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Gli Affreschi del Castello  (3)
.Sala delle Stagioni
Questa sala, preceduta da altre due più piccole che hanno un soffitto a cassettoni e con un fregio superiore dipinto con caratteri architettonici frammezzato con mazzi di fiori, è dipinta con affreschi che riguardano alcune divinità del mito greco e soprattutto romano.  Gli affreschi - tre riquadri per ogni parete - presentano subito una chiara impostazione tematica: al centro di ogni parete l’affresco presenta una divinità seduta su un carro:  la parete dell’inverno, quella che sta di fronte al camino, presenta il carro del dio re Ciano, la divinità dell’inverno; la parete del camino presenta la dea Venere, la divinità della primavera;  la parete verso l’interno presenta la dea Cerere, la divinità dell’estate;  la parete che ha i finestroni presenta la dea Pomona, la divinità dell’autunno.  Per l’interpretazione iniziamo spiegando quell’affresco di centro che mostra un grande carro sul quale stanno tre persone nell’atmosfera invernale con un paesaggio nell’angolo alto sulla destra ricoperto di neve.  La figura principale - quella seduta e con in mano una chiave - rappresenta il dio Giano, un’antichissima divinità romana.  Egli ha il volto bifronte e tiene la chiave perchè è il dio che apre ogni avvenimento importante.  Lo stesso nome Giano ha relazione con ianua (porta) e con ianuarius (gennaio).  Il poeta romano Ovidio (43 a.C. - 17/18 d.C.) così scrisse: “O Giano bifronte, che l’anno cominci scorrente”.  “Allora il sacro Giano, mirabil nel duplice aspetto d’improvviso a’ miei occhi s’offerse con due volti” .  La sede dove abitava Giano era uno dei colli di Roma, abbastanza elevato e che da Giano fu detto Gianicolo: “La mia rocca era il colle, e la gente che l’abita adesso Gianicolo lo dice, da me prendendo il nome”.  e il colle Gianicolo nell’affresco è ben visibile nell’angolo in alto a destra, che si eleva sulle case della Roma bassa.  Nell’affresco si vede un re con la corona, in piedi sul carro che tiene una falce. E’ il dio Saturno che, dopo aver vagato qua e là fu accolto da Giano: “... Il dio armato di ronca, poi ch’ ebbe vagato per il mondo, col legno entrò nel Tebro.  Ricordo che Saturno, da Giove cacciato dal cielo, accolto fu da me in questa regione”.  Saturno si rappresentava come un vecchio con una falce in mano: era il dio della seminagione e si credeva che, quando fu spodestato da Giove, venisse in Italia e insegnasse l’agricoltura ai Latini.  Sul carro è anche seduto, sul fascio verticale dei legni, un uomo che sta per prendere un vaso, un oinochòe (da òinos = vino e chéo = versare), una specie di brocchetta con una sola ansa per versare il vino attinto dai crateri nelle coppe dei convitati, in ricordo delle feste del dio Giano quando si mangiavano particolari focacce con abbondanti bevute di vino.  Procedendo verso destra sulla medesima parete troviamo un affresco con una scena molto complessa, con questi elementi: una giovane creatura seduta su un cavallo dal pelo color marrone e parrebbe non avere le braccia; una donna sta seduta sul dorso di un maiale appena visibile nella parte posteriore e che tiene nella sinistra un vaso e nella destra una lancia che porta all’estremità un oggetto non identificabile.  A sinistra sta una donna in piedi, poco visibile perchè il muro è rovinato, essa tiene un vaso dal quale esce un animale, e nella destra stringe una lancia che porta infilzato un grosso rospo.  Sullo sfondo davanti al cavallo sta una coppia di uccelli, forse due corvi. A destra ecco un giovane in atto di camminare, con la mano sinistra alla fronte.  Tutta la scena è in relazione con l’affresco precedente perchè le stanghe del carro di Giano dell’affresco precedente sono prolungate in questo affresco, ma l’interpretazione rimane un po’ incerta.  Si sapeva che a Giano si sacrificava una scrofa - come appare nell’affresco - e si conosce dalla mitologia che il corvo è sacro a Giunone.  Inoltre Giunone era chiamata Iterduca, cioè colei che guidava bene nel cammino tenendo lontano ai mali; ella era detta anche Curitis, cioè portatrice di lancia, e Curitis è un vocabolo che si collega con l’antica parola sabina curis che significa lancia o giavellotto.  Il bambino, quasi fasciato sul cavallo, rappresenterebbe l’anno nuovo perchè a Giunone erano sacre le calende, cioè il primo giorno del mese: qui nell’affresco ella impedirebbe ogni male che un’altra donna, Pandora, ha portato sulla terra aprendo per curiosità un vaso che gli dei le avevano dato.  