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Computers La caduta di Monsignor Grande Novgorod
scritto di: Aldo C. Marturano
La capitolazione
A metà dicembre ecco ritornare Monsignore che chiede solo pace, senza discutere di altro. A Novgorod malgrado le incitazioni di Marta Borezkaja e delle sue alleate ed amiche bojare che hanno fatto comunella con lei, regna la disperazione più profonda perché non si vede alcuna via d’uscita senza un aiuto esterno e i Polacchi finora non si sono più visti! L’unica persona sulla quale Novgorod avrebbe potuto contare in tutti i sensi e che invece è stata sempre messa da parte e trattata come un semplice funzionario alla mercé dei bojari è il principe suzdalese Basilio Sciuiskii Grabjònok che, stanco e sfiduciato, il 28 lascia la città al suo destino e si mette al servizio di Giovanni… Alla fine si decide di inchinarsi, almeno formalmente, al Principe affinché costui lasci in pace la città, lasciando indenni le proprietà bojare e lasciando che la città continui a governarsi come ha sempre fatto, con tutti i loro costumi e le loro leggi in vigore. Le condizioni sulle quali Mosca insiste però sono sempre le stesse e dopo qualche giorno Monsignore deve ritornare a discutere ed ad implorare ancora con i posadniki Giacobbe Korob ed altri. Giovanni però si rifiuta di incontrarli e l’unica risposta è: “Tu, caro nostro predicatore, e tutta la tua Novgorod mi avete riconosciuto vostro signore ed ora volete insegnarmi come governarvi, lasciandovi le vostre leggi e i vostri costumi?” E i novgorodesi: “Non abbiamo mai osato indicare come governare, ma vogliamo solo farti sapere che come signore abituato a governare Mosca userai dei modi e delle leggi che noi non conosciamo e ciò ci preoccupa.” E la risposta di Giovanni è quella che abbiamo riportato al principio del nostro lavoro: “Sappiate che la Campana della Vece non sarà più suonata in questa città che ora appartiene al mio demanio personale, né ci sarà mai più un sindaco o capocittà come prima e Novgorod sarà inglobata all’interno del mio stato, delle mie proprietà, dei miei villaggi come è già per le mie città nella Bassa del Volga…” Finalmente in un nuovo incontro l’Arcivescovo dichiara che Novgorod è d’accordo con le richieste di Giovanni e solo implora che lasci i novgorodesi nelle loro città e nei loro villaggi e che non li deporti in terra straniera e che lasci che continuino ad avere propri tribunali. Giovanni acconsente, ma è solo una mossa tattica del momento. Anche perché quando Monsignore gli chiede di giurare sulla croce, come da sempre tutti i principi hanno fatto a Novgorod quando prendevano accordi con la città, Giovanni dichiara con alterigia che un signore universale come lui non giura, dà la sua parola e questa deve bastare. Insomma non è ancora finita e alla Vece di quel giorno, mentre Marta Borezkaja disperata e invecchiata rimaneva chiusa nella sua casa, mezza rovinata, si discusse ancora se continuare a far la guerra e quando si ribadì la decisione di resistere ulteriormente, Basilio Sciuiskii si defilò e si consegnò a Giovanni, perché sapeva che i novgorodesi non ce l’avrebbero mai fatta. Ci fu un nuovo incontro e le condizioni di resa erano ora diventate sempre più pesanti: Giovanni richiedeva che tutti i Quinti venissero smembrati e passati in gestione a Mosca e solo la metà delle proprietà sarebbe rimasta ai proprietari attuali. Le discussioni e le trattative durarono ancora una settimana mentre in città imperversava la malattia e la fame. Monsignore sapendo che la gente odiava i moscoviti e che non avrebbero assolutamente accettato che si presentassero dei funzionari a fare il maledetto censimento per stabilire la nuova tassa richiesta da Mosca chiese che il censimento venisse fatto dai novgorodesi stessi che sarebbero stati coscienziosi e veritieri e Giovanni questo l’accettò. A questo punto l’accordo fu raggiunto e dopo il giuramento dei novgorodesi il 15 gennaio 1478 la Vece fu dichiarata fuori legge e senza alcun vigore legale. Il 18 gennaio i bojari, compresa Marta Borezkaja, i borghesi e i giovani bojari fecero la proskynesis (in russo battere con la fronte ossia bit’ celom) e Giovanni permise che i cantoni della città si riorganizzassero secondo un nuovo ordine e che facessero un’ultima assemblea popolare. Dopodiché mandò una lettera a sua madre dicendo che Novgorod è ormai entrato nel mio dominio! A febbraio ordinò poi che Marco figlio di Panfilio, Marta Borezkaja e suo nipote (figlio di Teodoro il Sempliciotto) Basilio, Gregorio figlio di Cipriano, Giovanni figlio di Cosimo, Giacinto il Borghese col figlio Romano, Giorgio Repehov fossero incatenati