La scoperta delle BERJOSTY
un evento medioevale epocale del secolo scorso
dedicato ad un grande archeologo e storico russo contemporaneo:
Valentin Lavrent’evic’ JANIN
Quando il prof. A. V. Arcihovskii trovò le prime berjòsty
nei suoi scavi a Novgorod nell’estate (è l’unica stagione buona
per il lavoro di scavo qui nel Grande Nord) del 1951 (26 luglio) probabilmente
non ne rimase molto sorpreso poiché qui e là nelle zone archeologiche
dove lavoravano gli altri colleghi delle università statali nell’ex
URSS di tali reperti se ne trovavano ogni tanto. E’ vero che, quando lo
scritto non era visibile o riconoscibile, gli archeologi li avevano presi
per “galleggianti per la pesca”, ma ora il fatto eccezionale fu che con
il proseguire degli scavi in pochi mesi di campagna il numero dei reperti
salì a varie centinaia! Fino ad oggi (anno 2000) di berjòsty
ne sono state catalogate circa un migliaio in questa zona di scavi, ma
restano ca. 20.000 reperti simili da mettere ancora in ordine e da decifrare!
Che
cosa sono le berjòsty (il singolare è berjòsta
in russo)? E’ presto detto! Sono delle strisce oblunghe (da 25 cm fino
a 40 cm e oltre) di scorza di betulla di larghezza tipica standard fra
i 4 e gli 8 cm sulla cui faccia interna mediante uno stiletto appuntito
d’osso o di metallo o di legno (pisàlo in russo) si incidono
agevolmente le lettere. Le strisce, per essere così scritte, devono
essere preparate immergendole o bollendole in acqua calda per dare loro
una maggiore elasticità. A questo punto la striscia inverte la sua
proprietà di avvolgersi su se stessa e lo scritto sulla berjòsta
arrotolata risulterà ora sulla faccia esterna. Subito dopo l’incisione
i solchi infatti imbruniscono e la scrittura è subito leggibile
e, se poi le condizioni lo permettono, ecco che queste lettere sui generis
riescono a conservarsi per secoli per essere scoperte poi dagli archeologi.
Niente di eccezionale, a quanto pare e niente di nuovo come reperto, visto
che se ne trovano non solo in Europa, ma anche in Nordamerica e abbastanza
spesso persino nel nord dell’Asia. Si può aggiungere che tale tipo
di supporto grafico è peculiare del nord ed è ben conosciuto
dall’antichità fino ad oggi in tutto l’emisfero boreale dove cresce
e vive la Betulla. Presente con varie decine di specie nelle foreste, quest’albero
offre con la sua corteccia bianca e liscia che facilmente si stacca dal
tronco un ottimo foglio per scrivere. Questa però è una nota
di poco valore e quel che è invece importante per lo storico è
il fatto che le berjòsty siano state trovate in così
gran numero in città tutte vicine comprese nel grande territorio
più settentrionale che una volta era parte dello stato della Rus’
di Kiev.
Ad esempio nella città di Rusa (riva sud del lago Ilmen, il
lago immediatamente a sud di Novgorod) le berjòsty ritrovate
sono 32, a Pskov (non lontano da Novgorod, ad occidente) 8, nell’area di
Smolensk negli scavi della vicina Gnjòzdovo se ne sono trovate una
decina, una risulta a Vitebsk nella città natale di Marc Chagall
in Bielorussia e un’altra nella lontana Mosca. Fa perciò meraviglia
che mai negli scavi fatti fino ad ora ne siano state trovate tante come
a Novgorod!
Ci sorge spontanea la domanda: Qual è la ragione per spiegare
tutti questi scritti in così gran numero in una sola città?
La risposta non è semplice. Le berjòsty prodotte in
un intervallo di tempo così ristretto (!) non possono che suggerirci
una cosa: a Novgorod l’alfabetizzazione dei cittadini era molto diffusa
(al contrario di quanto si credeva anni fa). Ciò vuol forse dire
che le scuole delle chiese dei “cantoni” novgorodesi esistevano e funzionavano
a pieno ritmo e che siano state alla portata di tutti, senza distinzione
di classe o strato sociale? Malgrado ogni sforzo immaginativo, non esiste
prova che l’istruzione venisse impartita in scuole organizzate né
a Kiev e neppure nella colta Novgorod ed è anzi più probabile
che solo le classi più abbienti si potessero permettere di far venire
i monaci in casa per insegnare ai propri rampolli a leggere, a scrivere
e a far di conto.
