I secoli degli schiavi slavi
Sappiamo che il Nord Russo era conosciuto ai musulmani che descrivono le
Terre Settentrionali del Mondo col nome Paese degli schiavi "bianchi" ossia
Bilad as-Saqalibat e le fonti sono affidabilissime poiché quegli autori
scrivono per averle visitate personalmente (più di qualcuno) o per notizie
raccolte da altri viaggiatori altrettanto di fiducia o persino per eredità
culturale da autori classici anteriori. Tuttavia non indicano una regione
ben delimitata che ci autorizzi a dire in quale punto geografico tale
commercio iniziava o si concentrava. Saqalibat infatti non è che un
adattamento del greco Sklavinos o Sklabenos/Stlabenos alla fonetica araba
mentre "bianchi" l'abbiamo aggiunto noi in quanto il colore della pelle
costituiva un segno distintivo e selettivo nella classificazione della
qualità di questa merce umana nei secoli dal IX al XIV d.C. e dunque Bilad
as-Saqalibat si può estendere a tutta la cosiddetta Slavia nordica del X
sec. E' possibile dedurre che fossero proprio i greci (di Costantinopoli e
del Levante siriano) ad aver trasmesso ai mercanti la preziosa informazione
dove poter comprare gli schiavi da quando i Germani, essendo diventati parte
del "popolo romano" e addirittura l'élite dell'Impero Franco, non erano più
"merce vendibile".
Tutta questa storia è già nascosta nella parola che si diffuse intorno al X
sec. in quasi tutte le lingue romanze (come in italiano) e che indicava gli
schiavi! Schiavi e Slavi non sono che due varianti dell'etnonimo attribuito
dai classici greco-romani alle popolazioni che premettero intorno dal V-VII
sec. sui confini dell'Impero. Né è superfluo aggiungere che i mercanti di
schiavi più famosi furono gli ebrei detti rahdaniti nel X-XI sec. seguiti
poi da Venezia la quale, dal X sec. fino alla scoperta delle Americhe, ne
custodì l'esclusiva di vendita e di trasporto.
La prima domanda che dobbiamo porci adesso è: Chi era lo schiavo e come
diventava tale?
Ci siamo ripromessi di non addentrarci nella giurisdizione alla quale lo
schiavo era soggetto nei vari paesi europei e nei paesi limitrofi, in quanto
lo giudichiamo un argomento farraginoso e complesso e che va trattato
separatamente da quello del traffico commerciale, dove invece si accentra il
nostro interesse, e dunque rimandiamo il lettore interessato ai lavori
specialistici. In questa sede accenneremo a grandi tratti soltanto a qualche
aspetto legale sulla schiavitù, lasciando da parte specialmente i concetti
di libertà, di limitazione dei diritti civili etc. che nell'epoca che
attraversiamo (IX-XI sec.) hanno definizioni lontanissime da quelle di oggi
e richiedono perciò una preparazione culturale notevole al lettore non sia
"ben armato".
Vediamo allora qualche caso tipico di come si può "cadere in schiavitù". Il
primo è il destino di un soldato perdente il quale, se non riusciva a
sfuggire alla cattura alla fine dello scontro, era portato via prigioniero
dal vincitore (stato di celjad' in russo). Per questo giovane c'erano poche
buone opzioni sul proprio destino futuro. Ad esempio, nel caso più fortunato
poteva essere riscattato dai suoi, se il vincitore aveva tempo e voglia di
contattare il signore perdente e istallare delle trattative a questo scopo
con le persone giuste. Il che accadeva molto raramente per un soldato
semplice, mentre era più possibile per una persona di alto rango. Dunque gli
schiavi erano una parte del bottino vinto in battaglia e solo se ancora in
buona condizione fisica, altrimenti, se feriti o moribondi, venivano
abbandonati al loro destino. Capitava pure che, in moltissimi casi, fossero
trascinati in schiavitù anche i famigliari dei soldati, se accompagnavano l'
armata, ossia donne e bambini. Se poi teniamo presente che nell'epoca che ci
interessa la guerra e gli scontri erano pane quotidiano sia d'inverno che
nella bella stagione, possiamo facilmente immaginare come gli schiavi
ottenuti dopo uno scontro costituivano un approvvigionamento di uomini abili
quasi regolare. Non valevano però molto perché erano già "vecchi" secondo
gli standard di vita del tempo ed era poi difficile mantenerli o metterli al
lavoro, mentre le donne e i bambini erano in realtà più utilizzabili "con
profitto".
