LE PAROLE DELLA SCHIAVITÙ
Articolo pubblicato su Il Sodalizio
- anno I - n. 2 - ottobre 1986
Prima di addentrarci in un'esposizione
etimologica dei termini riguardanti la schiavitù nel mondo romano
e in quello barbarico è necessario far chiarezza sulla parola italiana
schiavo.
Essa deriva dal termine tardo-latino SLAVUS
che venne ad assumere, in età medioevale, lo stesso significato
che aveva avuto fino ad allora il termine classico latino SERVUS
da cui in italiano si ha l'equivalente servo.
Slavus si è evoluto e
indica lo stesso concetto non solo nelle lingue neolatine ma anche in quelle
del ceppo germanico. Molti schiavi erano infatti, in quell'epoca, stranieri
in genere (non romani e non barbari) e spesso appartenenti a quelle popolazioni
slave che premevano da Oriente sui regni germanici e tra le quali i mercanti
di schiavi trovavano materiale umano di prim'ordine. II termine latino
'servus' venne invece a designare non soltanto gli schiavi ma anche i liberi
coloni legati per legge alla terra, gli ‘ascripticii', in una forma di
semi-schiavitù che venne poi a identificarsi pian piano con la schiavitù
vera e propria.
A Roma al tempo della prima
repubblica, lo schiavo faceva quasi sempre parte della ‘ familia rustica
' e veniva chiamato ‘ famulus ' in contrapposizione agli altri componenti
che erano 'ingenui' cioè liberi; non veniva in genere trattato molto
male e le sue condizioni erano legate a quelle della famiglia romana patriarcale
nella quale era inserito. Non era infrequente vedere uno schiavo a capo
delle squadre di schiavi che lavoravano in campagna e come supervisore
dell'attività agricola ( vilicus ): il loro lavoro, il vitto e il
vestiario erano però ferreamente regolati dal padrone, il ‘ patronus
', che durante la notte, per evitare tentativi di fuga, li chiudeva in
prigioni chiamate ‘ ergastula '.
Se invece che in campagna il
padrone risiedeva in città, i suoi schiavi facevano parte della
‘ familia urbana '.
Dal III sec. a.C. in poi le
condizioni degli schiavi peggiorarono enormemente: le grandi guerre di
conquista avevano immesso sul mercato un'ingente quantità di prigionieri
ed erano attivi enormi mercati come quello dell'isola di Delo che ne smistava
migliaia al giorno per le necessità del grande latifondo formatosi
per la concentrazione della proprietà terriera.
Gli schiavi non avevano alcun
diritto, erano un puro ‘ instrumentum vocale ' e le loro unioni non possedevano
alcun valore legale ( la Chiesa romana le riconoscerà valide solo
nell'Alto Medioevo) ma erano semplici ‘ contubernia '. Inumano era il trattamento
loro riservato: venivano bastonati o frustati per un nonnulla - la punizione
si chiamava ‘ verberatio ' ed era somministrata con la ‘ scutica ', uno
scudiscio di cuoio, o col ‘ flagellum ' , scudiscio di cuoio con punte
di ferro. Se ripresi dopo un tentativo di fuga, erano marchiati a fuoco
sulla fronte sulla quale restava impresso lo ‘ stigma '; spesso venivano
uccisi; se ammalati e quindi incapaci di lavorare venivano relegati, in
epoca repubblicana, sull'Isola Tiberina in attesa della morte: se forti
e aitanti erano invece avviati alla carriera gladiatoria, così che
il proprietario poteva sfruttarne le abilità anche in questo campo.
Era naturale allora che lo schiavo si ribellasse, provasse a fuggire e
che, riuscito nell'impresa, per sostentarsi e per odio si desse al brigantaggio:
innumerevoli furono le disposizioni di legge che regolavano la cattura
e la punizione dello schiavo fuggiasco; in epoca imperiale si costituirono
vere e proprie figure di cacciatori specializzati nel riprendere gli schiavi
fuggiti, i terribili ‘ fugitivari ' . Si arrivò anche, in epoca
graccana, a guerre servili (IV sec. a.C.) che preoccuparono grandemente
Roma, la maggiore delle quali ebbe luogo in Sicilia dove si giunse alla
costituzione di un vero e proprio stato di schiavi che cadde solo per il
tradimento di uno di loro.