Che la scrittura subito dopo la sua antichissima invenzione dovesse
diventare il mezzo di comunicazione di massa più diffuso fra gli
uomini, nessuno se lo sarebbe aspettato in periodo medievale. Anzi! Dalle
stesse fonti rappresentate dalle Vite dei Santi Russi (i primi santi russi
furono di solito di famiglia principesca o nobile, con encomiabili eccezioni
come il grande san Teodosio delle Grotte) si può dedurre che la
Chiesa, com’è naturale, avesse il monopolio esclusivo dell’alfabetizzazione,
sebbene l’istruzione passata dai Monasteri a colui che era destinato alla
carriera ecclesiastica fosse tutt’altra di quella impartita ai “laici”.
L’insegnamento della scrittura dunque veniva conservata gelosamente come
attività riservata ai preti locali, custodi delle Sacre Scritture
ossia dell’unica fonte delle conoscenze del tempo, affinché nessuno
se ne appropriasse indebitamente (in altre parole per impiegarla in cerimonie
pagane). Già è immaginabile nelle culture contadine europee
appena evangelizzate la meraviglia che suscitava il sentire raccontare
ad alta voce le stesse storie con le stesse ed eguali parole nelle nuove
chiese soltanto scorrendo con il dito lungo questi strani segni misteriosi.
Ciò era in contrasto con le esercitazioni mentali che invece occorreva
fare per ricordare a memoria i fatti e gli eventi della propria famiglia
e del proprio clan senza troppe variazioni di testo con le vecchie tecniche
mnemoniche cantilenate del nord e così, quando il Cristianesimo
penetrò e si affermò come religione dello stato nelle Terre
Russe, tutti i bambini – con preferenza nelle città dei figli delle
famiglie più abbienti – cominciarono a frequentare le chiese dove
si insegnava, se non a scrivere, almeno a leggere e a cantare gli inni
al nuovo dio cristiano. Le Cronache russe a questo proposito, parlando
di Vladimiro il Santo quando introdusse il Cristianesimo a Kiev e a Novgorod,
ci informano che mandò a studiare tutti i figli dei nobili affinché
imparassero la nuova disciplina. Questa “imposizione dall’alto” fece tale
impressione nelle famiglie che le madri piangevano e davano i loro figli
per ormai morti, temendo che i ragazzi andassero ad imparare la magia nera,
più che la conoscenza attraverso la scrittura.
D’altro canto è incontrovertibile che molte berjòsty
siano di provenienza “popolare” e quindi dobbiamo ipotizzare che anche
le classi più “basse” (almeno quelle novgorodesi) dovessero essere
largamente alfabetizzate e questo ci dà un quadro di un’alta civiltà,
eccezionale per il primo stato russo della storia. Dalle analisi fatte
con le strumentazioni e i metodi d’indagine più moderni la maggioranza
di questi scritti è databile intorno al XIII sec. d.C. ossia agli
anni del grande successo internazionale di Novgorod-la-Grande. Conseguentemente
dobbiamo vedere le berjòsty come un segno di questo fiorire
della città, salvo poi a constatare che questo particolare supporto
per lo scritto, proprio intorno al XIV, comincia a scomparire man mano
sostituita dalla carta importata dall’occidente europeo e con le comunicazioni
private che vanno cambiando.
