Durante quel suo soggiorno, udito della sua presenza a Novgorod, dalla Svezia giunse, da parte del principe Sten il Grande, un‘ambasciata con la proposta di fare una duratura pace con Mosca (in realtà fra Novgorod e la Svezia) per vivere in pace sul Baltico. Giovanni, inorgoglito del riconoscimento internazionale della sua autorità su Novgorod, acconsentì con piacere dando l’incarico all’Arcivescovo di stilare un atto di pace che avrebbe volentieri sottoscritto. Anche i rappresentanti della Vece i di Pskov vennero a visitarlo pregandolo che per quella città non cambiasse le leggi e gli ordinamenti e anche qui acconsentì.
Qualcuno cominciò a pensare che in realtà poi non era così negativo questo Principe moscovita…
La macchia nera però ci fu. Molti soprusi furono perpetrati da parte dei bojari moscoviti durante il soggiorno di Giovanni, ma nessuno offeso osò lamentarsene per la paura di essere ucciso e di essere mandato in prigione a Mosca e tutti alla fine aspettavano con ansia il giorno della sua partenza.
Finalmente, giunta ormai la bella stagione, Giovanni prese la via per Mosca e Novgorod tirò un sospirone di sollievo. Si riprese a discutere e si decise che rimaneva ora da far di tutto per liberare i bojari inviati in prigione al sud, prima che capitasse loro qualcosa di peggio, e qualche giorno dopo Teofilo si recò a Mosca e si ingegnò in tutti i modi per ottenere la loro libertà.
Gli sforzi furono vani e, giunta ormai la Pasqua, Teofilo benché fosse stato invitato a pranzare col Principe che però fino ad allora non lo aveva mai ricevuto, indispettito rifiutò qualsiasi ulteriore invito dicendo che doveva ritornare al nord per delle questioni urgenti.
In realtà a Novgorod stava succedendo ben altro in quei giorni.
Il ritorno di parte dei bojari liberati da Kolòmna avevano naturalmente rafforzato la posizione del “partito lituano” che a questo punto si sentì in diritto di annientare il ”partito moscovita” addirittura ricorrendo alla rapina e al saccheggio delle abitazioni degli avversari. A causa di ciò si creò una tale atmosfera di sfiducia nelle istituzioni che alcuni bojari, per paura di essere tacciati di “moscovitismo” quando avevano delle questioni da risolvere, senza dover prendere le armi in mano, correvano a Mosca a lamentarsi e a farsi risolvere le liti da Giovanni stesso.
Per ingraziarsi questi novgorodesi, ma soprattutto per minare l’autorità dei tribunali dell’Arcivescovo e la figura personale del prelato stesso e dei bojari testardi indipendentisti di Marta, Giovanni cominciò ad emanare giudizi non più secondo giustizia, ma secondo la sua personale simpatia verso una certa parte politica, oltre che per i doni portati alla sua corte personale.
Un giorno, ma questa è probabilmente una favola che servì da tiro mancino dello zar contro Novgorod, si presentò un certo Zaccaria dicendo di essere un messo dell’Arcivescovo e mentre sottoponeva il suo caso apostrofò Giovanni molte volte con il titolo di Gosudar (ossia Sire). Al che Giovanni si meravigliò e chiese spiegazioni all’Arcivescovo, mandandogli una missiva col suo fidato bojaro Teodoro figlio di Davide. La risposta che costui ricevette fu molto netta, dopo che la lettera fu letta al Consiglio dei Gospodà: “Non ti abbiamo mai mandato un messo autorizzandolo a chiamarti Sire. E’ una volgare menzogna!” Spiegarono al bojaro moscovita che chi andava a Mosca, ci andava di sua spontanea volontà e non per essere giudicato in prima istanza, ma soltanto in quei casi particolari in cui si richiedeva il terzo giudice perchè Novgorod si giudica coi propri giudici!