Dalle notizie che abbiamo, sappiamo che gli Slavi non erano soliti tenere
schiavi per lungo tempo e dopo un certo numero di anni a questi prigionieri
veniva concessa la scelta di andarsene per proprio conto o di entrare a far
parte della comunità in cui ormai si trovavano, formandosi una famiglia
propria. Tuttavia altri autori che scrissero sugli Slavi in epoca ancora
anteriore ammettevano che i prigionieri risparmiati alla schiavitù, talvolta
erano sacrificati agli dèi!
A parte ciò, è chiaro che nessuno di questi casi interessava i mercanti per
farne traffico.
Nella società cittadina - nella Rus' di Kiev si era appena ai suoi inizi -
un modo per trovare lavoro o per vivere meglio, se non si avevano altre
possibilità, era quello di vendersi ad un facoltoso padrone in modo da
assicurarsi difesa, cibo, rifugio e quanto serviva alla propria vita
quotidiana (stato di rab o slugà in russo). Essere specialisti nel saper
fare qualcosa, permetteva logicamente di esser accolto meglio dal padrone
eventuale come artigiani, sempre con alloggio e vitto (talvolta il padrone
si preoccupava di trovare la sposa per il proprio lavorante) inclusi, non
esistendo un vero contratto di lavoro come oggi. Questo fu il caso più
comune dei lavoranti di Novgorod presso le cascine di città dei bojari della
repubblica o dei prigionieri russi ritrovati a Qara Qorum in Mongolia da
Giovanni da Pian del Carpine nel XIII sec.
Oppure si diventava schiavi per obblighi non onorati o per debiti pregressi
e, addirittura, per debiti ancora da fare ossia per crediti (stato di holop
in russo). Era abbastanza comune per i contadini in seguito a qualche
mattana naturale, inondazione o incendio o pestilenza e simili, di
impelagarsi in accordi di questo genere, talvolta molto rischiosi. Infatti
essendo una schiavitù a tempo determinato, c'era il caso di ritrovarsi a
servire il creditore furbo per tutta la vita, se non si erano stipulati dei
patti molto chiari!
Anche questi schiavi non erano "roba" da traffico, come si capisce bene. E
allora dove trovavano i mercanti questa merce da vendere visto che la
domanda era in aumento?
In verità abbiamo messo da parte un altro tipo di schiavitù o di vendita di
"merce umana" che ancora oggi si fa, sebbene poi la si mascheri sotto altri
nomi eticamente più accettabili nella monetizzazione odierna, ossia la
vendita dei propri figli.
Prima però di parlarne più in dettaglio, ricordiamo dove andavano a finire e
come erano impiegati questi schiavi.
Sull'argomento purtroppo la letteratura è scarsissima perché pochi
contemporanei s'interessarono dei destini degli schiavi salvo che come
decoro e ornamento nelle descrizioni delle grandi dimore e delle grandi
corti in cui se ne contavano a migliaia oppure nelle molto più tarde
considerazioni "etiche" della Chiesa di Roma sulla schiavitù in generale.
In questi secoli di bassissima automazione moltissime attività che oggi sono
compiute da macchine erano allora fatte da uomini o donne e non solo perché
richiedevano lo sforzo continuo di una o più persone, ma anche perché certe
attività e certi lavori erano considerati "inferiori" o troppo impegnativi
dall'élite al potere e dai loro emuli e baciapile e quindi era preferibile
che li eseguissero altri individui di rango più basso. E qui entra benissimo
il mercante poiché questo era il genere di merce che fruttava di più di ogni
altra simile con dei clienti che in principio erano in grado di pagar bene.
