolo col quale si aizzavano i buoi, il tavan (tafano), ed il verbo rougnasser (rognà in milanese, cioè "brontolare").
Poco dopo l'anno 600 a. C. l'equilibrio etnico esistente nella zona subisce un primo, robusto scossone. Alle popolazioni dominanti del nord, quelle liguri cioè, si mescolano i Celti, che i Romani più tardi chiameranno Galli. Di origine asiatica, i Celti arrivano in Italia dai paesi nordici, specie dalle terre dell'odierna Germania e della Francia del nord. Il loro arrivo provoca notevoli effetti, sulle popolazioni e sul loro modo di vivere. I Celti finiscono così per condizionare in maniera determinante la vita, i costumi, la lingua delle etnie preesistenti. L'influenza celtica è lunga e duratura. I vocaboli che portano sono soprattutto relativi alla guerra,alle armi, alle fortificazioni. Oggi si riescono ad individuare nei dialetti settentrionali molte parole di origine celtica, pur se modificate o alterate dal latino dei Romani conquistatori.  Anzitutto i nomi di località: Mediolanum (Milano) deve la sua origine alla parola medio e lan(n)o. Quest'ultima in celtico significava "spazio recinto e piano", forse un luogo consacrato, quindi Mediolanum voleva dire "luogo di mezzo, paese in mezzo a una pianura". Brianza deriva da brig (luogo elevato); Lecco, deriva il proprio nome alla radice celtica leukos (bosco). Altre parole celtiche sono: barros (cespuglieto), mosa (acquitrino) dunum (collina), paraveredus (stallaggio), brennos (capo), dervo (quercia), briva (ponte) e così di seguito.  I Romani dapprima si attestano in "colonie" e accampamenti militari (Cremona, prima colonia di diritto latino, nell'anno 218 a. C., seguita nel 214 a. C. da Mantova) e, poco alla volta, sottomettono tutte le popolazioni dell'alta Italia.  Le principali città appartengono a tribù celtiche: Mediolanum (Milano) è legata agli Insubri; Laus Pompeia (Lodi) ai Boi, Bergamo agli Orumbovii, Brescia ai Cenomani, Ticinum (Pavia) ai liguri Laevi preesistenti e così via.  Roma non impone con la forza la nuova cultura, ma fa in modo che questa si propaghi attraverso l'istruzione, i pubblici uffici, i documenti del vivere quotidiano, gli spettacoli, i giochi. Il latino classico di Roma - quello di Marco Tullio Cicerone e di Publio Virgilio Marone, autore dell'Eneide - quello cioè che la classe dirigente e il mondo della cultura usano, rimane per lunghi periodi la "lingua" per eccellenza di coloro che redigono documenti, contratti, scrivono opere destinate ai posteri.  Il latino usato dal volgo, dalla gente umile, perde anno dopo anno la sua purezza iniziale - anche nei cittadini di Roma che vanno ad abitare nelle nuove città - e si trasforma, a seconda delle zone geografiche nelle quali viene parlato, in un linguaggio del tutto diverso. Questo fenomeno si verifica ovunque nei territori sottomessi ai Romani. A contatto con la lingua e coi dialetti dei Celti, per esempio, il latino si imbastardisce in misura ancora maggiore. Mentre la lingua scritta "tiene duro", quella affidata alla gente che la usa a proprio piacimento e in funzione delle proprie necessità, perde le caratteristiche originarie mano a mano che acquisisce i caratteri celtici, trasformandosi in un "latino volgare" che, col tempo, diverrà dialetto prima e italiano poi, pur conservando una tipicatraccia della sua origine. Un'ulteriore differenza delle varie parlate è data da una vera e propria polverizzazione di suoni, cadenze, vocaboli ed etimi, nell'ambito di ogni singola zona che, come risultato, dà origine a dialetti diversi tra loro. Quelli dell'area lombarda rimangono così per sempre legati in gran parte al latino (per un settanta per cento circa), e alle parlate gallo-italiche che lo precedevano.  Che il latino sia presente in moltissime parole lombarde non è un mistero. Si può ricordare, tra le molte, amita (zia), che in milanese è divenuta medinna, oggi non più usata. Ancora: pistrinum (forno), che in dialetto ambrosiano è prestìn; situla (secchio), che in milanese è sidella; pascua (spiazzo erboso), che in dialetto diventa pasquée. Dal greco il nostro dialetto acquista le milanesissime parole: basèll (gradino); usmà (odorare); erbión (pisello); pestón (fiasco), quest'ultima non più usata. Col trascorrere degli anni, altre genti scendono nella pianura del Po, talvolta da dominatori, tal'altra in seguito a semplici trasmigrazioni, alla ricerca di terre fertili e luoghi sicuri. 
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