L’uomo che sta a destra in atto di camminare, alza la mano a visiera per scrutare il cammino che gli sta davanti.  Guardiamo ora la parete che sta verso la piazza e che ha due finestroni.  L’affresco rappresenta un particolare della festa in onore al dio Bacco.  Bene in evidenza è il satiro Sileno ricordato dal poeta Ovidio: Grecia, celebravi del corimbifero Bacco le feste ……….. Anche il vecchio Sileno venne col curvo asinello”.  Egli ha il capo ornato di foglie, come anche l’asinello ha il suo verde ornamento nel corpo con foglie della vite. Sileno stringe nelle mani un ramo con foglie e frutti.  A sinistra, dietro Sileno, stanno tre donne e un uomo con la barba. Le donne hanno il capo coronato di rametti verdi con foglie; una di esse tiene nella mano destra un’anfora e nella sinistra un piatto.  Ma la scena è caratterizzata dal vecchio satiro sull’asinello.  E’ questo un argomento che piacque anche agli scrittori umanisti; il poeta Agnolo Poliziano ha ripreso la descrizione della figura caratteristica di Sileno con queste parole: Sovra l’asin Silen, di ber sempre avido, con vene grosse nere e di mosto umide, marcido sembra sonnacchioso e gravido”.  Il tirso che stringe Sileno è un bastone avvolto con tralci di vite, ricorda il bastone della festa in onore a Bacco, emblema dei partecipanti al suo culto e attributo dello stesso Bacco e delle sue compagne, chiamate Ménadi.  Viene ora l’affresco di centro: rappresenta la dea Pomona su un carro trionfale tirato da due caprette. Essa tiene sia nella mano destra sia nella mano sinistra una mela.  Dietro di lei, su un tronetto, sta un uomo ornato di rami verdi, e dietro a costui è un satiretto che suona una piccola tromba. Davanti a lei ecco una donna in veste chiara che agita un ramo.  L’affresco di destra sulla medesima parete rappresenta un ampio paesaggio con molti alberi sullo sfondo. A sinistra stanno due donne che portano sul capo un cesto di foglie e di frutti. All’inizio del gruppo di alberi sta un uomo che tiene un bastone e una donna che tiene un oggetto, forse il fuso.  E’ la continuazione logica di tutto l’argomento della parete: la ricchezza maturata della terra all’inizio dell’autunno. Ma forse è anche l’eco di quanto scrissero i poeti antichi: “ Caste fanciulle secondo l’usanza, con coronati canestri sul capo, portavano offerte sacre nel tempio solenne di Atena”.  Leggiamo ora gli affreschi della parete dove sta il camino.  L’affresco di sinistra offre una scena di amore tra Marte, il dio della guerra, armato come un militare con elmo in testa e scudo al braccio sinistro, e Venere, dea dell’amore.  Davanti a loro stanno due donne, una con il compasso e l’altra che suona una tromba, forse simboleggianti la discrezione e la fama. Si notano pure due animali, il lupo che era sacro a Marte e il cigno - con il volto piuttosto raro - che era sacro a Venere.  Il tema dell’intimità tra Marte e Venere è molto noto nella mitologia classica greca e romana, e sviluppato anche nelle pitture pompeiane e più anticamente disegnato sulle anfore del VII° secolo a.C. Fu anche un tema molto sentito dai poeti romani. Lucrezio (I° sec. a.C.) così scrisse: “Marte, il possente sovrano signor delle guerre tremende dalla tua eterna ferita di amore domato, si piega, oVenere ... in te soltanto perduto “.  In centro sta il trionfo di Venere, la divinità che rappresenta la primavera. La dea dell’amore è seduta su un carro ben lavorato. Sul carro davanti sta un cesto di frutta e un satiro che suona la siringa: forse è lo stesso Pan, deforme e grottesco, con due corna in testa, gli zoccoli e i piedi di capra (già un piccolo satiro appare nell’affresco di Cerere e alcuni satiretti stanno nell’affresco di Pomona).  Dietro a Venere sta un suonatore di liuto. In alto è Amore, raffigurato come un bellissimo fanciullo alato, armato di arco e di frecce e sta sempre in compagnia con la dea della bellezza e dell’amore Venere.  L’affresco di destra rappresenta Ermes, romanizzato in Mercurio; era il dio protettore dei viaggiatori, ma anche il dio della destrezza, della furbizia e dell’abilità - non a caso è il protettore del commercio lecito e illecito.  