Distinguiamo così tre tipi di schiavi principalmente:
1. da mettere in servizio militare permanente
2. da impiegare per i lavori domestici (compresi i servizi sessuali)
3. per i lavori pesanti e ripetitivi
Per quanto riguarda il primo tipo, il mercante ne ritrovava presso i popoli
della steppa ucraina e asiatica dove i ragazzi già puberi erano "venduti"
sapendo già cavalcare e tirare d'arco. Erano considerati schiavi di ottima
qualità e, se teniamo presente che costoro riuscirono a fondare addirittura
una dinastia di governo "egiziana" ossia i Mammelucchi (dall'arabo mamluk
ossia "uomini di proprietà del signore"), possiamo immaginare come fossero
apprezzati e che carriere potessero percorrere (vedi il Saladino). In questo
caso gli schiavi erano di sesso maschile e il serbatoio di rifornimento era
il cosiddetto Paese dei Turchi ossia Bilad al-Atrak ossia il territorio a
nordest della Coresmia.
Per quanto riguarda il terzo tipo di schiavi, la fonte primaria era l'Africa
Nera (Zinj nelle fonti arabe) e i giovani erano quasi sempre di pelle molto
scura, quasi a voler riconoscere subito che tipo di lavoro facessero
rispetto ad altre persone di servizio con la pelle più chiara e compiti di
maggior prestigio. Erano di entrambi i sessi ed avevano un prezzo più basso
rispetto agli altri perché considerati di qualità inferiore (!!).
E finalmente giungiamo agli schiavi slavi che erano inclusi nella stragrande
maggioranza nel secondo tipo! Erano di tutt'e due i sessi, di alto prezzo e
destinati ad attività varie e particolari, tanto da richiedere spesso
interventi corporali!
Naturalmente sull'argomento schiavi occorre abbattere degli stereotipi e noi
lo faremo adesso.
Per comprendere meglio questo traffico che durò per secoli (ma non dura
ancora oggi?) e che in pratica fu una vera e propria migrazione quasi
forzata di migliaia e migliaia di persone da una parte all'altra del
continente eurasiatico dobbiamo dire che fruttò fior di quattrini, non solo
a chi semplicemente trafficava, ma anche a chi percepiva gabelle e pedaggi.
Che questi ragazzi e ragazze fossero poi trattati male dai mercanti è un'
assoluta menzogna. Costavano talmente tanto e il prezzo era riscosso
soltanto se la "merce" si presentava bene! Figuriamoci quindi se non
venissero curati affinché arrivassero a destino in piena forma! Di certo
viaggiavano ben nutriti, ben puliti e in ordine. E il viaggio era pure
lungo. Per dare qualche esempio su quest'ultimo punto diremo che da Kiev a
Costantinopoli ci voleva circa un mese mentre per giungere a Cordova ce ne
volevano anche tre. Si può quindi immaginare quali spese incontrava il
mercante per questi ragazzi che doveva tenere in ozio per risparmiarli dalle
fatiche.
Un altro quadro sbagliato è quello di vedere sempre gli schiavi esposti al
mercato! Al contrario! Quelli destinati alle corti signoriali erano già
prenotati e quindi non dovevano neppure essere visti per sbaglio dall'
acquirente occasionale. Al limite, soltanto quelli scartati andavano
successivamente sul mercato!
Nei dipinti poi a volte vediamo schiavi incatenati o con le braccia legate e
il mercante con la frusta in mano che volge loro uno sguardo che sembra
minaccioso perché promette di batterli a sangue. Anche questo non è il caso
per gli schiavi saqaliba! Erano presentati nudi affinché non si
nascondessero eventuali difetti fisici ed erano palpati e guardati in tutti
i recessi corporei. questo sì! Alla fine non era un grande scandalo per i
costumi dell'epoca, perché i giovani erano già puberi e dunque la loro era
una nudità innocente e artistica, se così si può dire.