A parte quanto detto sopra, l’importanza della scoperta delle berjòsty
è una novità che finora è stata trascurata dalla storiografia
occidentale. E’ vero che oggi Novgorod-la-Grande è un capoluogo
di provincia nel grande nord russo a qualche centinaia di km da San Pietroburgo,
di poca importanza economica e politica nell’odierna Federazione Russa,
sebbene sia considerata la più brillante città-museo russa
protetta dall’UNESCO. E’ vero che non è da confondersi con la molto
più grande Novgorod-di-sotto ossia Nizhnii Novgorod sul Volga, ma
è altrettanto vero che nel Medioevo il Grande Nord Russo rappresentò
la più importante risorsa di materie prime e tecnologica per tutto
il continente europeo e che il centro culturale e economico di questo immenso
territorio da sfruttare era proprio Novgorod-la-Grande. Purtroppo nella
storiografia occidentale, la limitatissima conoscenza di questa regione
d’Europa (anche da parte dei contemporanei del lontano Medioevo) ha permesso
che si diffondesse la concezione che da questo oscuro e lontano nord venissero
solo materie prime di secondaria importanza. Questo modo di vedere però
è ormai in disuso da quando gli scavi fatti a Novgorod hanno dato
le prove lampanti che l’artigianato locale era di altissima qualità
e che veniva esportato in tutto il mondo mediterraneo, se non anche più
lontano. I traffici di questa città infatti giungevano fino in Cina
attraverso le strade fluviali oltre il Caspio e con le carovane che lungo
le vie meridionali asiatiche giungevano nell’India o attraverso quelle
settentrionali toccavano la Mongolia. Novgorod tuttavia era collegata preferibilmente
con tutto il nord d’Europa e con i mercati lungo il Reno e quando nacque
l’Hansa, pur non diventando mai una città anseatica, fu la base
di produzione più importante del Mare del Nord e del Baltico (un
Kontoor).
Novgorod conserva bene ancora oggi il piano medievale del XV sec. insieme
con i suoi vecchi monumenti, le tante chiese, ma… è solo una “brutta
copia” di quella che fu la splendente città-repubblica a pianta
circolare divisa dal fiume Volhov in due metà separate, chiamate
rispettivamente: quella sulla riva destra, Riva del Mercato, e quella sulla
sinistra, Riva di Santa Sofia. La Riva del Mercato – così chiamata
perché aveva appunto una Piazza del Mercato – era in maggioranza
abitata da artigiani e operai indipendenti, mentre quella opposta era abitata
dall’élite e cioè dai bojari latifondisti e dal potentissimo
Arcivescovo novgorodese. Le due “metà” erano unite dal cosiddetto
Ponte Grande o Ponte Vecchio e ciascuna era circondata da una cinta di
mura esterna con torri e bastioni per la difesa, al principio fatte di
legno ma poi anche di mattoni. La Riva di Santa Sofia poi aveva al suo
interno un’altra cinta di mura con fossato che racchiudeva la Cattedrale
appunto dedicata a Santa Sofia e l’Arcivescovado con la sua sala detta
delle Cento Colonne dove si riuniva quasi in segreto il governo ristretto
della città (i Gospodà ossia i rappresentanti più
potenti e autorevoli delle 300 famiglie bojàre più o meno
imparentate fra di loro). Qui al tempo della fondazione della città
nel IX sec. d.C. si trovava il grande Deposito di Merci chiamato Detìnez.
I cuori della città erano dunque la Cattedrale da una parte
e la Piazza del Mercato dall’altra e Novgorod al momento del suo massimo
splendore forse raggiunse i 60-70 mila abitanti e tutte queste persone…
si scrivevano! Brevi note, contratti, sentenze giudiziarie, lamentele,
soltanto saluti, addirittura anche i ragazzi che avevano appena imparato
a scrivere hanno lasciato le loro berjòsty! E, meraviglia
delle meraviglie, il primo documento scritto in lingua carelo-finnica è
proprio il breve testo di una berjòsta (ricordiamo che la
parte finnica della popolazione novgorodese era detta “ciuda” sebbene comprendesse
varie etnie affini)!
L’interesse storico per questi documenti è dunque enorme…
Non possiamo qui tracciare la storia di Novgorod, ma abbiamo il dovere
di metter in chiaro alcuni punti sul suo ruolo paneuropeo. La città
aveva un regime assolutamente repubblicano e cioè si governava (al
di là della partecipazione suppletiva a tale governo di un principe
mandato da Kiev) attraverso la sua assemblea popolare chiamata Vece.
