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Computers La foresta?
Rifugio di diavoli, streghe e stregoni…

scritto di: Aldo C. Marturano
Come abbiamo detto la foresta è una miniera di materie prime per fabbricare moltissime cose, ma nel Medioevo il suo sfruttamento (fortunatamente!) non era così intenso e distruttivo come è diventato oggi in generale, ad esempio negativo, nella foresta del Mato Grosso. Almeno molta parte della foresta europea si conservò, ma moltissima altra scomparve per… ricavarne terreno da coltivare! L’idea che si andava affermando in quegli anni di fervore cristiano, appoggiata dalle dichiarazioni dei molti santi (perlopiù irlandesi) dell’alto Medioevo, era che nella foresta si nascondessero il paganesimo e i suoi sacerdoti diabolici per cui, solo distruggendola, si poteva eliminare il rifugio del demonio e dei suoi servi. Inoltre si offriva la possibilità a sempre più numerose persone di trovare una vita cristiana lavorando la terra e guadagnandosi il paradiso col sudore della fronte. Detto con le parole di un grande studioso come Roland Bechmann: “Distruggere la foresta fu per la Chiesa una soluzione per eliminare questi rifugi agli spiriti maligni, questo nido di superstizioni diaboliche e di pratiche di stregoneria. Allo stesso tempo si allargava lo spazio coltivabile e si aumentava la produzione dei prodotti di sussistenza e si affrontavano i problemi di una popolazione in aumento.” Malgrado la sistematica distruzione, che rimanesse pure qualche lembo di bosco per la caccia dei cavalieri nobili e per l’indispensabile raccolta di qualche prodotto fondamentale per la vita economica! Allo stesso tempo, che tutto fosse sotto controllo, parcellizzato e… santificato! La deforestazione dunque s’instaurò come atto santo e addirittura si intensificò dopo ogni grande carestia perché, si disse, queste calamità erano dovute proprio alla mancanza di terreno da coltivare! Nell’Europa Occidentale essendo il Papa con la sua Chiesa un’autorità molto forte che conduceva politiche abbastanza “ecumeniche” (specialmente quando erano in gioco il rafforzamento e l’espansione della Chiesa stessa) persino in stati indipendenti che non appartenevano alla giurisdizione ecclesiastica diretta, l’indicazione della Chiesa riguardo la foresta fu in generale intesa come un obbligo morale cristiano e perciò seguita e approvata dai poteri secolari. Per fortuna (dobbiamo dirlo!) nell’Europa settentrionale e nordorientale dove il Cristianesimo non si era ancora ben affermato, o addirittura nemmeno arrivato, tale piano di intenso disboscamento non fu attuato e il Bassopiano Sarmatico dall’Elba agli Urali con le sue estensioni di fitta foresta rimase momentaneamente intatto! Non solo! Quando la domanda per i prodotti silvicoli andò aumentando nei secoli X-XIII sec. in Occidente, la foresta nordica diventò l’unica risorsa delle indispensabili materie prime e la dinastia di Rjurik fondò la propria esistenza economica e politica durata fino alla morte di Giovanni il Terribile esclusivamente sul traffico di ciò che si ricavava dalla foresta! Si capisce dunqueche la protezione di questo tipo di ambiente diventò interesse primario della Rus’ di Kiev e già iniziò simbolicamente con Olga di Kiev a metà del X sec. quando costei riservò a suo uso personale alcune zone forestate del nord. Naturalmente lo sfruttamento restò a disposizione di tutti coloro che vivevano intorno ad essa con quasi nessuna limitazione giuridica purchè lo smierd e i suoi continuassero a raccogliere non solo ciò che serviva loro per la propria economia di villaggio, ma anche ciò che serviva per produrre prodotti e semifiniti da passare a Kiev come tributo. A quei tempi inoltre, non esistendo alcun contratto sociale con l’élite al potere del tipo