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Computers La caduta di Monsignor Grande Novgorod
scritto di: Aldo C. Marturano
I Giudaizzanti
Altra è la situazione al nord. Novgorod è da sempre abituata ad essere l’unico centro colto delle Terre Russe che già ha scambi con l’estero europeo ed asiatico e dove tutti sanno scrivere e leggere e dove c’è più possibilità di discutere e di confrontare le proprie opinioni con quelle degli altri, persino con gli stranieri! Il salotto di Marta Borezkaja era giustamente chiamato la Corte dei Miracoli perché era frequentata dall’alta borghesia novgorodese e dai preti più liberi ai quali nessuno aveva mai impedito di dire quel che volevano nei frequenti conviti e i loro argomenti erano poi serviti nei consigli per decidere i destini della città. E’ logico quindi che, se un nuovo pensiero russo doveva nascere, non poteva che originarsi qui, a Novgorod. Questo fatto costituiva una minaccia per Mosca, una minaccia politica poiché le idee di Novgorod circolavano fra le classi popolari non istituzionalizzate e non solo fra i monaci e fra i cosiddetti gost più borghesizzati dei novgorodesi e dei bojari! Ed infatti è proprio qui durante la lotta novgorodese per l’indipendenza che nasce la così chiamata “eresia giudaizzante” dalla quale sarà affascinato lo stesso Giovanni III… E’ probabile che questa eresia abbia qualche radice nel movimento degli Strigòlniki nato a Pskov, ma non è possibile determinarlo con sicurezza a causa della mancanza di documenti. Siccome entrambi i pensieri mossero i primi passi da Novgorod è chiaro che debbano ricevere la denominazione di eresie novgorodesi. Altrettanto sicuramente esse hanno legami ideologici e culturali con l’Occidente e col mondo slavo della Moravia del tempo di Giovanni Hus. Le eresie novgorodesi erano chiaramente razionalistiche e andavano contro una vecchia gerarchia ecclesiastica troppo cristallizzata su un mondo passato che ormai non esisteva più come pure contro la “proprietà” di beni materiali da parte di coloro che predicavano l’umiltà e la moderatezza. Non erano però, come può apparire, dei movimenti di riforma religiosa, ma cercavano di informare la gente che i poteri cittadini dovevano e potevano essere criticati e, quando possibile, sostituiti da altri più giusti e migliori. Al di là di ciò è difficile descrivere e comprendere le vere convinzioni ed i veri stimoli che esse trasmettevano alla gente comune, poiché sono conosciute non tanto per le proprie produzioni scritte, quanto per le critiche e le guerre ideologiche condotte contro i loro membri e partecipanti. Naturalmente i Giudaizzanti sono meglio noti poiché per un certo tempo godettero della protezione dei più abbienti, come di Marta Borezkaja a Novgorod, o addirittura di Giovanni III, a Mosca, finchè non intervenne con forza il Metropolita che con la sua autorità costrinse il principe ad intervenire sui loro capi affinché non continuassero ad avvelenare la santa dottrina della Chiesa Russa e li fece bruciare al rogo sulla piazza. I Giudaizzanti in definitiva negavano molti dogmi della chiesa cristiana, non per partito preso, ma perchè vedevano in queste verità dogmatiche degli ostacoli alla purezza e come modello proponevano un non molto ben identificato costume antico di vivere e di onorare Dio come poteva essere, magari, la religione professata allora dagli ebrei che frequentavano Novgorod. Si creò dunque un’atmosfera di maggiore libertà di critica che talvolta metteva in imbarazzo persino gli stessi prelati che discutevano con questi Giudaizzanti. D’altra parte i Giudaizzanti a Novgorod vedevano che l’elezione dell’Arcivescovo era fatta in base alla scelta popolare e basandosi sulla popolarità dei candidati, apprezzati e conosciuti dalla gente, mentre al contrario a Mosca l’elezione dei prelati era fatta in base al maggior peso dei regali portati o delle proprietà possedute per poi aspettare l’ultima parola da parte del Gran Principe. Come fare dunque in questo caso specifico a schierarsi con Mosca o col suo Metropolita? Alla fine la Chiesa dichiarò qualsiasi pratica dei Giudaizzanti come deviante ed eretica e addirittura Ghennadio, il duro e rigido Arcivescovo di Novgorod che incontreremo qualche pagina più avanti, consigliò a Giovanni di istituire un’Inquisizione sul modello spagnolo! Come conseguenza di queste correnti di pensiero, prendono corpo in questa epoca (fine del XV sec.) alcune riforme sull’ordinamento dei monaci e dei conventi russi. Rifacendosi molto spesso agli antichi costumi dell’eremita nei deserti dei primi padri della Chiesa Cristiana si giunse ad avere come ideale quello di emulare la vita e le opere di un grande santo russo: Sergio di Radonezh. Le eresie novgorodesi furono perciò un altro motivo di preoccupazione, ma anche un’altra scusa per abbattere le “libertà” novgorodesi e Giovanni, secondo la sua concezione assolutistica, anche su questa base comincia ad elaborare un piano di svuotamento culturale della città, almeno dopo averla completamente conquistata materialmente. Comincia a Mosca una lunga maratona di visitazioni, di trattative a volte dure e minacciose e a volte mascherate da finta accondiscendenza che porterà alla scomparsa storico-culturale del grande centro