Questa assemblea suprema si formava attraverso i deputati scelti nelle
assemblee dei “cantoni” della città partecipate, queste sì,
da tutti i residenti liberi e si riuniva davanti alla Chiesa di san Nicola
sulla Riva del Mercato. Chi voleva poteva assistere plaudendo o gridando
contro dall’esterno, a seconda dell’andamento della discussione. Questa
organizzazione permise a Novgorod che i suoi traffici non dipendessero
dai bisogni e dalle politiche della Rus’ di Kiev e dei suoi principi e
perciò possiamo dire che le corti europee, sorte con l’affermazione
politica dei Germani e degli Arabi, compravano di qui tutti quei prodotti
forestali provenienti dal ricchissimo hinterland, prodotti che non erano
ormai più disponibili in qualità e quantità in altri
luoghi d’Europa. Di qui partivano tonnellate e tonnellate di cera bianchissima
per illuminare il buio della notte nelle ricche case borghesi o nelle grandi
cattedrali gotiche o per le tecniche del bronzo, il miele che addolciva
tutte le tavole dei nobili, l’avorio delle zanne di tricheco, i preziosissimi
schiavi giovani di cui persino il Palazzo del Laterano del Papa di Roma
ne aveva in gran numero e, last but not least, le pellicce costosissime
di zibellino, vaio, marmotta etc. con le quali i re, i cardinali, i nobili
adornavano gli orli dei loro mantelli o dei loro abiti fatti di lino di
Novgorod.
E non solo! Le sue ricchezze e il suo artigianato erano famosi per
la loro squisita fattura. Non è, a nostro avviso, azzardato dire
che gran parte dello sviluppo civile europeo durante il Medioevo dipese
proprio dalle potenzialità di questa repubblica nordica e russa
e dalle sue decisioni commerciali e politiche. Novgorod diventò
talmente importante che persino il Papato si sforzò di tentarne
la conquista. Infatti i Cavalieri Teutonici di stanza a Marienburg (oggi
in Polonia) e i loro analoghi Livonici di stanza a Riga in Lettonia, quando
si accorsero di essere capitati proprio nelle vicinanze delle forniture
novgorodesi, tentarono in tutti i modi di conquistarla coinvolgendo i re
danesi, svedesi e quelli della Polonia-Lituania contro la città.
Anche i tataro-mongoli di Cinghiz Khan cercarono di sottometterla, ma tutti
fallirono e la città, malgrado gli sforzi dei regni vicini ostili,
restò una repubblica indipendente fino al 1478.
Le berjosty ci confermano tutto questo e ci suggeriscono un quadro
della vita cittadina d’ogni giorno molto particolare.
Ci si alza con le prime luci dell’alba e ci si mette subito a lavorare.
Le donne sono affaccendate con i servizi soliti di casa o con la tessitura
e il ricamo e gli uomini con legno argento pelli etc. si danno da fare
per tirar fuori oggetti e suppellettili di squisita fattura che talvolta
richiedono persino settimane di duro lavoro. Il bojaro padrone e signore
di tutta questa gente invece, dopo aver fatto un giro nell’usad’ba
per controllare a che punto sono le ordinazioni che ha passato ai suoi
uomini, va presto a pregare e a consigliarsi col suo pope nella chiesa
da lui costruita e che serve non solo come luogo di preghiera, ma anche
come futura tomba e come cassaforte per le cose più preziose. Successivamente
incontrerà alla Riva del Mercato i suoi clienti stranieri per accordarsi
su prezzi e consegne oppure, attaccati i cavallini alla slitta, si farà
portare nei suoi terreni fuori città per controllare come stanno
andando le raccolte e le coltivazioni. Ad una certa ora del giorno ci sarà
una refezione nell’usad’ba, tutti insieme, e poi una siesta pomeridiana.
Il lavoro però deve riprendere al più presto anche perché
d’inverno il giorno è molto corto alle latitudini di Novgorod e
il bojaro non gradisce che si consumino candele per illuminare il lavoro
perché la cera pulita e filtrata si vende a prezzi altissimi in
Europa ed è inutile consumarla in casa, salvo che non ci sia una
festa o una cerimonia particolare!