dell’obbligo di assistenza sanitaria o economica verso i sudditi, alla foresta era affidato un ulteriore compito: quello letterale di rappresentare per lo smierd, persino e soprattutto, il luogo dove trovare la soluzione a tutti i problemi quotidiani! Vediamo di capir meglio quest’ultima affermazione come essa si è conservata attraverso la mitologia slavo-orientale ricostruita dai ricercatori russi più specializzati. Fra gli alberi abitano gli esseri dai poteri soprannaturali che regolano il mondo per conto del Creatore e dunque, se c’è un evento è possibile contrastarlo o evitarlo con la loro mediazione oppure, alla stessa maniera, è persino possibile provocarli. Abbiamo già detto che il tempio degli dèi slavi è qui fra gli alberi e dunque la mediazione del volhv per alcuni problemi della vita talvolta è indispensabile, ma in altri casi bisogna arrangiarsi da soli. Ma di quali problemi stiamo parlando? Un malanno fisico? Un disagio psichico? Un problema economico? E davvero è possibile trovare soluzioni efficaci vagando fra gli alberi? Sicuramente lo smierd si trovava ad affrontare problemi personali di varia natura, ma come membro di una grande famiglia trovava sempre assistenza e aiuto concreti in tutti i campi da parte di tutti gli altri membri e non sempre era necessario ricorrere alla preghiera e ai sacrifici per una mediazione con le forze divine. Inoltre tutti sanno che l’infinita provvidenza del Creatore dell’Universo in caso di crisi aveva formato animali e piante per servire all’uopo! Ma come fare a riconoscere la pianta o l’animale giusto? E qui s’innestava la secolare esperienza che gli antenati avevano accumulato e che avevano tramandato di uomo in uomo e di donna in donna nella grande famiglia slava. Bastava chiedere a quelle persone che sapevano ed esse vi avrebbero aiutato a trovare la pianta o l’animale destinati a voi. C’erano però delle regole da rispettare. Questo sì! Ad esempio, l’uomo nella selva è un ospite in casa d’altri e quindi deve sempre chiedere il permesso al Lescii, lo spirito che la governa. La foresta è viva e noi non abbiamo il diritto di uccidere i suoi abitanti per nostro piacere, ma solo se debitamente “autorizzati”! Occorre quindi chiedere il loro aiuto nei casi giusti ed essi, se implorati nel modo corretto, sia piante sia animali si presteranno volentieri a sacrificarsi al posto nostro perché sanno che anche noi faremmo lo stesso per loro. Ne segue che è inutile affaticarsi a cercare piante e animali con insistenza perché ce ne potrebbe cogliere male in quanto molte sono le forze maligne stanno a guardarci e quando siamo nel dubbio sono pronte a ridurci in loro ostaggi (zalòzhniki). E’ bene quindi aver pazienza e quanto ci serve comparirà davanti a noi senza neppur fare un gesto giusto perché gli spiriti sanno leggere nel nostro pensiero e sanno i nostri desideri. Evitare l’ingordigia è anche importante e lasciare sempre agli abitanti della foresta una parte di quello che si è consumato, scusandosi con loro se è troppo poco. Ecco! Questo è il tipo di comportamento che lo smierd deve mantenere di fronte alla “sua” foresta. Soltanto così si riesce a vivere con meno preoccupazioni possibili o, detto in maniera più cinica, a consolarsi e rassegnarsi nel modo meno doloroso. Dio sarà pure il creatore di tutto questo, ma deve mantenere l’uomo in vita, se vuole essere servito da lui a dovere! Nella concezione mitologica, all’uomo erano assegnati dalla nascita un certo numero di anni da vivere (rok) trascorsi i quali si prendeva la via per il mondo dei morti. Osservando la natura, in cui ogni anno il rito alterno delle morti e delle nascite si ripeteva fedelmente senza grandi cambiamenti, non c’era ragione per non credere che non dovesse accadere lo stesso alle persone. Durante il