E vediamo un po' di capire come e dove venivano raccolti. Nemmeno qui le
fonti sono di grande aiuto e tutt'al più possiamo dedurre come avvenisse la
"raccolta" dal folclore nordico che probabilmente ne ha conservato nelle
favole un lontano ricordo "cristianizzato". Si può esser sicuri che, dietro
le fiabe tedesche di Grimm come Pollicino o delle byline russe sulla Baba
Jagà, si è tramandato proprio tutto un complesso di eventi legato giusto
alla vendita degli schiavi giovanetti!
Partiamo invece dalla precaria economia contadina, basata sullo sfruttamento
d'un appezzamento di terreno che col passar del tempo cala di rendimento. Ad
un certo momento la resa agricola non permette che il numero di persone
nutrite si accresca oltre e, data l'alta natalità (ma anche tenendo conto
della grande la mortalità perinatale e della selezione biologica rispetto
alla resistenza alle malattie) bisogna liberarsi delle bocche in
soprannumero. pena la penuria di cibo per tutti!
Per le ragazze di solito c'era il matrimonio esogamico che ribaltava il
problema della bocca in più ad un'altra famiglia in un altro villaggio (la
famosa famiglia allargata degli Slavi del sud, la zadruga, qui nel nord
infatti era molto meno diffusa). E presso gli Slavi prendere una moglie in
un altro villaggio significava pagare il veno ossia il prezzo "per l'
allevamento" ai genitore di lei!
Per i maschi invece occorreva trovare un altro esito e così, per il loro
bene, ma anche per il bene di tutti, i ragazzi venivano - addirittura! -
portati al mercato per affidarli a chi li volesse. pagando qualcosa. Alla
fine di tutti questi percorsi possibili (ricostruiti) ecco che qualche
genitore più lungimirante che amava davvero i figli decideva di affidare i
propri (e quelli di altri che erano d'accordo con lui) al mercante di
bambini. Niente di diverso di quello che si fa oggi ovunque e ancora nel
mondo, magari in modo più protervo!
Questi sono dunque gli schiavi che noi chiamiamo qui di seguito saqaliba.
Premesso questo, ipotizziamo di ricostruire dei termini di "consegna".
Anzitutto è fuorviante pensare a grandi numeri, sebbene i censimenti degli
schiavi adulti presenti in ogni corte musulmana, ma anche nel Laterano,
citati da M. Lombard parlino di una decina di migliaia di schiavi slavi per
corte. A nostro avviso, sono numeri globali relativi ad un certo numero di
anni perché, da altri paragoni documentari che abbiamo, un dato più reale è
al massimo una cinquantina di ragazzi (e ragazze insieme) per ogni
spedizione dal Nord. Questi sono condotti in un certo luogo dove il mercante
(forse dietro l'Uomo Nero delle favole, il bielorusso Kraciùn, si nasconde
proprio costui) li esamina, fa un prezzo, lo paga (di solito in natura) al
portatore e finalmente può portar via con sé la partita acquistata.
Quanto poi all'immaginare carovane di schiavi giovinetti commerciati dai Rus
' e dai Rahdaniti come una triste processione di ragazzi battuti a sangue o
trattati male, è assolutamente irreale! Infatti gli schiavi provenivano
anche da altre plaghe slave più a sud del Baltico e dai Balcani e non si
riesce a determinare un centro di vendita ben definito localizzato per lungo
tempo in un luogo. Altro errore è pensare sempre a catture forzate nei
villaggi slavi o finnici o baltici del Nord per ottenerne, benché dobbiamo
ammettere che talvolta ciò accadde.