Purtroppo la città costruita immediatamente all’uscita del Volhov
dal lago Ilmen (è l’unico emissario) doveva subire i capricci del
clima e quando il lago gelava per molto tempo ecco che a primavera tutto
il ghiaccio sciogliendosi causava delle inondazioni devastanti. Tuttavia
dobbiamo entrare nella mentalità della gente del tempo che ancora
serbava le credenze e le superstizioni del vecchio paganesimo slavo per
capire che le inondazioni erano considerate come una mattana causata dalle
ire del Signore del Lago contro i novgorodesi che certamente avevano trasgredito
in qualche modo alle regole di reverenza che si dovevano agli dèi
più potenti. Dunque le inondazioni (periodiche o quasi) una volta
scatenatesi, si attendeva che fluissero via e, malgrado le devastazioni
e le vittime, si tornava alle vecchie case. Non si liberava tutto dal fango
argilloso poiché si credeva che gli oggetti ormai inghiottiti erano
ritornati alla dea Madre Umida Terra che dapprima li aveva donato agli
uomini ed ora se li era ripresi. Si procedeva quindi, ove necessario, ad
una nuova ricopertura delle strade con tronchi di legno nel modo speciale
che solo gli Slavi sapevano fare e la vita riprendeva. Altra tragedia era
il fuoco e anche qui entrava la visione religioso-magica del mondo, quando
il fuoco distruggeva mezza città. Certo! La città godeva
di tutti i servizi più moderni del tempo come ospedali ed altro,
ma per gli incendi era stato perfino istituito un servizio di prevenzione
per ogni cantone. E tuttavia quando le fiamme avvolgevano le case nessuno
andava a spegnerle perché il Fuoco era ancora sentito come il dio
pagano sacro e potente e purificante e nessuno avrebbe mai osato offenderlo
versandogli acqua addosso.
Ecco questi forse sono i motivi perché le berjòsty
si sono conservate nel fango senza essere mai state recuperate dagli stessi
contemporanei per servire ancora come archivio personale o famigliare!
Certamente
presso i complessi industriali (le usad’by) dei bojari novgorodesi
si nota una concentrazione degli scritti su corteccia di betulla più
che presso le officine artigianali “dei liberi”. Molte di esse definiscono
un impegno scritto quasi che, per paura di essere fraintesi, sia indispensabile
fissare tutto sullo scritto. Ciò risponde al tipico atteggiamento
“capitalistico” novgorodese nei confronti della ricchezza e del suo uso
immediato e pratico verso chi ricco non è e cioè: Non c’è
bisogno di saper far tutto, ma basta solo avere il denaro per “noleggiare”
chi sa fare quello che noi non sappiamo fare. Questo è l’uso utilitaristico
dello scritto che riusciamo subito a riconoscere.
Se poi ci chiediamo come mai ci fosse questo fitto scambio di “SMS
ante litteram” in quel lontano periodo, una risposta esauriente non c’è
poiché il tenore degli scritti è vario non essendo questi
sempre dei documenti ufficiali, ma scritture prevalentemente private. In
generale le lettere provengono da tutti gli strati della società
novgorodese e, come abbiamo già detto, parlano di tantissime cose
e vicende, dalle più banali alle più importanti per la vita
privata e pubblica dei cittadini di quel tempo in quell’angolo lontano
e importante d’Europa. Perciò per la storia di Novgorod medievale
oggi è l’inverso: Con una certa ampiezza possiamo da queste lettere
capire il perché e il come di questa città, della sua esistenza
e del suo fiorire… entrando in casa della sua gente fin nei loro cuori!
E’ logico anche, sebbene libri mastri o registri non ne siano stati
ancora trovati, che in una città che aveva un giro d’affari enorme
durante tutto l’anno sorgesse la necessità di tenere i conti, di
fare gli elenchi delle cose da vendere e da comprare, dei pagamenti, dei
contatti da prendere e da mantenere etc. Il lavoro era infatti organizzato
attraverso le commesse che i bojari passavano agli artigiani. Costoro però
erano parte dell’usad’ba bojara e cioè del complesso abitativo
e produttivo di ogni famiglia bojara. Qui gli artigiani con famiglia e
aiutanti abitavano e venivano mantenuti vita natural durante legati al
loro “padrone” proprio dal lavoro che svolgevano. Altri, ma numerosi, artigiani
però erano liberi sia perché il loro lavoro era troppo difficile
e specializzato o sporco o ingombrante, sia perché erano riusciti
ad emanciparsi dalla dipendenza da una famiglia bojara per vari motivi
e dunque avevano piccole case-officina proprie in varie vie della città.