periodo “attivo” della vita però capitavano imprevisti che potevano abbreviare o allungare, danneggiare o deviare il rok personale. Se il corpo umano era costruito più o meno come quello degli altri animali, doveva funzionare regolarmente per il tempo assegnato e, solo quando una forza maligna penetrava all’interno, si scombussolava il meccanismo ed ecco dolori, malattie, disagi psichici e simili. Non la morte! Questa comunque arrivava per consumazione e vecchiaia, purchè non prima del previsto e nei modi ammessi! Morire prima o vivere troppo, questo era l’imprevisto! E l’imprevisto solitamente era provocato dalla capricciosa intromissione di forze invisibili nel corpo vivo e nelle cui azioni il Creatore non interveniva, se non dovutamente implorato e pregato dall’uomo colpito. La ricerca del benessere fisico e psichico (se è possibile fare tale distinzione!) è un bisogno naturale e diffuso! Anche qui vale l’osservazione degli animali nostri simili. Certo! Anche gli animali subiscono talvolta, ma rarissimamente, disagi fisici, ma poi in breve tempo ritornano come prima dopo essersi aggirati nella foresta ed aver ingurgitato qualche sostanza che ridona loro la vita! Qualche esempio? Tutti coloro che hanno in casa un gatto sanno benissimo che ogni tanto questo piccolo dolce carnivoro ha bisogno di cercare la cosiddetta erba gattaia. Questa erba ha effetti vomici che al gatto serve per vomitare i peli che ha accumulato nello stomaco a causa delle varie pulizie con le leccate periodiche che fa della propria pelliccia. E’ evidente che ha un disagio e deve liberarsene. Ancora! Qualsiasi pescatore sa che se mette sul suo amo una certa esca pescherà un certo pesce e se invece ne metterà un’altra pescherà altri pesci. E così via. Insomma, per farla breve, se gli animali sanno tenersi in forma con quello che la natura offre loro, se hanno i loro gusti quanto al cibo che trovano esplorando la natura, così gli uomini, non molto diversi, possono scoprire nell’ambiente ciò che serve in tutti i casi particolari di bisogno o di necessità. Dunque nella foresta c’è il rimedio a tutto! Ciò che metteva in ansia lo smierd però non era il malanno o il guaio in sè, ma il non poterlo prevedere o il non aver colto i segni che ne indicavano l’approssimarsi! Ogni qual volta era possibile prevedere e premunirsi, l’uomo viveva meglio… come è ancora oggi! C’era dunque tutto un apparato di rituali scaturiti dalla conoscenza degli antenati, che abbiamo già in parte esaminato, da eseguire a scopo scaramantico. Interi libri di scongiuri per qualsiasi caso della vita sono stati raccolti, numerosi amuleti, specialmente di pietre semipreziose, sono stati classificati e vari luoghi “sacri” (i crocicchi specialmente) sono stati individuati e descritti e tutto questo materiale è così minuzioso e preciso che è impossibile immaginare che lo smierd fosse senza difesa contro il male, benché non avesse né le medicine né gli specialisti di cui noi oggi (a pagamento!) disponiamo! Quanto poi questa difesa fosse efficace, questo rimarrà per noi un mistero… Oggi comunque non è cambiato molto negli atteggiamenti umani davanti alle forze della natura e persino i mezzi materiali sono ancora gli stessi. Infatti dopo un secolo di intense ricerche chimiche e fisiche ci siamo accorti che le molecole che noi fabbrichiamo nelle nostre industrie farmaceutiche per curare o lenire tutta un’infinità di malanni e disagi, siano essi provocati dal modo di vivere siano essi inventati per ragioni di economia o di pubblicità, cominciano a costarci troppo in inquinamento e in risorse sprecate. Ci siamo accorti che varrebbe forse la pena di cercare quelle stesse molecole nelle piante ed estrarle da esse o dal mare o dagli animali senza sprecare energia e vite umane in inutili e