Marta Borezkaja che riusciva ad intravedere quali sporche manovre si nascondessero dietro tutti questi piccoli episodi, chiamò i cittadini alla Vece e spiegò loro che tutti questi sotterfugi erano il frutto delle intenzioni di Giovanni di privare Novgorod della propria libertà e che quindi bisognava opporsi con tutte le proprie forze ora che il momento era giunto e individuare chi fossero i veri traditori pagati da Mosca e annientarli una volta per tutte.
Fu addirittura accusato Zaccaria, il posadnik che si era recato spesso a Mosca negli ultimi tempi, il quale, è vero che aveva accusato un certo Basilio figlio di Niceforo di connivenza moscovita, ma poi non poté giustificare con grande evidenza il proprio operato. Il detto Basilio intanto si difese dicendo di non aver mai pensato di sottomettersi a Giovanni. Nessuno dei due alla fine fu creduto ed anzi i partecipanti a quella Vece si alzarono dai loro banchi e tirati fuori i coltelli fecero a pezzi Basilio e quasi uccisero Zaccaria. Gli altri imputati del gruppo furono invece messi in prigione. Tutto questo accadde proprio sul sagrato della Chiesa di Santa Sofia a prova che il partito indipendentista era ancora molto forte e seguiva ancora le direttive di Marta Borezkaja sperando ancora che la Polonia fosse intervenuta presto a sostenere la città.
Passò ancora del tempo e quando Giovanni si accorse di essere abbastanza libero da impegni con l’estero, decise ancora una volta di andare a nord per tentare di piegare definitivamente quella maledetta repubblica ribelle.
Il Metropolita Geronzio lo sosteneva e lo spingeva perché s’aspettava che Giovanni confiscasse le proprietà dell’Arcivescovo novgorodese al più presto in modo da potere disporre di una maggiore ricchezza e poter così mantenere una posizione più degna di un Capo della Chiesa che, al contrario, al momento risultava di molto più modesta rispetto, ad esempio, agli abiti di Teofilo da quando la cassa di Giovanni aveva lesinato sulla decima dovuta.
Il 9 dicembre del 1478 Giovanni decise che un’altra manovra militare dimostrativa avrebbe convinto i novgorodesi a capitolare e con una nuova armata riprese la strada per il nord.
Occorre sempre tener presente che dopo le perdite sulla Scelon’ Giovanni non aveva più molta voglia di scontrarsi nel nord, così lontano da Mosca, e perdere uomini e mezzi e perciò, sornione, aspettava e tergiversava finchè il nemico impaurito dallo spiegamento di armate e dalla permanenza del blocco nel suo territorio che gli impediva qualsiasi movimento, oltre che l’approvvigionamento e i vitali traffici, si sarebbe stancato e sarebbe venuto ai compromessi. Per questo aveva mandato già qualche mese prima un avviso ai novgorodesi della sua “venuta militare”.
La prima tappa naturalmente è Volok Lamskii, poi Tver e finalmente si accampa sotto Mercato Nuovo.
Qui lo aspettavano già gli inviati dei bojari novgorodesi i quali, per paura di perdere la vita e il patrimonio, avevano mandato per parlamentare un capocantone e un borghese. Costoro vengono a fargli omaggio, ma, oltre a chiamarlo Sire, non sono in grado di promettere alcunché di concreto!
Gli sviluppi perciò non erano rapidi come si aspettava e i moscoviti continuarono per il nord. Arrivato sotto il lago Ilmen Giovanni ridispone le truppe e una parte le manda già verso la città per impadronirsi della Cittadella dopo avrebbe voluto porre il suo Quartier Generale.
Naturalmente l’ordine è di distruggere e saccheggiare senza pietà! E’ il 10 novembre e il suolo e i fiumi sono gelati e quindi si va abbastanza speditamente e lascia che i suoi uomini svolgano qualche manovra dimostrativa vicino alla città, mentre aspetta che quelli di Pskov si muovano verso Novgorod come avevano promesso. Qui accade l’imprevisto.