È interessante notare
al proposito che a tali rivolte prendevano regolarmente parte anche le
plebi rurali che vivevano in condizioni miserrime di disoccupazione poiché
ovunque era preferito il lavoro servile. A ciò conseguì naturalmente
un grande inurbamento di queste masse agricole che andarono a ingrossare
le file del proletariato urbano abituato a vivere di frumentazioni e di
parassitismo.
Ma la più grande e la
più pericolosa di queste rivolte di schiavi fu, nel I° sec.
a.C., quella di Spartaco che tenne impegnata Roma per tre anni con alterne
fasi. Negli ultimi decenni dell'epoca repubblicana si fece lentamente strada
l'idea che, a tutela del patrimonio individuale, era più proficuo
l'impiego del lavoratore libero per le mansioni più dure al posto
dello schiavo e questo mentre fallivano tutti i tentativi di ridistribuzione
agraria intrapresi dai Gracchi prima e più tardi messi in opera
anche da Cesare e da Augusto, con la conseguenza che la plebe inurbata
divenne sempre più misera e corrotta.
Si andò delineando anche
una differenza tra schiavi privati e schiavi pubblici, schiavi cioè
assunti dallo Stato per mansioni pubbliche a livello soprattutto burocratico.
Essi si trasformarono poi, in età imperiale, nei cosiddetti ‘servi
Caesaris', cioè schiavi dell'Imperatore. Possibile era, lo era sempre
stata, la ‘ manumissio ' dello schiavo, per atto pubblico o privato, il
quale diventava quindi ‘ libertus ' o ‘libertinus'; tale classe, priva
dei diritti politici ma agli inizi strettamente legata a quel ceto senatorio
ed equestre da cui era prodotta, si fece pian piano largo in quasi tutte
le attività burocratiche, commerciali e finanziarie fino ad assumere
su di sé un potere sempre maggiore così che alcuni Imperatori,
come ad es. Augusto, furono costretti a cercare di limitarne l'autorità.
Tutto fu inutile, tanto che
questi "parvenus" arrivarono praticamente a soppiantare la classe aristocratica
che li aveva manomessi e a svolgere un ruolo politico molto importante
nelle diverse fazioni imperiali impegnate ne!la lotta per il potere.
Nel Tardo Impero gli schiavi
diminuirono in relazione alla diminuita potenza bellica di Roma anche se
di quando in quando qualche fortunata campagna, come quella di Claudio
II in Mesia contro i Goti (270 d.C.), procurò un ingente numero
di schiave barbare o qualche battaglia fortunata, come quella di Stilicone
a Fiesole contro i barbari di Radagaiso (406 d.C.), fece addirittura crollare
il prezzo degli schiavi sul mercato per l'ingente numero di prigionieri
catturati.
Vi fu però contemporaneamente
anche una crisi del lavoro libero nei ‘ latifundia ', per cui pian piano
maturò la decisione di vincolare per legge i coloni ( ascripticii
) alla terra anche in seguito al livellamento delle condizioni di vita
dei due gruppi che tendevano a confondersi.
All'epoca delle invasioni barbariche
v'erano tuttavia ancora molti schiavi, forse ancora di più che nei
primi tempi dell'impero-.
La loro origine era quella solita
c cioè guerra, pirateria, nascita da persona in schiavitù,
insolvenza verso un creditore o per essersi sottratti al servizio militare
o al censimento: erano numerosi quelli di origine germanica che venivano
generalmente e sbrigativamente chiamati ‘sciti', ma anche molti romani
erano in mano ai barbari. Essi venivano però in genere riscattati
perché i barbari erano soliti far commercio degli schiavi che si
procuravano attraverso razzie nelle zone confinarie.
In questo periodo il padrone
aveva capito che gli conveniva di più affittare al suo schiavo un
piccolo appezzamento di terra dietro pagamento di un canone e di una lunga
serie di prestazioni in natura e opere: si passò così dalle
manifatture servili al frazionamento del latifondo ( tenimentum ) che venne
affidato a schiavi ( tenentes ) che provvedevano a sé e al padrone
senza che per questo la manifattura servile scomparisse del tutto.
Anche i barbari, dopo le migrazioni,
mantennero questo appoderamento che avevano già conosciuto nel loro
ordinamento sociale con i semiliberi. Il loro sistema di manomissione,
già precedentemente sviluppatosi. venne con le invasioni a coesistere
con quello romano e talvolta a intrecciarsi con esso, causando grande confusione.