A Costantinopoli (e in generale nel mondo cristiano) lo schiavo era visto,
sì, con pietà, ma anche come colui che colpito dal peccato era caduto tanto
in basso per volontà di Dio e perciò, quella che fosse la sua funzione,
finché non avesse espiato le sue colpe era considerato come un uomo in
penitenza perpetua. In questo quadro ideologico perciò rientra bene la
descrizione che Costantino VII Porfirogenito fa degli schiavi slavi portati
dai Rus' ossia: incatenati e mandati avanti a spintoni dai padroni. Questo
infatti era il modo che i Rus' erano obbligati a rispettare per portarli in
città. secondo le prescrizioni di polizia previste come corollario al
Trattato di Olga di Kiev del 947 d.C.! L'accesso nella capitale imperiale
era possibile esclusivamente ad un certo numero di uomini che non poteva
essere superato (50) e perciò gli schiavi da vendere entravano in città solo
se legati come animali e in tal modo non contavano come esseri umani veri e
propri.
Per il mondo musulmano abbiamo la testimonianza di Ibn Fadhlan del 921 d.C.
il quale fra le altre cose ci dice come gli schiavi saqalibat erano
alloggiati nella tenda del loro custode dove il compratore poteva andare a
guardarseli nudi e trattarne il prezzo. E' chiaro che gli schiavi più belli
e speciali destinati ai clienti altolocati non erano disponibili come ci
dimostra la grande reticenza di un mercante Rus', Dilli, a dare in vendita
una ragazza muta già promessa ad altri, nel racconto della Saga degli uomini
di Laxdal.
Insomma il destino che attendeva questi slavi giovanetti non era
assolutamente negativo, anzi! Perdevano la poca cultura che avevano
acquisito durante l'infanzia, ma ne acquistavano un'altra molto più elevata,
visto che diventavano membri di famiglie molto abbienti in luoghi d'Europa
di alta civiltà. Certo, dimenticavano la loro lingua e persino il luogo dove
erano nati e gli unici segni distintivi che denunciavano la loro origine
esotica erano il colore della loro pelle, i loro capelli biondi e i loro
occhi azzurro cielo. E addirittura, specie nei paesi musulmani, erano quasi
sempre circoncisi e sottoposti ad un regime giuridico molto leggero e non
oppressivo malgrado la loro attività dipendente, proprio come membri di
famiglia.
Inoltre la morale sessuale era diversa a quei tempi e, se una ragazza era
adibita esclusivamente ai servizi sessuali nella famiglia che l'aveva
comprata, non c'era gran che di male, salvo le lamentele dei soliti
benpensanti musulmani che si preoccupavano che queste "slave" dessero al
mondo figli malaticci. a causa del colore così pallido della loro pelle! Lo
stesso Ibn Fadhlan sorprende un venditore Rus' in accoppiamento con una
delle schiave e si adombra perché costui completa il suo coito prima di
rivolgersi al cliente che sta ad attendere guardando! Allo stesso modo non c
'era nulla di male che i maschietti, destinati già ad una carriera più
prestigiosa, fossero castrati (Samarcanda, Verdun, Ratisbona erano dei
centri rinomati per questo, dove i medici ebrei sapevano far bene tali
operazioni senza conseguenze per la salute futura dei piccoli pazienti).
Perché evirarli? Evidentemente ciò era fatto con lo stesso criterio con cui
si castravano i torelli ossia per calmare i loro bollenti spiriti!
Soprattutto lo si faceva affinché non si creassero problemi di prole
illegittima con le donne di casa! Tuttavia integri sessualmente erano
adibiti tranquillamente agli amori pederastici (o pedofilici che dir si
voglia) in voga in tutto il mondo mediterraneo, senza distinzione di
religione. salvo l'osservazione poco benevola di qualche moralista cattolico
del tempo al quale il mercimonio schiavistico era odioso in sé e per sé.
E allora quali attività erano loro riservate? Per quanto ne sappiamo e
mettendo insieme ambienti cristiani e musulmani, le ragazze servivano da
domestiche, da badanti, da cuoche, da assistenti alle dame della casa, da
compagne di letto, da ballerine o da spogliarelliste. Gli uomini invece
ricevevano anche incarichi di fiducia quale dispensiere e magazziniere
oppure guardiano, scudiero etc.