complicati procedimenti artificiali. Perché non utilizzare le delicate fabbriche, sperimentate da milioni di anni di equilibrio biologico che sono sotto i nostri occhi sotto forma di erbe e di animali piccoli e grandi? E non è già questo che si comincia a fare con la bioagricoltura? E invece, abbagliati da superficie lucide a specchio, da scintillii e showroom, continuiamo ad eliminare erbe e fiori, insetti e animali come se fossero un qualcosa in più nel mondo abitato! Non stiamo auspicando un ritorno al tempo antico o un regresso tecnologico! No! Crediamo che sia giunto il momento di riflessione per organizzare meglio il nostro pianeta senza trasformarlo ulteriormente in una parte dei nostri rifiuti irriciclabili, altrimenti fra non molto non troveremo più posto neanche per noi stessi! Nel fondo del Paganesimo slavo e nelle tradizioni conservatesi in questa parte d’Europa si legge proprio questo desiderio umile di mantenere un equilibrio con il resto della natura al di là di chi l’avesse creata, un dio cristiano o un dio pagano… Entriamo allora fra gli alberi e cerchiamo quanto ci serve per il nostro benessere. Abbiamo già dato una rapida occhiata alle tante piante che oggi, magari, non sapremmo neppur riconoscere e che tornavano invece utili allo smierd, poichè dobbiamo continuare il nostro viaggio per vedere come, oltre al cibo, queste piante fornivano altre sostanze che in modi diversi potevano dare felicità e liberare da disagi. Tuttavia, come abbiamo sempre ribadito, non è possibile strappare un’erba, un fiore, una bacca senza il consenso dello spirito protettore rispettivo e la raccolta non è mai una semplice operazione di routine, ma un rito sacro che non può essere eseguita semplicemente da chiunque in qualsiasi momento libero… come facciamo noi oggi! Messici allora in quest’ottica, cominciamo dal più straordinario e dal più sacro degli esseri viventi: la Quercia. Se mai vi capiterà di trovarvi davanti ad una quercia viva con un’età di qualche secolo, ne rimarrete di certo folgorati poiché lo spettacolo è indescrivibile quanto a grandiosità. Si è di fronte ad un albero di altezza impensabile (fino a 50 m!) che domina su tutta una vasta zona da solo poiché intorno ad esso raramente crescono altre piante. Persino solo alcune specie di funghi crescono alla base del tronco. Ciò è dovuto alla secrezione di sostanze inaccettabili al metabolismo di moltissime specie vegetali del sottobosco o di altri alberi che la quercia immette nel terreno dalle profondissime radici. La chioma invece incombe enorme e con le sue grandi foglie lobate e copre tutto il cielo sopra di noi. Se non sapessimo che quest’albero, quantunque grandioso ed alto, ha comunque una cima, penseremmo che esso davvero raggiunga le nuvole. Mettetevi ora nei panni di uno smierd che si muove sempre in pianura e non ha mai occasione di dare un’occhiata al paesaggio da un’altezza da cui poter ammirare il suo inferno verde! Potrebbe immaginare tranquillamente che una quercia raggiunge la dimora degli dèi! Tocca il cielo! Se avrete l’occasione di recarvi sul Dnepr, nei dintorni di Zaporozhe (l’ultima grande cataratta prima di arrivare al Mar Nero)a sud di Kiev c’è un isola chiamata Hortiza, famosa anche perché era una base dei famosi Cosacchi del Don. Visitatela perchè qui esiste una quercia davvero enorme. La chioma ha un diametro di poco meno di 50 m e il tronco di base ha una circonferenza di oltre 6 m. A quanto pare ha oltre 600 anni e si dice che alla sua ombra si riposasse l’eroe cosacco nazionale ucraino Bogdan Chmelnizki. E non è la sola in Europa con tale veneranda età! Roland Bechmann ne nomina qualcuna per le foreste di Francia ed ultimamente è stato pubblicato un atlante delle querce annose tedesche! Insomma stiamo parlando della regina degli