Nel mondo gotico gli affrancati
si chiamavano ‘ fraleto ' con un termine che viene dal verbo ‘ lêtan
' = lasciare (ted: lassen); presso i Franchi, i Sassoni e i Frisi essi
erano chiamati ‘ lata ' o ‘ laza ', da cui si sviluppò la forma
latina tardo imperiale ‘ laeti ' nome che peraltro serviva a designare
anche i soldati germanici rimasti sul territorio imperiale a coltivare
qualche fondo.
Tale forma passò in seguito,
nei documenti redatti in latino, a quella di ‘ litius 'mentre in epoca
longobardica nacque la voce ‘ aldius ' per designare il liberto. In epoca
barbarica erano infatti frequenti gli affrancamenti indotti anche dalla
Chiesa Cattolica il cui atteggiamento era, almeno in linea puramente religiosoteorica,
contrario alla schiavitù. In realtà essa era favorevole
al suo mantenimento a livello pratico in quanto proprietaria di numerosissimi
possedimenti su cui lavoravano migliaia di schiavi che non erano nemmeno
ammessi al sacerdozio e le cui unioni, come si è già detto,
vennero riconosciute valide solo in seguito. L'affrancamento che
la Chiesa raccomandava era dunque ispirato a motivi di coerenza religiosa
ma anche più strettamente economici ed era in genere una ‘ manumissio
cum obsequio ', mentre molto rara era la formula ‘ sine obsequio ' . Questo
‘ obsequium ' non era soltanto una ubbidienza formale al padrone ma comprendeva
una vera e propria serie di obblighi che in seguito si passò ad
esigere anche dai liberi coloni. Quanto a questi, continuarono a
restare vincolati alla terra, salvo che durante la breve parentesi del
regno di Teodorico che abolì il rescritto imperiale, e finirono
per essere chiamati ‘ servi ', come si è già detto, mentre
il fondo su cui lavoravano si chiamava ora, con voce germanica, ‘ mithium
'.
Pian piano anche le forme ‘
servus ' e il suo femminile ‘ ancilla ' scomparvero e verso l'inizio del
XIII secolo vennero sostituite da termini come ‘ homo ligius ' e ‘ homo
/ foemina de corpore ' . Quest'ultima espressione, "uomo di corpo",
si impose lentamente fino a diventare quella usuale in tutto il Medioevo.
Il termine che noi tutti conosciamo
invece per questo periodo - servo della gleba - fu usato molto raramente,
essendo praticamente una "invenzione" del grande giurista bolognese dell'XI
secolo, Irnerio, il quale, in alcune glosse al ‘ Digestum ' giustinianeo,
definì la condizione dell'ascripticius (cioè del colono)
come quella di un "servo della gleba" (glebe servus) prendendo il vocabolo,
forse per associazione di idee, dal ‘ Corpus iuris ' di Giustiniano. |
REPUBBLICA - PRIMO IMPERO
SERVUS:
in origine ‘guardiano' dalla radice indoeuropea *swer = osservare. Persona
non libera, in contrapposizione a INGENUUS e LIBER. In it. ‘servo', osco
FAMEL e lat. arcaico FAMUL da cui anche FAMILIA, anch'esso di etimologia
incerta. In it. FAMULUS ha originato la voce burocratica ‘famiglio', pari
alla voce servo.
INGENUUS
< in – geno/gigno (cfr: sanscr. jánati e greco eghenómen)
significa: indigeno, del paese e quindi nato libero. In it. ‘ingenuo '
come candido, inesperto, non smaliziato.
VILICUS
< VILLA., dalla stessa radice di VICUS = villaggio. VILICUS significava
castaldo., fattore/amministratore. Lo stesso in it. con, in più,
il significato di ‘abitante del contado'.
ERGASTULUM
< gr. ergázesthai = lavorare, da cui l'italiano ‘ergastolo' inteso
come ‘prigioe a vita'.
INSTRUMENTUM VOCALE:
Strumento provvisto di voce. Varrone. nel De re rustica , divide così
gli strumenti per coltivare i campi: il genere parlante (schiavi), quello
a voce inarticolata (buoi) e quello muto (carri) (1.17)
PATRONUS
< pater = difensore di un cliente. In it. 'padrone' e 'patrono' anche
come 'santo protettore'.
