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Il Crocifisso artistico della
basilica
Un altro piccolo tesoro d’arte sacra tutta nostra: il Cristo morto in croce che reclina il volto. E posto in fondo nella navata di destra della chiesa di San Giovanni Battista in Melegnano. Il Crocifisso era parte di un gruppo comprendente la Vergine e San Giovanni, due statue in legno ora collocate altrove. Lo storico melegnanese Giacinto Coldani nel 1747 dava questa descrizione: “… fatto di legno dorato con bellissimi intagli per mano del virtuoso Paolo Garzoni e da esso posto in opera nel 1595”. Sono in queste righe due connotazioni importanti: l’autore, Paolo Garzoni; l’anno di intaglio, il 1595. Originariamente era posto In alto, entro l’arco maggiore, quello che separa il presbiterio dalla navata centrale; stava poggiato su un architrave sostenuta nei fianchi da due mensole. Nel mezzo dell’architrave, sotto il crocifisso; correva questa frase: “Quae non rapui, tunc esxolvebam”, che tradotta significa letteralmente così: “io pure restituivo quello che non ho rapito”. Le frase e certamente tolta dal salmo 68- (nella vecchia ripartizione è il 69), versetto 5. E queste parole chiariscono in parte il dramma del Crocifisso. Sant’Agostino, nell’opera Enarrationes in Psalmis, ps. LXVIII, sermone I, super versus 5, dice (e noi traduciamo in italiano): Adamo ed Eva vollero rapire la divinità e persero la felicità. Come a dire che Cristo ha perso la divnità in Croce per ridarci la felicità. Tali parole sotto il crocifisso misero, dunque, in evidenza per intere generazioni di melegnanesi la tragedia scarnificante della passione di un uomo diventato abietto e rifiutato, visibilmente privato di ogni dignità, deturpato e spogliato di ogni decoro e qualità celestiale. Non più un Dio, ma un detestabile uomo: non ho rapito la divinità che era mia per natura, ma sulla Croce sono stato spogliato di ogni cosa divina, quasi una forzata restituzione. Ecco dunque l’Uomo! La critica artistica vi si è fermata sopra. Il primo sintetico giudizio è dello stesso Giacinto Coldani quando scrisse: “Un bellissimo intaglio”. La sovrintendenza alla Belle Arti della Lombardia, nel 1941 segnò: “Notevole opera di ignoto scultore locale del XVI° secolo, che mostra una sintetica forza espressiva e un robusto, efficace intaglio, in una interpretazione popolaresca e provinciale”. Il Crocifisso era originariamente rivestito in creta. Rimase per tanto tempo sotto l’arco maggiore della chiesa, ma poi fu rimosso e collocato all’esterno della chiesa, nel cortiletto della sacrestia sopra la porta minore. Qui subì il logoramento delle intemperie, della polvere e dell’oblio. Fu merito dell’attuale prevosto, don Alfredo Francescutto, il ripristino di tale opera d’arte. Tutto si tolse dal vecchiume della parete. Le due statue laterali, ripulite e riposte nella sacrestia di San Pietro. Il Crocifisso portato a restaurare, venne levata la crosta di creta che era diventata come una escrescenza sulla superficie epidermica abnorme. La parrucca scarduffata e ridotta a quattro peli grumosi venne tolta (ed ecco perché la testa del Cristo è completamente calva: perché prima c’era una parrucca sormontata da una corona di spine tutta rotta). Cristo riapparve nella rara potenza plastica. nella fresca evocazione della realtà del mistero dolorante, spirante austera pacata serenità. É lì davanti a noi pervaso di alta poesia divina che sottostà al dramma più inaudito della storia: il Figiio di Dio violentato con due rozzi tronchi di legno incrociati. Ma se lo osservi bene e a lungo ti colpisce una rivelazione: nella purezza dei volumi del tronco e delle arti, nel carattere profondamente umano del volto reclinato, nel ripiego pietoso dell’artista di salvare il pudore con un grosso perizoma all’inguine, quando invece i crocifissi erano messi nudi sul patibolo, avverti il fascino di una realtà immediata, la profonda partecipazione di Cristo al tuo dolore, alla tua quaresima, ma anche il raddolcirsi del tuo cuore che si piega ad un amore ed ad una pietà intima e segreta per quell’uomo, Dio infinito spogliato di tutto, per esserti accanto è lì sulla croce a mezzo metro di distanza della tua vita quotidiana. Ecco l’uomo! La vetrata colorata in fondo alla navata in fondo alla navata, dopo il battistero, tra il battistero e la porta centrale, sta la vetrata colorata che rappresenta la figura di San. Giovanni Battista quando indica Gesù, secondo il passo evangelico di Giovanni l,29. Sulla vetrata stanno le parole: “ALTERA DIE.. ECCE AGNUS DEI ECCE QUI TOLLIT PECCATA MUNDI”. In angolo a destra si legge - P. Rivetta 1965, cioè il pittore che ha disegnato la scena della vetrata, mentre sulla sinistra in piccolo si legge Grassi vetrate d’arte, che è il nome della ditta che ha eseguito l’opera. La navata di sinistra Anche questa navata corre in sei settori, o volte a crociera, ed è sostenuta da cinque archi con leggera forma gotica, cioè con la forma a sesto acuto, come segno architettonico rimasto