Il namestnik moscovita di Pskov viene mandato via dalla città. Giovanni lo sostituisce immediatamente con un altro, Basilio Sciuiskii (questo è un omonimo e parente del Sciuiskii-Grebjonok di Novgorod). Nel frattempo da Pskov è già partita una delegazione in fretta e furia per Novgorod. Si chiede ai novgorodesi di trattare tutti insieme, affinché Giovanni abbandoni il territorio al più presto e li lasci in pace con le loro leggi e che, per questo, sono disposti a riconoscerlo come loro Signore. Novgorod rifiuta, ma poi col passar del tempo l’idea di Pskov non sembra sbagliata e si vorrebbe riprenderla. E’ troppo tardi! Perchè all’improvviso scoppia un incendio a Pskov e tutti si rifiutano di scendere in guerra ora che in pratica, se lasciassero la città, tornerebbero solo quando essa è macerie e ceneri. Sciuiskii, ligio agli ordini di Giovanni, non discute e radunati quelle armi e quei soldati che può si dirige lungo la Scelon’ verso Novgorod.
Novgorod è in crisi profonda: Non ha più un esercito, la città è sotto assedio e non c’è unità fra i bojari né si è formata una classe dirigente che prenda in mano la situazione e l’unica misura urgente e indiscutibile è quella di difendere la città in tutti i modi.
Infatti quando avevano saputo dei movimenti di Giovanni abbiamo visto che i novgorodesi avevano mandato a Mercato Nuovo i due messi, i quali, ad ogni buon conto, erano stati trattenuti. A questi due ne era seguito un altro e ancora un terzo finché costoro non erano stati rimandati a Novgorod con la notizia che Giovanni avrebbe ricevuto un’ambasciata come si deve e non funzionari da quattro soldi.
Ed ecco che gli annunciano una nuova delegazione di novgorodesi con l’Arcivescovo Teofilo. Giovanni gongola. E’ sicuro che la capitolazione è vicina, ma si rifiuta di dare alcuna risposta decisiva alle preghiere veramente umilianti che tutti i posadniki in carica e quelli vecchi, gli starosty dei cantoni e gli altri gli fanno. Infatti come era abitudine delle delegazioni diplomatiche di quel tempo, ogni membro componente era portatore di una richiesta sulla quale era preparato a discutere per cui, sebbene tutti lo riconobbero formalmente loro signore in sostanza la richiesta più importante risultò essere che Giovanni liberasse quale gesto concreto della sua benevolenza i loro amici che deteneva a Mosca. L’Arcivescovo ricorre persino alla mediazione del fratello di Giovanni che è lì coi suoi, Andrea il Piccolo. Niente da fare!
Il 25 novembre Giovanni dà ordine di attraversare il lago ghiacciato e fermarsi a Sytino (il paese di Sadkò) sulla riva nord del lago Ilmen in vista della città!
Monsignore e i bojari tristemente abbattuti in vista di ciò che li aspetta, sono tornati in città.
Ci sarà un nuovo incontro il 7 dicembre e Giovanni dirà molto chiaramente:
“Mi riterrò soddisfatto solo quando riconoscerete che sono il vostro sovrano. Voglio governare a Novgorod come governo a Mosca!”
Tre giorni di tempo per riflettere…
Giovanni ha portato con sé non solo il famoso Stefano il Barbuto, ma ha con lui persino Aristotele Fioravanti che gli costruirà un ponte di barche sul Volhov, quasi a voler mostrare che è pronto ad invadere la città senza bagnarsi i piedi.
L’assedio a Novgorod intanto continua e dalla città vengono evacuati tutti i mercanti stranieri perché manca da mangiare e affinché non si complichi la situazione internazionale, mentre il Volhov è stato sbarrato con le navi restanti e ormai inutilizzabili in quella stagione. Hanno eletto Basilio Sciuskii-Grabjònok loro comandante in capo e ci si dispone all’ultima difesa. Giovanni però sa che in città regna ormai da giorni la fame e la penuria poiché ha impedito finora che giungessero da Mercato Nuovo le derrate alimentare, ma non vuole che la città soccomba per inedia, non servirebbe a nessuno! E così ordina ai cittadini di Pskov che sono lì con i moscoviti di aiutare i loro fratelli.
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