CLIENS
< (cluens/clueo?) = protetto dal patrono. In it. 'cliente' = colui che
acquista d'abitudine sempre nello stesso negozio.
PECULIUM
< PECUNIA= somma di denaro con cui lo schiavo pagava l'affitto per il
suo fondo. Dal termine PECUS = bestiame, indicativo di un'epoca in cui,
in assenza di denaro, contava il numero delle greggi e degli armenti. Tale
voce si è conservata anche in altre lingue (cfr: ted. Vieh = bestiame,
attraverso la seconda rotazione consonantica). In it. 'pecunia' e 'peculio'
come voci dotte. 'Denaro' deriva invece dalla moneta romana DENARIUS (cioè
da DENI/ASSES) = di dieci assi. ‘Soldo' deriva da SOLIDUM/SOLDUM = la somma
intera.
DEMENSUM
< demetior = misurare.
Era la razione o porzione data
agli schiavi per il loro mantenimento, quindi una specie di stipendio mensile.
CONTUBERNIUM
< cum – taverna = Il dividere assieme una 'taberna', cioè una
baracca o una bottega. Quindi una coabitazione e, se praticata dal libero
con una schiava, 'concubinato'. In it. 'taverna' come 'osteria' che in
lat. si chiamava invece 'caupona'.
MANUMISSIO
< manu – mittere = mandare libero con la mano, affrancamento, che è
invece parola di origine germanica, dall'etimo FRANKA = libero, dai pieni
diritti. In it. 'manomissione' come 'alterazione' o 'modificazione' di
qualcosa.
LIBERTUS/LIBERTI NUS:
= schiavo affrancato. In it. 'libertino' come 'persona dissoluta dedita
a facili amori'.
MANCIPIUM <
manu-capio = prendere con la mano, quindi l'acquisto. la proprietà.
'Res mancipii' sono gli schiavi sui quali il padrone ha l'assoluto diritto
dì proprietà.
In it. 'emancipare' inteso etimologicamente
come 'rendere qualcuno libero e indipendente'.
FLAGELLUM
< FI.AGRUM = sferza, frusta. In it. in senso figurato 'flagello' come
evento che reca danni e rovine.
STIGMA
< gr. STIGMA = puntura. Significa bollatura, marchio. In it. 'stigmatizzare'
= disapprovare vivamente; 'stimmate' = segno prodotti dai chiodi alle mani
e ai piedi di Gesù crocifisso; '(a)stigmatico' = (in) capace di
mettere a fuoco le immagini.
LATIFUNDIUM
< latus – fundus = latifondo anche in it. |
TARDO IMPERO - MEDIOEVO
SLAVUS:
= Voce del tardo-latino per designare un prigioniero slavo, riferentesi
quindi a una popolazione e poi subentrata al classico SERVUS e passata
con questo significato in molte lingue neolatine e germaniche. It: schiavo:
fr: esclave; ted: Sklave: ingl: slave: oland: slaaf.
TENIMENTUM
< Teneo. Voce tardo-latina per indicare il fondo assegnato allo schiavo
o al colono.
TENENTES
< Teneo = coloro che conducono i fondi. In it. 'tenente' per (luogo)
tenente = che tiene il posto = ufficiale
LAETUS/LITUS
= Barbaro che riceve dall'Impero delle terre da coltivare dietro pagamento
di un tributo. Questa voce viene però dal gotico 'lêtan' =
lasciare (ted. lassen) e precisamente dal termine 'fralêto' (ted:
freilassen = mettere in libertà) che designava lo schiavo affrancato.
Lo stesso significa anche la voce longobarda ALDIUS.
ASCRIPTICIUS
< ascrivo = servo che passa in proprietà del nuovo padrone insieme
col fondo. In it. 'ascrivere' = annoverare, scrivere nel numero.
COLONUS
< colo = coltivatore. In it. 'colono' come 'contadino'.
OBSEQUIUM
< obsequi = accondiscendere. Significa ubbidienza. In it. 'ossequio
' = deferenza.
Parallela a questa voce classica
si svilupparono in età barbarica e medievale i termini :
MUNDIUM
da una voce longobarda (ted: mündig = maggiorenne, emancipato)
e la voce franca
LITIMONIUM
dal termine LITUS già visto.
MITHIUM
= TENIMENTUM = fondo.
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