alberi della selva. Giustamente la denominazione latina contiene la parola che significa forza (ossia Quercus robur) proprio perché, finchè l’uomo non ebbe gli arnesi adatti, una quercia era difficilissima, se non impossibile, da abbattere. Per di più il fatto che la vita di un uomo non riusciva a vederla morire insinuò anche l’idea che l’albero fosse eterno e che il fulmine la evitasse. E che dire dei frutti, delle ghiande? Suscitavano l’idea del maschio, del dominatore, della potenza dell’uomo rispetto alla donna debole e coatta. In latino il nome per glande umano è uguale a ghianda e così in russo e in tedesco per la grande somiglianza fra frutto e parte superiore del fallo! Insomma, quest’albero, una volta diffusissimo nelle foreste europee, con la sua dissacrazione imposta dal Cristianesimo e con l’uso delle asce di ferro a poco a poco ridusse la sua diffusione e moltissimi individui furono abbattuti e ridotti a materiale da costruzione. La toponimica europea malgrado ciò ne conservò il ricordo ed è piena di nomi che ancor oggi ricordano la sua presenza. Forse più di altri è così nell’area slava dove la città di Dubrovnik (chiamata da Veneziani, Ragusa) ne è l’esempio più clamoroso! Nella Pianura Russa poi i nomi che ricordano la quercia sono parecchie centinaia e molti di essi sicuramente si rifanno alla presenza dei piccoli querceti sacri dove il volhv celebrava i riti pagani fino a qualche secolo fa in onore di Perun e della sua paredra. Abbiamo già nominato questo dio slavo-baltico. Aggiungiamo che lo ritroviamo nel polacco Piorun, nello slovacco Perom e addirittura è Pargianja in sanscrito e Fjorgyn in norreno e, se ci è permesso azzardare un’ipotesi, potrebbe essere persino identificato con Quirinus (dal latino *quir-c- per quercia), il dio particolare di Roma. I Celti davano alla foresta della Gallia lungo il Reno il nome di Hercynia Silva (come ci informa Cesare) in cui si nasconde la stessa radice *hercu- di quercia per la grande diffusione di questo albero sacro ai Druidi! Una cosa però non è certa: Che Perun fosse in cima all’olimpo slavo! Dai documenti ci risulta al contrario che questo dio fu elevato a tale preminenza da Vladimiro e che prima ogni clan o tribù aveva i suoi dèi particolari fra i quali Perun era assente! Ad onor del vero fra gli Slavi Occidentali il dio supremo è un altro a nome Svantevit/Svjatovit. Tuttavia Perun viene già nominato al tempo di Igor e di Oleg, ma dicono le Cronache Russe che nell’anno 980: “… (Vladimiro) si mise a governare da solo a Kiev e pose i kumiry (i simulacri divini) sulla collina vicina allo spiazzo davanti al suo terem: Perun di legno (di quercia, naturalmente!) con una testa (ricoperta) d’argento e con i baffi d’oro…” con evidente atto di devozione in quanto Perun lo aveva protetto fino a quel momento e che quindi, da vincitore, ora Vladimiro lo imponeva quale dio maggiore di ogni altro! Dunque la quercia e il suo legno sono sacri e non possono essere destinati ad altri usi se non quelli in cui si onora il dio che “abita” la pianta. Attenzione! Ciò non significa che proprio per ragioni sacre non possano essere abbattute delle querce per per costruire costruzioni sacre, come le fortificazioni. E non solo! Il porco è ghiotto di ghiande e quindi il suo posto preferito nella tarda estate, prima che la sua padrona lo richiami dalla foresta, è proprio sotto le querce dove la scrofa addirittura si accoppiava con il cinghiale. Pure in questo si può riconoscere una sacralità speciale e un legame di questo animale con Perun… E’ anche chiaro perché, ancora oggi in Bielorussia, all’ospite gradito e onorato venga offerto come piatto speciale il lardo di porco tagliato a dadini e fritto nel burro! E che dire dell’orso? Anche lui è grande amante delle ghiande… E