Questa situazione implicava dunque una specie di segregazione per i lavoranti
artigiani delle usad’by dal resto della vita della città
che però probabilmente subiva un’interruzione quando giungeva la
bella stagione e si poteva andare al seguito dei padroni nelle sconfinate
proprietà terriere dell’entroterra novgorodese per aiutare a raccogliere
prodotti della foresta o attendere ad altri lavori agricoli (limitatissimi
a causa del clima), l’estrazione del sale dall’acqua salata o per seccare
il pesce o per abbattere alberi e controllare le trappole per gli animali
da pelliccia etc.
L’importanza per lo storico nella lettura delle berjòsty
però è pure un’altra e consiste nel fatto che, quando si
raccontano degli eventi del passato, ci si imbatte nell’impossibilità
e nell’incertezza di interpretare quegli eventi nel modo giusto se non
si conoscono bene le intenzioni, l’indole, l’atteggiamento e le aspettative
dei protagonisti. La storia medievale che noi raccontiamo oggi purtroppo
è la storia di coloro che stavano in cima alla scala sociale e di
coloro che li sostentavano con lavoro, forniture e aiuti materiali al contrario
sappiamo pochissimo. Come costoro vivessero dobbiamo dedurlo invece, sempre
con un ampio grado d’incertezza e in modo obliquo e indiretto, estrapolando
dai documenti scritti per le élites al potere di cui disponiamo
e perciò dare un giudizio netto sul patto sociale esistente fra
le classi presenti nella repubblica che possa essere tratto dai contenuti
delle berjòsty non è consigliabile e dobbiamo accontentarci
di congetture, domandandoci tutt’al più perché mai esistesse
questa forte spinta a scrivere sulle cose più disparate invece di
parlarne a casa o al mercato.
Si possono considerare queste lettere come una parte della letteratura
russa? Forse sì, almeno dal punto di vista filologico per la ricostruzione
della lingua grande russa di cui il novgorodese è un dialetto settentrionale,
ma a parte la tradizione delle byline (racconti popolari di imprese
passate) locali, non abbiamo prove di altra grande produzione letteraria,
salvo quella ecclesiastica delle Cronache novgorodesi e delle traduzioni
di scritti “edificanti” (su imitazione greco-bizantina) prodotte nei monasteri
locali con grande dovizia, al contrario di altri centri russi contemporanei.
Anzi, dobbiamo aggiungere per onor di cronaca che, se fino a qualche
anno fa si è considerato il Vangelo di Ostromir scritto in paleo-bulgaro
o slavone ecclesiastico il più antico documento scritto in questa
lingua antenata del russo e del bulgaro moderni, con la scoperta del 13
luglio del 2000 di un paio di pagine dei Salmi scritti su un cosiddetto
trittico tavolette incerate di legno (chiamate cery in russo, da
scrivere con lo stiletto). Queste all’analisi dendrocronologica risultano
risalire fra la fine del X e i primi anni del XI sec. d.C. 50 anni prima
dunque del Vangelo sopradetto!
E vediamo di dare un’antologia di qualcuna fra le più curiose
(già tradotte e adattate da noi).
N° 46 – Non-so l’ha scritto, Non-penso l’ha fatto
vedere, e chi l’ha letto…
In questa b. quasi certamente
si accusa qualcuno di aver scritto cose incomprensibili. |
N° 199 – Sono un animale selvaggio. / Saluti da Onfim
a Danilo.
In questa b. scrive un bambino
a nome Onfim (Eutimio?) che va ancora a scuola poiché vi ha ricopiato
l’alfabeto e poi ha disegnato con tratti infantili se stesso a cavallo. |
N° 3 – Tante buone parole (saluti) da Josif (Giuseppe)
al fratello Fomà (Tommaso). Non dimenticare di tener d’occhio Lev
(Leone) per la segala. Glielo ha già detto Rodivan Podinoghin. Per
il resto tutto bene. Tu però ricordati (della segala).
E’ un avviso abbastanza
preoccupato affinché la segale sia mietuta e non vada a male, dato
il clima rigido di Novgorod! |
N° 64 – Saluti da Horitanija a Sofija. Che ne è
stato delle mie tre misure di panno a Mihail? Dovrebbe averle consegnate!