Perché ci siamo fermati di più sul mondo musulmano? La risposta è presto
data: Le corti musulmane furono le più assidue (durarono più a lungo, come
clientela) nella compravendita degli schiavi, rispetto alle cristiane. D'
altronde la conquista musulmana del VII sec. d.C. di gran parte dell'Impero
Romano non aveva causato distruzioni dei centri cittadini e dei mercati già
esistenti e dunque in queste "nuove" società più progressiste in cui si
fondevano il credo islamico con le abitudini bizantine (e sassanidi nella
parte più orientale), nelle strutture e negli impianti lo schiavo era già
presente: Non tanto come strumento vivente che fa girare macine o che rema
fino a spossarsi incatenato al banco sulle navi perché questo tipo di
schiavitù di solito era assegnato ad un delinquente condannato ai lavori
forzati (come il soldato vinto!), quanto piuttosto come persona di servizi
domestici. E di questi schiavi si faceva mercato più intensamente, quasi che
il mercante fosse una specie di agenzia di collocamento al lavoro! E' inteso
pure che per queste occupazioni i giovani non dovessero soltanto star bene
in salute o essere forti e robusti, ma dovessero essere soprattutto belli
docili e pronti ad accondiscendere a qualsiasi richiesta del padrone perché
li aspettavano attività di fiducia e persino prestigiose. Poco male se certi
non hanno appreso un mestiere quando arrivano dal nuovo padre e padrone.
Faranno il tirocinio qui!
Certo, se sbagliano, sono puniti e forse più duramente di altri non schiavi,
ma questo è naturale e dipende dall'umore e dal carattere dei padroni più
che dagli errori commessi.
Comunque sia, nell'Islam erano trattati meglio che in altri posti, seguendo
le raccomandazioni di Maometto quando il sant'uomo aveva paragonato gli
schiavi ai poveri e ai disabili degni di cura, di misericordia e d'
attenzione maggiori da parte di chiunque, credente oppure no. E poi non fu
forse la Spagna musulmana (al-Andalus) uno dei mercati di passaggio per gli
schiavi (specialmente le belle andaluse) che andavano in acquisto presso l'
Europa cristiana via Lione?
Intanto nella cornice della morale cristiana medievale, la schiavitù non era
da sopprimere e non rientrava esattamente nel quadro delle deliberazioni dei
Concilii, intese al miglioramento delle condizioni materiali e morali delle
persone fisiche. La politica della Chiesa Cattolica mirò soprattutto acché
questi uomini e queste donne non aumentassero il numero degli infedeli
(vista la loro origine prevalente dalle steppe asiatiche già convertite all'
Islam) e degli eretici (visto che provenivano da un ambiente pagano o
ortodosso come il Grande Nord). Questa fu la posizione riflessa di Ottone I
quando avvertì il Doge Pietro IV Candiano che quel traffico di Venezia con
gli schiavi Slavi dal Mar Nero non gli piaceva affatto perché lo metteva in
cattiva luce con gli Slavi dell'Elba che stava "evangelizzando"! E' da dire
che i Veneziani però non si attennero alla promessa, ma anzi, per
risparmiare i lunghi viaggi dal Mar Nero fino all'Adriatico, si misero a
trafficare gli Slavi della vicina Dalmazia dal fiume Neretva (gli schiavi
narentini). Per di più, come nel caso dei turchi delle steppe, si
rafforzavano le armate militari dei regni musulmani che premevano l'Impero
da tutti i lati.
Dunque intorno al X sec., maschi e femmine, erano destinati (e lo ripetiamo)
più agli usi domestici e soltanto in minor misura ai lavori agricoli, come
era stato sotto l'Impero Romano antico. Pertanto: numero limitato per l'
impiego nei lavori logoranti (sotto il sole nei lavori agricoli la pelle si
abbronzava e le donne non piacevano più!), lunghi percorsi dal punto di
"produzione" ai mercati di vendita e dunque preoccupazione che arrivassero a
destino malati o esausti e guadagni notevolissimi per i mercanti
(ricordiamolo!) principalmente Rahdaniti e Veneziani.
Quanto costavano all'ultima vendita, detratte le spese di mantenimento,
viaggio e gabelle pagate lungo gli itinerari?