settentrionale russo. E vediamo che cosa avviene. Nel 1472 la Vece decise di mandare a Mosca una delegazione per cercare un modo di far la pace, senza troppi disonorevoli compromessi. A Monsignor Teofilo, posto a capo del gruppetto, fu Giovanni impose che si inginocchiasse davanti a lui all’interno di una Chiesa del Cremlino e che facesse di fronte ai bojari di corte le sue solenni scuse in nome di Novgorod. Teofilo compì l’umiliante gesto, ma pregò quasi con le lacrime agli occhi che venissero rilasciati i nobili novgorodesi ancora in prigione a Mosca. Giovanni con teatrale magnanimità concesse a costoro la libertà e la delegazione tornò quasi trionfante nel nord. Tutti allora pensarono che le cose si sarebbero messo a posto con Mosca, forse con qualche difficoltà, ma furono gratissimi per tutto quanto Monsignore aveva fatto finora. Quell’anno apparve una cometa e la gente disse ebbe molta paura e i guardastelle giudaizzanti dissero che per Novgorod si preparavano eventi ancora peggiori di quelli già passati… Giovanni però se la prende comoda e quando i suoi bojari lo incitavano dicendo che l’esistenza di Novgorod offendeva la sua dignità, disse una volta: “Le onde battono i sassi da tutti i lati e questi si trasformano in polvere nella spuma e poi scompaiono come un sorriso sulla bocca!” Dunque, Novgorod si consumerà da sola… Ed infatti nel 1475 Giovanni tornò alla carica. Apparentemente si fece invitare da coloro che Giovanni finora aveva finanziato e comprato, dai membri del cosiddetto partito moscovita, e, Senza armati stavolta, ma solo accompagnato da un drappello d’onore, venne a far visita a Novgorod. Annunciò alla Vece che era venuto solo per rispondere alle diverse richieste che si erano accumulate per il terzo giudice. Già a poco meno di 100 verste dalla porta principale del Detinez, Monsignor Teofilo, il vecchio namestnik Basilio Sciuiskii-Grabjònok, insieme con i posadniki, in carica e quelli già in pensione, con qualche priore dei conventi rimasti ancora in piedi l’accolsero. Ciascuno portava regali d’altissimo valore, fra i quali botti piene di vino rosso e bianco provenienti dalla Borgogna, per rabbonirlo. Il Principe si fermò nella Cittadella perché temeva per la sua vita e non si fidava di essere ospite di nessuno all’interno di quelle possenti mura novgorodesi ed invitò tutti coloro che l’avevano accolto a pranzo presso di lui, mentre la gente raccoltasi sulle rive del Zhilotug lo guardava con curiosità. Anche il giorno dopo, senza muoversi dalla Cittadella, dette ancora un’altra festa a cui parteciparono i capi della città ancora una volta. Solo il 23 novembre su sua richiesta ufficiale gli furono aperte le porte, cosiddette successivamente di Mosca, e solennemente fece ingresso nella Riva di Santa Sofia. Tutto il clero novgorodese era lì ad accoglierlo con le icone sante e le insegne, mentre le campane suonavano a festa. Giovanni entrò nel tempio e si chinò a baciare tutte le tombe dei “suoi” antenati sepolti a Santa Sofia e quelle degli altri personaggi che avevano avuto l’onore di essere seppelliti lì, come ad esempio, gli arcivescovi più famosi. Partecipò al pranzo di Teofilo nella foresteria dell’Arcivescovado e dopo aver ricevuto in dono tre balle di panni di Fiandra e altri preziosissimi doni, se ne tornò alla Cittadella. Di qui proclamò che era pronto a ricevere chiunque avesse da portargli lamentele e richieste di giudizio perché Giovanni avrebbe giudicato secondo la giustizia in vigore a Mosca. In realtà il furbo sovrano voleva attraverso questi gli interrogatori e le inchieste riuscire a trovare il modo per isolare il partito dei Lituani capeggiato da Marta Borezkaja, alla ricerca della scusa per arrestare uno per uno i bojari che erano dalla sua parte. In pratica, invece di giudicare per le liti propostegli, Giovanni s’informava su chi erano e su come i “Lituani” agivano. Dopo qualche giorno, quando credette di aver raccolto abbastanza prove, fece mettere ai ferri un cugino di Marta, suo figlio Teodoro (detto il Sempliciotto, in russo Duren’) ed altri bojari parenti di lei accusandoli di voler vendere la Russia di Mosca alla Lituania. Li fece processare davanti alla Vece riunita che non seppe opporsi quando, giudicatili colpevoli, poi li rinchiuse nella prigione della Cittadella con l’intenzione di trasferirli al più presto a Mosca. L’indomani però l’Arcivescovo ed altri bojari si recarono da lui chiedendo grazia e libertà per i poveri malcapitati, colpevoli solo di amare la propria città. Al che fu opposto un secco rifiuto ed i prigionieri furono spediti a Kolòmna, vicino Mosca il giorno stesso. Alcuni di loro che erano risultati rei di cospirazioni di minor importanza però, Giovanni concesse di liberarli, ma… dietro un altissimo riscatto! Di più non si ottenne. Ancora tre settimane rimase a Novgorod, invitato pressoché ogni giorno a feste e festini, ai quali partecipò ricevendo doni preziosi a non finire che cercavano di imbonirlo. Respinse solo l’invito di Marta Borezkaja, perché, disse, era giunta l’ora di tornare a Mosca dove l’attendevano affari più importanti. Al saluto finale il posadnik in carica, Tommaso, portò ancora in dono da parte della città ben 1000 rubli!

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