della primitiva chiesa. Pure il soffitto, come la navata minore di destra, ha un ricco ornato di fantasie vegetali, frutta, foglie, fiori nei vasi: un lavoro di stucco quasi come in un salotto settecentesco. Appena in basso della cappella di San Carlo sta collocato il confessionale del prevosto, sopra il quale sta appeso il quadro che rappresenta Pio IV° ![]() Ora sta davanti a noi un confessionale di noce, di artistica fattura, già documentato nella metà del 1700. Sopra il confessionale è il quadro che rappresenta San Giovanni quando rimprovera Erode di adulterio, secondo il passo evangelico di Marco 6,18: “Non ti è lecito avere la moglie di tuo fratello”. Il quadro e stato dipinto dal pittore Perrezzolli. Questo quadro era nella serie di dieci quadri che venivano esposti nelle principali solennità sotto gli archi dei pilastri delle navate. Tali quadri sono stati dipinti a spesa del Comune di Melegnano in occasione della se1ennità della festa della Decollazione, celebrata con musica, solenne apparato e discorso sacro, in conseguenza del voto fatto il 16 giugno 1630 per tenere lontana la peste, il quale voto fu riconfermato il 28 agosto 1708 ccn l’approvazione del cardinale Giuseppe Archinti, arcivescovo di Milano. Ora si incontra un altro confessionale, difattura artistica pregevole. Sopra il confessionale sta l’avanzo di un affresco. antico, rappresentante sant’Ambrogio. Questo affresco è stato scoperto nel 1983 in occasione dei lavori di totale pulitura e nuova tinteggiatura della chiesa. Dopo il confessionale e l’affresco viene una grossa nicchia con semicupoletta a strisce: è la sede della statua di sant’Antonio da Padova un santo qui molto venerato e pregato e circondato da una buona dose di lumini sempre ardenti. In fondo alla navata, sopra un altro confessionale, sta la vetrata colorata che rappresenta Gesù quando dice: “QUID EXISTIS IN DESERTO VIDERE? PROFETAM? ETIAM DICO VOBIS ET PLUS QUAM PROFETAM”, cioè : “cosa potete vedere nel deserto? Un profeta? Ebbene io vi dico che è più di un profeta”, è la frase evangelica di Matteo 11,7. Ora descriviamo la cappella della stessa navata di sinistra Cappella di San Carlo Si trova a sinistra del presbiterio e a capo della navata dl sinistra. Essa misura metri 4 per 5 ed è dedicata, oggi, a San Carlo Borromeo, mentre fino al tempo dell’arcivescovo Federico Borrorneo (l595-1631) era dedicata a sant’Antonio abate. Nella cupoletta che fa da soffitto si osserva il dipinto rappresentante la glorificazione di San Carlo, di Paolo Pilotti. La pala d’altare è formata dal quadro raffigurante San Carlo Borromeo in preghiera, ![]() ![]() (1584) è l’anno della sua morte. Sulla mensola dell’altare sta un reliquiario di legno con cornice sagomata e dorata. Essa contiene le reliquie di san Carlo: parte degli intestini, parte dei muscoli, parte della cappa Cardinalizia e parte del manto di ermellino. Sulla parete di sinistra, verso la porta di uscita, e murata una lapide di marmo nero con queste parole: D.O.M. DIONYS. BRUSATUS CAN.US S. GEORGI MLNI I. CAN. DTOR PROTON. APLCUS MELEGNANI NOBILIS MUNICEPS IN COMITATU PONTF.E LEGAT. COLONIAM AGRIPPINAM S.S. RELIQUIAS HUIC ECCLE. DONAVIT MDCXXII ARAM HANC NOBILIS D.D. PAULI BRUSATUS MARCHIO SEPTALE &C. INSTAURAT HONESTAT ET DITAT MDCCLIII Queste parole, tradotte in lingua italiana, significano: “A Dio Ottimo Massimo, Dionisio Brusati, ![]() questo altare il nobile signor Paolo Brusati, marchese di Settala ecc. rinnova, abbellisce e arricchisce nell’anno l753. Però, prima dl questa lapide, era stata posta un’altra lapide di marmo bianco sotto il quadro del Papa Pio IV° in atto di concedere il cappello cardinalizio al nipote Carlo Borromeo, e dove oggi è il confessionale del prevosto. Le parole erano le seguenti: D.O.M. Dionisius Brusatus San Georgianus Mediolani Canonicus Juris Canonici doctor Protonotarius Apostolicus et Opidi huius Melegnani municeps Quum in comitatu Pontificiae Legationis Coloniam inisset Agrippinam Multas sanctorum reliquias facultate Pontificia colegit ac Mediolani recognitas huic sancti Joannis B. Ecclesiae potiori ex parte donavit easdem vero Prefecti Fabbricae Quum potuerunt honestissime Hac in sede collocaverunt Anno Domini MDCXXII pridie Kal. Juniis De consensu M. R. D. Prepositi eiusdem fabbricae prefecti. In questa cappella, già dal 1493, ritrovavasi eretta la cappella dedicata a sant’Antonio abate detta Carrella Rancati, in cui era anche collocata una piccola statua della Madonna del Rosario, ma soppressa per la sua antichità fu, nel 1609, edificata la attuale cappella dl San Carlo. Questo altare godeva del privilegio della liberazione di un’anima del Purgatorio, concesso dal papa Clemente XII° (1730-l740) per ogni Messa che si celebrava ogni venerdì, nel giorno dei Morti il 2 novembre e in ciascun giorno dell’ottava dei Morti. In questa cappella si solennizzava anche la festa di San Carlo il giorno 4 novembre, e il capitolo dei canonici cantava qui la Messa solenne e nel pomeriggio anche i vesperi. |