Fatti i debiti conti (molto approssimativi) al genitore-venditore andava un
ben misero compenso in natura rispetto a quanto metteva in tasca il mercante
e tuttavia per l'economia rurale del tempo, quell'arnese o quell'utensile
ottenuto in cambio del figlio era abbastanza vantaggioso da ripagargli l'
allevamento e soprattutto perché prometteva un futuro molto roseo al ragazzo
partito per terre lontane che a casa sua non avrebbe mai potuto avere a
causa degli stenti derivati dalla sua presenza.
Vediamo però i prezzi correnti.
L'archeologo F. Schlette, ci dà un prezzo generico per il X sec. in area
carolingia: 300 g d'argento che paragona a quello d'un cavallo che ne
costava quasi altrettanto o d'una vacca, 100 g, o d'una spada, 125 g. Un
altro autore, lo storico americano Y. Rotman, ci dà un prezzo (minimo) di 10
nomismi d'oro o due rotoli di seta in area bizantina nel IX sec. Una schiava
negra invece costava soltanto 4 nomismi, sempre a Costantinopoli!
I prezzi dati sopra sono comunque somme molto alte rispetto al tenore di
vita del tempo della gente semplice (2 nomismi era il salario d'un intero
anno di un uomo libero al lavoro dipendente!) che viveva dove questi schiavi
venivano comprati e perciò solo un re o un signore di pari potenza economica
poteva permettersi di averne o di usarne. Come esempio, aggiungiamo che per
un servizio sessuale con una schiava di un altro padrone il prosseneta
incassava dal cliente ben 36 nomismi per una notte!!
Gli acquirenti registrati comunque sono fra i più notevoli: La corte
musulmana di Baghdad, Costantinopoli, il Papa di Roma, le corti carolingie,
l'Egitto, Palermo, l'Arcivescovato di Magonza, Ingelheim etc. etc.
Ed ecco che si presenta il problema di individuare quali erano gli itinerari
mercantili più frequentati che portavano gli schiavi slavi dal Nord russo al
Mediterraneo e come erano fra loro collegati e come evolsero, almeno fino al
XIV sec.
Prima di addentrarci in questo argomento diciamo subito che qui non lo
esauriremo e aggiungeremo che in questi traffici l'unica città russa nel X
sec. che ci guadagnò più delle altre fu Kiev con le gabelle (in natura ossia
proprio "pagando" qualche schiavo per mercante, di solito poi assegnato alla
druzhina del knjaz) e che la raccolta maggiore era nell'attuale Bielorussia
in cui Polozk e Druzk mantennero le vendite di schiavi più cospicue fino al
1430! E proprio dalla Bielorussia i traffici di schiavi viaggiavano "via
terra" (in realtà viaggiavano lungo affluenti interni del Danubio) e poi
entravano nell'Impero Franco attraverso il posto di dogana di Raffelstetten
in Austria odierna (passando prima dalla franca Ratisbona, un'altra delle
"fabbriche d'eunuchi") fino al XI sec. Una città slava che fiorì con questo
commercio era proprio all'uscita dell'itinerario che passava per
Raffelstetten: Praga (anch'essa centro di castrazione). Ce lo dice un
visitatore ebreo andaluso interessato a questi traffici, Ibrahim ben Jaqub,
che passò da queste parti intorno al 965 d.C.
Val la pena leggerlo in qualche rigo: "Praga è la città più ricca per i
traffici . in questo paese. I Russi e gli Slavi portano qui le loro merci
passando da Cracovia. Anche i musulmani, gli ebrei (rahdaniti) e i turchi
dal Bilad al-Atrak portano le loro merci e i pezzi d'argento per
trafficare. . (Qui comprano) schiavi, stagno e vari tipi di pellicce
(pregiate)."