L’affresco riferisce l’episodio delle mandrie di Admeto: Ermes mentre era il viaggio si imbattè in una delle mandrie che Admeto aveva affidato alla custodia di Apollo, e riuscì a farsi seguire dalle bestie, dopo aver loro astutamente messo i ferri dei piedi all’incontrario, per cui gli eventuali ricercatori non ne potessero seguire le orme.  Apollo, dopo la rabbia e dopo aver fatta la pace perchè Ermes gli donò la cetra, regalò allo stesso Ermes la verga d’oro, cioè il caduceo (dal latino caduceum = la verga degli araldi).  Ermes tiene nella sinistra il caduceo, un bastone attorno al quale si intrecciano due serpenti: un giorno Ermes vide due serpenti che lottavano fra loro e, per dividerli, lanciò il suo bastone; i serpenti vi si avviticchiarono intorno; il dio raccolse il bastone e da allora in poi volle portarlo come segno di pace.  Ermes porta in testa il caratteristico cappello a due tese, chiamato petàso, cappello alato (le alette si vedono bene): tale cappello caratterizza il dio dei viaggi.  Sulla parete che sta a destra guardando il camino ci si presentano tre buoni affreschi. L’affresco di centro manifesta il trionfo di Cerere. Su un carro rustico sta seduta la dea tenendo nelle mani le spighe dei cereali. Il carro è trainato da due cigni e guidato da due uomini, uno che beve e l’altro che tiene alto un vassoio con la frutta. Dietro la dea sta seduto un servetto che porta un ramo e ancor più dietro è un satiretto che sta suonando.  Cerere è la dea della vegetazione e delle biade; è un’antichissima divinità italica. In suo onore venivano celebrate le festa dette Ceralia e durante le feste le si offrivano le primizie dei campi.  Nell’affresco l’uomo che beve ricorda la gioia festosa e l’uomo che alza il vassoio con la frutta è simbolo dell’offerta delle primizie.  L’affresco che sta a sinistra presenta sullo sfondo un vasto e vario paesaggio: tronchi d’albero, prati con filari di piante, picchi di monti vicini e lontani, spiaggia marina con due golfi e abitazioni.  Vi sono due uomini e due donne. Il primo personaggio sulla sinistra vestito da re, con la corona in testa, il tridente nel braccio sinistro e una grossa collana al collo rappresenta il dio re Nettuno, un antico dio italico fluviale; l’altro personaggio che stringe nella sinistra un mazzo di spighe è Trittolemo, maestro di agricoltura.  Ma le fisionomie dei due personaggi ricalcano per il primo (Nettuno) il profilo esatto del marchese Gian Giacomo come sta su parecchie monete, per il secondo (Trittolemo) Giovanni Angelo futuro papa Pio IV°; con il volto assai simile a quello che sta in varie parti delle sue biografie.  Le due donne, una delle quali porta il correggiato, cioè lo strumento rustico per battere le biade, composto da due bastoni uniti insieme da una striscia di cuoio, l’altra porta un rastrello, danno significato alla scena.  Infine il terzo affresco mostra Apollo, che ha come appellativo Febo e significa “luminoso” e che veniva attribuito al dio quando lo si considerava personificazione della benefica luce solare - nell’affresco la sua chioma è stata ornata con densi raggi splendenti -.  Tiene nelle mani il tetracordo, lo strumento musicale a quattro corde: oltre che divinità solare era il dio della musica, delle arti e della poesia.  Essendo considerato il poeta di Giove, i suoi oracoli erano tenuti in grande considerazione: sulla sinistra dell’affresco sta appoggiata e seduta ad un albero la sibilla italica Deìfobe, sacerdotessa di Apollo con un piccolo rastrello vicino.  Procedendo verso destra ci si incontra con l’ultimo affresco della nostra analisi. La pittura rappresenta un uomo, col manto simile al tosone, cioè alla pelle di ovino, con la spada al fianco che sta assistendo ad uno strano fenomeno: una donna appoggiata sul bastone perchè anziana subisce una trasformazione che inizia dalla testa.  La scena richiamerebbe il mito di Asteria, personificazione della notte stellata. Fu amata da Giove, ma essendo venuta in odio a lui per la sua vecchiaia fu trasformata in quaglia e visse nell’isola di Ortigia che significa “isola delle quaglie”.  Nell’affresco vi è una quaglia sull’albero e una in terra quasi accanto al personaggio maschile. Anche su questo affresco non è ancora detta l’ultima parola sia perchè alcuni studiosi lo interpretano come il mito dell’Araba Fenice, l’animale che risorge dalle sue ceneri, per significare l’anno che muore, sia perchè si tratta di spiegare chi sia il personaggio che sta in piedi ad assistere la scena.
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