Dunque nella primavera del 1471 Giovanni raduna la Duma dei bojari e dei preti intorno a sé e dichiara: “Sia guerra a Novgorod!”
Tutta la campagna fu studiata a tavolino.
La strada per il nord era molto lunga: oltre 500 km! Ed era anche non facile da percorrere lungo fiumi, foreste sconosciute e fittissime, fra marcite e paludi a non finire, specialmente durante la primavera quando la neve e il ghiaccio si scioglievano.
Occorreva poi non far notare grandi movimenti di truppe nella Bassa per cogliere il nemico di sorpresa e quindi si evitò di concentrare le diverse armate che venivano dai diversi udel in uno stesso punto e si decise che ogni armata sarebbe partita verso nord per suo conto, stimando di giungere al concentramento ad una certa data. Allo stesso tempo una parte dell’esercito moscovita avrebbe impegnato quello novgorodese lontano dalla città. A maggio infatti fu mandato verso Ustjug il generale Obrasez per organizzare i “ribelli” della Dvina e minacciare la parte sudorientale del lago Ilmen, a monte della Mstà, così che i novgorodesi avrebbero mandato le loro truppe in quella regione sguarnendo il lato sud.
Bisognava poi impedire che la città riuscisse ad approvvigionarsi dall’esterno e quindi occorreva prima d’ogni altra cosa occupare Mercato Nuovo e cercare poi d’ impedire l’accesso al Mar Baltico con la collaborazione di Pskov.
Per esser sicuri della fedeltà dei Tatari li si incorporò nell’esercito moscovita e ci si mise d’accordo affinché costoro muovessero esclusivamente sotto il comando moscovita. Prima di partire Giovanni li avvertì molto chiaramente di non scivolare in inutili eccessi e di non fare prigionieri da vendere schiavi!
Ricordiamo inoltre che al seguito di Giovanni c’era un certo Stefano il Barbuto che sapeva le Cronache Russe di Nestore quasi a memoria e quindi citava da esse con libertà, quando si trattava di confermare le pretese di Mosca su Novgorod, e questi fu una persona chiave che accompagnò quasi tutti le trattative di Giovanni con i colti novgorodesi.
Al principio di giugno si mossero dunque i moscoviti, compresi i contingenti tatari di Kazan’, al comando del principe Daniele Holmskii. Era questa l’armata che doveva raggiungere per prima a Russa e fermarsi per attendere l’arrivo del contingente di Pskov. L’altro generale, Giovanni Obolenskii-Strigà, invece si diresse verso l’altro angolo del triangolo formato dal lago Ilmen, sempre con moscoviti e tatari insieme, che avrebbe raggiunto la riva sinistra della Mstà almeno allo stesso tempo quando Holmskii fosse arrivato a Russa.
Il 20 giugno seguì poi la parte più grossa dell’esercito di Mosca e si diresse verso Tver per aggregarsi ai soldati di questo udel e poi proseguire per Mercato Nuovo ed occupare quest’ultima città.
Agli altri armati provenienti dai diversi udel fu comandato di dirigersi verso nord scegliendo ciascuno un tragitto diverso in modo da frammentare gli eventuali sforzi difensivi dei novgorodesi.
Il tempo atmosferico era favorevole perché non piovve per tutta la durata della campagna ed addirittura diventò così secco che nemmeno ci fu il problema di trovare campi allagati o troppo melmosi a causa della neve sciolta.
Mentre ciò avveniva a sud, Novgorod era anch’essa in pieno fermento mentre si preparava alla difesa. Il posto di Michele Olelkovic’ è stato dato al principe “senza terra”, il suzdalese Basilio Sciuiskii-Grabjònok.
E chi organizzare se non c’erano più professionisti alle armi? Tutti i cittadini furono comunque mobilitati e siccome i novgorodesi erano famosi per la loro Cavalleria, come abbiamo detto, dovettero raccogliere ed addestrare in breve tempo almeno 40.000 cavalleggeri ed armarli e possiamo immaginarci come questi armigeri improvvisati alla fine risultassero inetti ed inefficienti. Questo numero sembra che fosse il massimo che riuscissero a mettere insieme i novgorodesi, secondo Gilbert de Lannois che abbiamo già ricordato quale visitatore del XV sec. Tuttavia, secondo qualche storico russo più prudente, 40 mila sono sempre troppi poiché, siccome di solito per calcolare la popolazione approssimativa di una città russa di quel tempo, si moltiplica per 5 il numero medio di armati messo in campo da quella città durante un certo periodo, Novgorod dovrebbe contare alla fine del XV sec. ben 250 mila abitanti, ciò che in realtà sembra eccessivo!
Comunque sia il risultato finale fu che ogni novgorodese capace di stare sui suoi piedi, fu messo su un cavallo e armato con armatura pettorale, ginocchiere metalliche e con picche, arco e frecce.