Tuttavia la via preferenziale degli schiavi saqaliba fu il Dnepr e il Mar
Nero. Dalle Terre Russe del Nord via Chersoneso in Tauride si andava fino a
Costantinopoli. I traffici diretti in Spagna, per al-Andalus, invece
usufruivano dei trasporti via mare che collegavano (ce lo dicono le carte
della famosa Ghenizà del Cairo) velocemente le coste palestinesi o
Alessandria d'Egitto con Almeria sul Mediterraneo o con Siviglia al di là
dello Stretto di Gibilterra. Per queste ragioni le carovane dopo aver
percorso il Volga non attraversavano il Caucaso da Derbent, ma aggiravano il
Mar Caspio lungo la riva orientale nel territorio della Coresmia e poi
scendevano verso Baghdad e di qui proseguivano per il litorale mediterraneo.
Il Mar Nero era escluso a causa dei nomadi delle steppe ucraine e delle
ostilità con Costantinopoli. Alla fine il Mar Mediterraneo fu e si affermò
come la strada più frequentata da questo traffico. Infatti sappiamo che
anche i rahdaniti risalivano il Rodano fino a Lione con i loro carichi
entrando dalla foce con le navi noleggiate.
La concentrazione lungo le coste meridionali baltiche di tesoretti composti
di monete d'argento coniate nel Vicino Oriente musulmano ci dicono che gli
schiavi passavano anche per di qua, certamente insieme con altre merci
altrettanto costose e importanti. Andavano nelle corti del Regno Franco? Non
ne abbiamo la certezza, ma visto che i Vichinghi norvegesi trovavano mercato
per i loro prigionieri lungo il Mare del Nord, è possibile che anche gli
schiavi slavi prendessero le stesse vie visto che le monete coniate in
Inghilterra cominceranno ad aumentare nel Baltico intorno alla fine del X
sec. Può anche darsi che, dalle coste del Golfo di Biscaglia (allora
praticamente disabitata e quindi terra di nessuno), i carichi arrivassero di
nuovo in terra musulmana di Spagna.
Una domanda però è d'uopo a mo' di conclusione: A chi e a che cosa serviva
circondarsi di tanti servitori?
Come abbiamo visto i clienti-padroni erano tutti facoltosi e nel Medioevo
ciò significava avere potere sugli uomini per poter imporre il diritto di
prelievo e l'obbligo di produrre un surplus e questi ricchi, la loro
famiglia e il loro gruppo avevano la necessità di mostrare questo potere
attraverso l'ostentazione del prestigio e la legittimazione quotidiana
attraverso l'ideologia religiosa dominante. Dedicavano tutti i loro sforzi,
ideologici e finanziari, a questo scopo: lo spettacolo del potere. Ciò
logicamente implicava l'allestimento di continui eventi che richiamassero la
gente soggetta ad applaudire e ad approvare (processioni, mercati, sagre,
compleanni del signore e simili liturgie) in cui occorreva non solo
materiale e oggetti preziosi, ma anche tantissimo tempo perché le cerimonie
e la preparazione alle stesse lo richiedevano. Per questi motivi una
numerosa servitù era importante per fornire il tempo libero occorrente e ciò
era tanto più vero quanto più l'esercizio del potere era concentrato nelle
mani di re e reucci, di nobili e signori della Chiesa.
Nel mondo musulmano gli spettacoli del potere erano alquanto meno imponenti
e, se possiamo esprimerci così, più popolari poiché la società voluta da
Maometto non ammetteva capi o imperatori, ma solo difensori della fede e
grandi credenti. Questa differenza è qualitativamente incisiva per
distinguere la visione del mondo da quella del Cristianesimo. Nell'Islam sia
il ricco notabile sia il califfo o l'emiro dedicavano tutto questo tempo
libero. alla cultura! E non solo impegnandosi personalmente, ma anche
attraverso elargizioni e fondi. Quel mecenatismo che veniva dai vertici era
una specie di zakat (elemosina obbligatoria rituale) verso quelle menti
inclini alla ricerca scientifica, ma prive dei mezzi necessari! La ricchezza
infatti era un'elargizione divina e veniva affidata a pochi uomini non
perché ne disponessero a proprio piacimento, ma per aiutare i più deboli e
© marzo 2008 di Aldo C. MARTURANO |
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