Olga infatti abitava in una izbà, appena fuori dalle possenti mura di legno di Pskov, nella zona detta in russo posàd dove abitavano i nobili minori e gli artigiani. L’izbà è una costruzione molto complessa, tutta di legno (i chiodi di ferro non si usavano a quel tempo). Si partiva da una piattaforma di tronchi staccata da terreno in modo da permettere la circolazione dell’aria sotto il pavimento, isolando questo così dall’eventuale terreno ghiacciato sottostante. Sulla piattaforma si costruiscono gli ambienti in cui l’izbà è tradizionalmente divisa.
Questi ambienti sono tre, uno contiguo all’altro. La parte dove si vive abitualmente viene detta bianca (bèlaja izbà) e ha nell’angolo interno la monumentale ed enorme stufa (pec’ka) fatta di sassi e argilla, col comignolo che viene fuori dal tetto … per le izbe della gente ricca, però! I poveri i comignoli non ce li hanno, e il fumo in questo caso deve cercare di uscire dal foro lasciato sempre aperto nel frontone che unisce i due spioventi del tetto oppure da altri fori delle pareti.
La parte superiore della pec’ka costituisce una specie di terrazzino dove c’è un bel piumone imbottito e lì si può dormire al caldo, insieme al gatto di casa. La funzione di una stufa così enorme è quella di riscaldare l’ambiente o cuocere i cibi, seccare le granaglie e la frutta, asciugare i panni appena lavati e persino … per fare la sauna!
La sauna nella stufa si faceva di solito dopo la cottura del pane. Tirate fuori le grandi pagnotte, il forno di solito è ancora rovente e allora si pone al suo interno una bacinella d’acqua e si prova se la temperatura è sopportabile. Per vedere poi se va bene dopo un po’, si getta una manciata di farina dalla bocca del forno: se brucia, bisogna aspettare ancora un po’, se invece non brucia, allora via … Olga e sua madre, nude, entravano nel capace forno con un ramo di betulla nelle mani (o un mazzo di paglia, se non c’è di meglio). Si chiudeva il forno e le due donne intingevano nell’acqua e strofinavano il soffitto della stufa generando così vapore. Si continuava l’operazione finchè si resisteva rinchiuse e rannicchiate. Quando proprio non ce la facevano più, allora si veniva fuori e nude come erano con i rami in mano, si correva a gettarsi nella neve all’esterno, se si era d’inverno, altrimenti in una catinella d’acqua fredda o nel vicino fiume, fustigandosi l’una con l’altra! Si diceva che l’acqua migliore nella quale tuffarsi fosse quella ricavata dallo scioglimento della neve marzolina che guariva tutti i malanni.
Intorno alla stufa e lungo le pareti dell’izbà correvano delle mensole: in alto per porvi oggetti e suppellettili e in basso per sedersi o rannicchiarsi a dormire, sia gli eventuali ospiti che i membri della famiglia, al lume di qualche candela che brucia tutta la notte, avvolti in una calda pelliccia di agnello (gli innamorati si riscaldavano in altro modo, naturalmente!).
Il fuoco nel forno non veniva mai spento del tutto e guai a quella donna che non avesse curato il fuoco e questo si fosse malauguratamente spento: il marito aveva addirittura il diritto di cacciarla via di casa! Solo la notte di Kupala la stufa veniva spenta, la si puliva dalla cenere che veniva raccolta a parte per farne ranno e sapone e solo dopo la si riaccendeva con la brace ardente e benedetta dei falò accesi sulle alture per festeggiare la mezzaestate.
Di fronte alla stufa c’era il cosiddetto angolo bello (belyi ugolòk) con la finestra bella (beloe oknò) esposta a Sud e sempre illuminata dal sole. Le izbe ricche hanno delle lastrine di mica trasparente alle finestre in inverno al posto dell’introvabile vetro, ma di solito si usano le vesciche degli animali domestici che, ben tese, diventano così trasparenti da potersi distinguere bene l’esterno, attraverso di esse! I poveretti invece, se non hanno altro, quando fa freddo, fanno gelare un velo d’acqua sui fori che fanno da finestre nelle loro izbe!
Sotto la finestra c’è l’unico tavolo della casa con qualche sgabello e vicino ad esso una mensoletta speciale per i simulacri (kumìry) dei padri protettori che, quali antichi padroni di casa, tengono lontano ladri e fuoco.
Chissà quante volte nei lunghi inverni Nordici la nostra Olga rimaneva a guardare fuori da questa finestra, sognando e cantando dolci canzoni d’amore!
Dai ciudi infatti aveva imparato a cantare come facevano loro, tenendosi le mani con le mani e dondolandosi ritmicamente mentre si cantavano le favolose gesta di personaggi antichi e vissuti chissà quanto tempo prima. C’erano tante occasioni per cantare e ballare: un matrimonio, una nascita, la semina, il raccolto, una morte etc. In cerchio si ballava e si cantava in coro … e poi lei aveva anche una bella voce.
Il secondo ambiente dell’izbà è il vestibolo (seni) separato dall’izbà bianca da una parete comune e dall’esterno dalla porta d’entrata. L’altra parete parallela del vestibolo è invece comune con l’altro ambiente dell’izbà classica, la cosiddetta izbà nera (cjòrnaja izbà).
Nel vestibolo è d’obbligo togliersi le calzature prima di entrare in casa dove di solito ci si muove a piedi nudi, tutt’al più indossando le diverse scarpe fatte di scorza di tiglio a disposizione degli ospiti in diverse misure (lapty). A nessuno invece è consentito sostare sulla soglia della porta: porta sfortuna! In fondo al vestibolo, opposto alla porta d’entrata, c’è un’altra porta che dà in una scala coperta esterna (krylzò) che scendeva nella cantina sottoterra. L’izbà nera in effetti era un magazzino non scaldato e abitato, ahimè!, dai topi portatori di peste e distruttori voraci di derrate alimentari.
Il tetto è a due spioventi nel Nord con mansarda impraticabile e inaccessibile. Sugli spioventi si pone paglia intrecciata e terriccio e vi si lascia crescere l’erba. All’apice dell’unione dei due spioventi, corre una trave che finisce di solito con la testa di un animale totemico che guarda sempre il sole nascente.
Davanti all’izbà c’è il pozzo coperto con un tettuccio e con un lunghissimo braccio di legno che solleva il secchio pieno d’acqua, agendo sul contrappeso all’estremità del lungo palo. A parte ci sono le stalle per gli animali più grossi e le stie per le oche. D’aprile gli animali di mole più grande vengono mandati liberi a pascolare nel bosco vicino.
Un alto steccato dipinto a vivi colori tutt’intorno completa l’opera. Questa era l’abitazione delle Terre Russe del Nord. Nelle Terre del Sud, nella campagna intorno a Kiev ad esempio, l’izbà è seminterrata, la stufa ha dimensioni meno monumentali perché qui non fa così freddo e l’ambiente corrispondente all’izbà bianca del Nord, qui è sopraelevata rispetto al luogo dove si riposa di notte e si chiama cerdàk.
|