Il piano di difesa fu studiato dall’Arcivescovo il quale si riservò la difesa diretta della città con le proprie truppe, mentre le altre ebbero il compito di attirare i moscoviti a drappelli in vari posizioni in modo da poterli dividere e poi batterli drappello per drappello o per lo meno impegnarli in modo frastagliato. La Cavalleria fu immediatamente mandata lungo la riva occidentale del lago verso Russa. Essa poi avrebbe dovuto proseguire lungo la riva sinistra della Scelon’ per impedire che Pskov si riunisse a Holmskii.
Un’armata di 12 mila novgorodesi invece fu affidata a Sciuiskii perché si scontrasse coi moscoviti che erano apparsi sulla Dvina. La fanteria novgorodese infine fu traghettata attraverso il lago verso il villaggio di Korostyno dove avrebbe dovuto sbarcare e attaccare Holmskii dall’altro lato, sulla riva destra della Scelon’.
Holmskii arrivò a Russa molto prima degli altri mentre Pskov invece non si era ancora fatta vedere e quindi Holmskii, senza perder troppo tempo, dette ordine di attaccare Russa. La città fu presa e data alle fiamme e una volta costituitasi una testa di ponte su questa riva del fiume, Holmskii attese sia l’arrivo del resto dell’esercito moscovita che i novgorodesi.
Gli esploratori riportarono all’Arcivescovo questo isolamento momentaneo di Holmskii e perciò il comando novgorodese decise di attaccare prima con la fanteria che era ormai arrivata a Korostyno e poi con la Cavalleria che si trovava sulla riva opposta della Scelon’. La fanteria si divise in due: una parte avrebbe dovuto attaccare Homskii sul fianco mentre l’altra guadando il fiume Polist’ avrebbe preso Holmskii alle spalle.
Holmskii però era anche lui ben informato dei movimenti novgorodesi e contando sulla lentezza degli spostamenti mosse velocemente verso Korostyno e attaccò la fanteria prima ancora che si fosse messa in movimento dall’accampamento. La sorpresa e il fatto di non avere una vedetta di guardia vinse sui novgorodesi e Homskii potè dedicarsi all’altra divisione di fanteria novgorodese che, presa alle spalle a sua volta, fu annientata. La Cavalleria intanto si era arrestata ed era in attesa di scontrarsi col contingente di Pskov mentre il 13 luglio Holmskii giungeva sulla riva della Scelon proprio in vista con la Cavalleria sulla riva opposta.
Holmskii in realtà non era più nelle condizioni di continuare a battersi poiché aveva già perso metà degli uomini che aveva portato con sè e preferì tergiversare, invece che scontrarsi. L’avvicinarsi della notte (con il sole naturalmente che calava molto tardi) dette ad entrambi gli avversari la possibilità di riposare e di rifare dei piani.
La mattina si cominciò a sparare frecce dall’una e dell’altra riva, ma un attacco decisivo occorreva per interrompere quell’inutile logorìo di forze e di munizioni e Holmskii giocò il tutto per tutto. Arringò i suoi dicendo che bisognava attaccare guadando il fiume gettandosi a corpo morti sull’avversario o morire e, dando l’esempio coi suoi ufficiali, si lanciò nella acqua con i cavalli mentre il resto della truppa seguì proprio dove il fiumiciattolo Drjan’ si versa nella Scelon’. Lo scontro fu decisivo. I novgorodesi non si aspettavano una tale mossa improvvisa, visti i pochi armati rimasti a Holmskii. Insomma furono ancora una volta battuti!
C’era anche la Cavalleria dell’Arcivescovo che non si mosse in aiuto ai propri concittadini e, successivamente il loro comandante si scusò, dicendo che aveva avuto ordine solo di attaccare quelli di Pskov e non i moscoviti e che inoltre i suoi non era armati con armature e non avrebbero resistito alle frecce avversarie. Tradimento o disorganizzazione?
Intanto anche Giovanni era arrivato alla foce della Scelon’ dove pose il campo a Korostyno.
Mentre era nella sua tenda giunse la notizia che insieme ai quattro bojari era stato catturato uno scrigno con una lettera…
Era la lettera scritta da Marta a Casimiro il cui testo abbiamo riportato sopra, che di conseguenza non giunse più a destino!
Fu immediatamente messo insieme un tribunale di guerra che doveva giudicare gli ufficiali novgorodesi catturati per alto tradimento e cioè quattro bojari fra cui il figlio di Marta Borezkaja, Demetrio, probabile latore della lettera, e il coppiere dell’Arcivescovo, Geremia Suhoscek.
Giovanni fece decapitare i quattro bojari, parte della bassa nobiltà fu mutilata orribilmente, a chi fu tagliato il naso e a chi le orecchie e a chi le labbra e poi mandati in queste condizioni a casa, mentre al resto della gente del popolo fu concessa la libertà dopo aver giurato fedeltà a Giovanni!
Intanto Sciuiskii, scontratosi con Obrasez e la sua armata di Ustjug e di Vjatka, era stato battuto e costretto a tornarsene a Novgorod con quello che rimaneva dei suoi.
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