e deportati a Mosca incolpati e condannati per alto tradimento e lesa maestà e che tutte le loro proprietà (ed erano tante) fossero immediatamente confiscate. Fu nominato namestnik di stanza alla Cittadella il duro Giovanni Obolenskii-Strigà che firmò tutte le trattative finora concluse mentre per la Riva di Santa Sofia furono destinati due altri bojari i quali sequestrarono dall’Arcivescovado tutto l’archivio che fu spedito immediatamente a Mosca. Prima di lasciare definitivamente la città Giovanni però doveva annientare Marta Borezkaja che fu infatti arrestata insieme a suo nipote (il figlio di Teodoro il Sempliciotto) e costretta a chiudersi in convento. Il 17 febbraio Giovanni lasciò la città di prima mattina per tornare a Mosca… Si disse che la marcia di ritorno fu lentissima e non per il ghiaccio delle strade da percorrere, ma perché il corteo portava con sé tutte (o quasi) le ricchezze mobili di Novgorod su oltre trecento carri carichi d’argento e di altre cose preziose. E non era ancora tutto finito, perché liquidata la Vece, rimaneva da liquidare Monsignor Teofilo. Il grande Arcivescovo aveva tentato anche lui di ingraziarsi Giovanni prima della partenza del 17 febbraio regalandogli quasi tutte le suppellettili preziose della cattedrale, ma non c’era evidentemente riuscito perché nel 1479 Giovanni ritornò a Novgorod, arrestò Teofilo e lo deportò a Mosca per tradimento, accusandolo di aver tramato contro di lui con la Lituania alleandosi con Marta Borezkaja. Teofilo, il grande patriota novgorodese, fu rinchiuso nel Monastero dei Miracoli del Cremino e dopo qualche anno morì. Il suo posto fu preso da un certo priore moscovita Sergio, scelto sempre secondo l’uso novgorodese, ma fra tre nomi graditi a Mosca. Dopo qualche mese però l’improntitudine di costui risultò così odiosa che “per cause di malattia” si ritirò e al suo posto fu eletto una figura culturalmente importante per la storia russa: l’archimandrita Ghennadio. Questo Monsignore era un funzionario della Curia Metropolitana e fautore dell’unione con Mosca e, suo malgrado, fu l’ultima scintilla della cultura novgorodese. Ghennadio si trovò a dover essere un perseguitore degli eretici, i famosi giudaizzanti, che, secondo le voci, erano stati protetti da Teofilo e da Marta Borezkaja e che ora tornavano alla ribalta. Così in quegli anni i tribunali ecclesiastici novgorodesi non funzionarono mai come allora con tal frequenza e con tale intensità e la Piazza del Mercato non vide mai tanti roghi nei quali questi “eretici” e i loro libri dati alle fiamme senza pietà. Ghennadio in quella occasione si accorse che purtroppo quando gli eretici scrivevano o parlavano e facevano riferimenti e citazioni da scritti sacri delle religioni cristiana e giudaica purtroppo nessun uomo del nuovo clero novgorodese era in grado di controbattere poiché questi scritti, che avrebbero dovuto essere patrimonio della cristianità ortodossa da sempre, non esistevano tradotti in lingua russa. Dunque Ghennadio trovò testi e traduttori ovunque potesse, anche e soprattutto all’estero, e mise insieme finalmente la cosiddetta Bibbia Ghennadiana. Tutto quello che rimaneva dell’archivio scritto di Santa Sofia fu da lui rivisitato e rimesso in ordine e fu usato per le varie raccolte di scritti e di libri dottrinari necessari. I lavori furono portati a termine praticamente alla fine del XV sec. Si può forse dire, facendo un parallelismo con il lavoro del vescovo Vulfila col la lingua gotica, che questa Bibbia costituì uno dei primi monumenti della lingua russa moderna. I Giudaizzanti, “piaga culturale” tipicamente novgorodese, diventarono un problema nazionale russo e persino san Nilo Sorskii identificava costoro con il partito di Marta Borezkaja e del suo paredro Teofilo. Sia Ghennadio sia il suo aiutante Giuseppe di Volok Lamskii perciò condussero con ardore il lavoro dell’eliminazione fisica di quest’ultima voce novgorodese, completando il silenzio culturale che ormai ricopriva la grande Novgorod per ordine di Giovanni III. Fu un costante esodo da Novgorod di persone di tutti i livelli sociali che per ordine di Ghennadio furono mandati a Mosca e dintorni dalle 6 alle 8 mila famiglie in un solo anno! Lo svuotamento delle persone importanti, eretiche o no, comunque continuò per qualche tempo e alla fine neppure un bojaro rimase nel nord e l’Eparchia novgorodese decadde sempre più quando, accanto a Monsignore, Mosca aggregò un suo bojaro, un economo speciale e un segretario. Ad ogni modo anche il commercio internazionale fu interrotto per costringere Novgorod a scomparire quando nel 1494 Giovanni III con una scusa chiuse la Corte di San