Anzi! Signora, la incarico di dirgli che deve anche consegnare il pesce
sia quello fresco che quello salato. Ti bacio.
Ecco come si vede anche
le donne erano occupate con servitori troppo lenti o oziosi. |
N° 439 – Da … a Spirko. Se Matei (Matteo) non è
venuto ritirare la grossa misura di cera, allora mandamela con Prus. Ho
già venduto il piombo e lo stagno e i lavori di metallo. Non dovrò
più recarmi a Suzdal (nel sud). Tre grosse misure di cera sono state
comprate. Dovresti venire tu qui. Portami perciò 4 misure piccole
di stagno e due di rame in foglia e paga tutto pronta cassa.
Questi sono veri e propri
ordini di compravendita! |
N° 2 – Saluti da Pjotr (Pietro ) a Marija (Maria).
Il prato l’ho rasato, ma gli uomini da Ozery mi ha portato via il fieno.
Ti prego di farmi una copia scritta del contratto e di mandarmela qui.
Se poi la spedisci altrove, fammi sapere dove.
Ci sono problemi!!! |
N° 154 (danneggiata) – Da Nosko a Mestjata. Il tipo
venuta dall’altra sponda del lago (Ilmen?) e Hodutinic’ di Suzdal l’anno
scorso hanno rifatto il tetto. Prenditi 2 grivne per nostro conto.
Estinguiamo i debiti e le pendenze! |
N° 163 – Saluti da Demjan (Damiano) a D… Vendi pure
il cavallo per il prezzo migliore che riesci a spuntare. Ricordati però
di tener in conto che quello che perdi è sotto tua responsabilità.
Intanto dì a Kuseko di non perdere le kune (il denaro). E’ inaffidabile.
Si vede che la vendita
è stata fatta fuori tempo e bisogna correre ai ripari! |
N° 246 – Da Scirovit a Stojan. Da quando ti sei preso
da me la croce e non mi hai mandato il corrispettivo in denaro sono già
passati 9 anni. Se non mi mandi le 4 grivne e mezza che mi devo, ti farò
proclamare il migliore dei novgorodesi. Perciò mandami il denaro
senza rancore.
Si coglie l’ironia? |
N° 235 – Da Sudiscia a Nascir. Sciadok mi ha mandato
due agenti esecutori e questi mi hanno saccheggiato la casa per il debito
del fratello…
Ecco che anche qui si
procede ad esecuzioni forzate! |
N° 415 – Saluti da Fovronija a Felice e con tante
lacrime. Il mio figliastro me le ha date di santa ragione e poi mi ha cacciato
dalla casa di campagna. Mi raccomandi di andare in città? O vieni
tu stesso qui? Sono davvero in fin di vita!
Succede anche questo! |
N° 749 – Saluti da Ivan (Giovanni) a Lentija. Quello
che io detto davanti a voi è vero e ti puoi fidare. Sei mio fratello,
che ti serve ancora? Quel che succederà, non deve darti timori,
ci sono qua io per te. Per ilo resto della mia vita mi preoccuperò
sempre del tuo stare bene.
Ecco un esempio di vero
affetto! |
N° 377 – Da Mikita (Niceta) a Uljaniza (Giulietta).
Vieni da me. Io ti voglio e tu anche. E anche Ignazio lo sa.
E’ un appuntamento amoroso? |
N° 10 – C’è un castello fra cielo e terra
e qui arrivò un messaggero senza strada e portò con sé
per voi una notizia non scritta.
E’ un indovinello. Chi
lo risolve? Comunque: il castello è l’Arca di Noè, il messaggero
è la Colomba e la notizia non scritta è il ramo d’olivo! |
N° 43 – Da Boris a Nastasija. Quando riceverai questa
lettera, mandami subito qualcuno con il cavallo perché io qui ho
molto da fare. E mandami la biancheria intima perché io ho dimenticato
di portarla con me.
Un marito un po’ svagato! |
N° 538 – Richiesta della moglie del pope al pope
stesso. Quello che ti è successo e arrivato fino a Onani. E adesso
Kirjak lo va dicendo a tutti in giro. Preoccupati dunque!
Quale sacrilegio avrà
mai compiuto questo prete? |
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