Pietro, arrestò 49 mercanti e confiscò merce per 96 mila marchi d’argento, una somma enorme! Tutti i traffici dovettero d’ora in poi concentrarsi su Mosca e sui nuovi mercanti moscoviti (e novgorodesi costretti a trapiantarsi nella nuova capitale). Una cosa strabiliante è che nel XVI sec. (!!), al tempo del vescovo svedese Olao Magno (e non solo!), le notizie su tutta questa regione quando questi scrive la sua Storia dei Popoli Nordici erano diventate ancora più nebulose e fantastiche del passato, tanto che condensando dicerie raccolte qua e là sul suo Baltico il vescovo svedese parla di Fortezza Nuova (Nygard), ma non sa bene dove si trovi esattamente, e parlando della Terra di Perm dice che gli abitanti erano capaci di incantare la gente con il solo sguardo! L’operazione “Annientamento Novgorod” era perciò riuscita… Pskov durò invece un po’ più a lungo nella sua veste di città indipendente, almeno per quanto riguarda le sue vecchie istituzioni di tipo novgorodese… A questo punto, secondo noi, bisogna concludere che Mosca non aveva più bisogno di Novgorod per migliorare l’economia del paese che stava costruendo, ma bensì sentì che occorreva eliminare i novgorodesi perché portatori di idee eversive. Ebbe paura che non riconoscessero l’autorità del Gran Principe di Mosca e teorizzassero, per poi metterlo in pratica, un nuovo tipo di stato russo, partendo dal proprio modello repubblicano, in cui Giovanni III e il suo Metropolita non trovassero più posto. D’altronde probabilmente qualche pensatore del popolo aveva capito che, non essendo un bojaro, non sarebbe mai assurto per la “via bojara” al potere e scoprì che invece avrebbe potuto arrivarci attraverso la Chiesa e qui le opzioni erano: o il conformismo della chiesa tradizionale oppure la critica a tutto campo. I Giudaizzanti, non si indirizzarono tanto a Monsignor Teofilo, che in definitiva era un patriota ed un difensore dei vecchi diritti, quanto invece a quei bojari che cercavano o la connivenza o oppure il perdono (e quindi l’alleanza) di Giovanni III. Novgorod si era insomma trasformato in un grande pericolo ideologico che aveva persino delle radici molto pericolose in Giovanni Hus o in Wycliffe o peggio ancora in Martin Lutero… A questo proposito riportiamo qui intanto, in quanto lo condividiamo pienamente, il giudizio di M. Pokrovskii sulla caduta di Novgorod e sul ruolo di Mosca: “… nella storia di questa caduta gli interessi e gli affari della Chiesa talmente si intrecciano gli uni con gli altri che rappresentarsi la caduta di Novgorod senza i riferimenti alla politica della Chiesa è assolutamente impossibile ed in questo grande episodio della politica di Mosca di radunare intorno a sé i frammenti delle Terre Russe lo si può perfettamente vedere, se consideriamo che lo stato moscovita era una creatura della Chiesa, e non solo dal punto di vista ideologico!” Dunque la nostra storia non può che terminare qui. Tuttavia, finora abbiamo parlato tante volte di questa Marta Borezkaja, ora ci coglie la curiosità di sapere come apparisse fisicamente, almeno quando era maggiormente in auge in città. Molte leggende si crearono su questa donna isolata e battuta sui sentimenti più intimi da un potere che la temeva e che la voleva annientare a tutti i costi, ma poche sono le tradizioni createsi su come essa fosse nella persona… Sappiamo che doveva essere alta (sebbene a quei tempi tutti i benestanti usassero tacchi altissimi quando apparivano in pubblico) e che avesse uno sguardo penetrante (forse come quello immaginato da Vasnezov), ma purtroppo non abbiamo suoi ritratti dal vivo (non si usava ancora farne come invece avveniva in Italia in pieno Rinascimento). Abbiamo però un’icona contemporanea conservata in un monastero della città in cui sono riprodotti alcuni membri di una famiglia abbiente novgorodese e quindi riferendoci ad essa possiamo almeno immaginarci come Marta vestisse e come vestissero i suoi concittadini. I capelli dell’unica donna rappresentata sono lunghi e raccolti in due trecce che scendono lungo le spalle, ma anche quelli degli uomini sono molto lunghi. Negli uomini invece la treccia è unica ed è sempre lasciata pendere sulle spalle. La figura femminile ha un gradevolissimo viso ovale tipicamente russo-baltico coperto da uno scialle che raccoglie parte dei capelli e poi annodato ricade sulle spalle. Ha un vestito molto largo e molto lungo ed una specie di mantellina orlata di pelliccia e le maniche sono larghissime e lunghissime tanto da toccare il pavimento. Non si notano tracce di trucco sul viso. Potrebbe esser questa la faccia di Marta? Chissà! …….

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