non soltanto, poiché le ghiande nel lontano passato venivano tostate per il consumo umano. Dalla farina che se ne otteneva si faceva un infuso che oggi possiamo raffrontare nel gusto al caffè sebbene molto meno amaro di questo. Probabilmente anche questo consumo era ritualizzato e sacro… Le foglie di quercia poi, abbastanza grandi (fino a 20-25 cm), quando l’albero in autunno se ne spoglia nel mese di Listopad, vengono raccolte con cura e servono ad avvolgere il karavai e dargli quella bella crosta bruna lucida di cui abbiamo già parlato, a causa dell’imbrunimento dei tannini esposti alla temperatura della pec’ka. La corteccia dell’albero poi coll’avanzare dell’età si fessura e si spacca e questa corteccia è molto importante per conciare le pelli. Anche le sue schegge quindi erano raccolte e pestate e, immerse nell’acqua impediva la marcescenza delle pelli con l’azione dei tannini. La quercia però non è il solo monumento vivente che si può trovare nella selva perché infatti ce n’è molti altri e altrettanto (sebbene un po’ meno) notevoli, ma che facevano molto comodo allo smierd. Di solito ogni regione ha i suoi alberi caratteristici ai quali la gente del luogo è affezionata e la Betulla è quello al quale i popoli della Pianura Russa sono legati di più, ma che i loro antenati considerarono indispensabile addirittura per la vita. Della nordica Betulla (berjòza in russo, Betula sp.) generazioni di slavi hanno goduto (e godono), delle sue proprietà e dei suoi prodotti utilissimi. Era così caratteristica che ha dato il nome a vari fiumi e laghetti, a cittadine e a villaggi del nord. In particolare è probabile che il Dnepr abbia preso il nome “classico” del suo corso superiore, registrato nelle Storie di Erodoto come Boristhenes, proprio dalle betulle e cioè dal suo affluente Berezinà (fiume di betulle o qualcosa del genere) dove secoli dopo fu battuto Napoleone in Russia! La caratteristica più famosa è il colore della sua corteccia, bianco argentato! Non tutte le cortecce di Betulla sono però dello stesso colore e ce n’è anche specie con la corteccia nera, ma che non appartengono alla foresta europea. Nella Pianura Russa se ne conoscono circa una cinquantina di specie e sottospecie e la più comune è quella che ha ricvevuto il nome di Betula alba sp. L’albero è molto longevo e vi sono individui con oltre cento anni di età! Lo si idealizzò nelle poesie e nei canti russi quando si descrisse l’eleganza delle sue forme, il lungo e sottile tronco, la bianca e lucente corteccia che scintilla alla luce della luna. Soprattutto però lo smierd aveva un rapporto speciale con la betulla. Questa gli comunicava ogni giorno, attraverso l’aspetto della sua chioma e delle sue foglie, come stava andando il tempo! E’ come un calendario delle stagioni poiché la Betulla ha degli abiti che muta non appena sente che sono cambiate temperatura, pressione dell’aria e umidità. Comincia dominare il colore dorato? Ormai l’inverno è vicino! Appare il verde? E’ arrivata la primavera! Per di più se il verde appare prima del solito lo smierd si rallegra perché vuol dire che l’estate sarà più calda… Riportiamo un vecchissimo indovinello russo sulla betulla che dice: C’è un albero che conosce quattro arti. La prima illuminare il mondo, la seconda far tacere il grido (v. più oltre su questa strana malattia medievale), la terza guarire i malati e la quarta mantenere la pulizia del corpo! E davvero la Betulla esaudisce tutte queste cose: Col suo succo (linfa, che si può tirar via in gran quantità dalle betulle destinate ad essere abbattute nel famoso rito del podsek e cioè del taglia-e-bruci), con gli infusi dalle sue foglie, con i suoi rami (veniki) usati per battere il corpo nudo nella banja per ravvivare la cirocolazione del sangue e mantenere la pelle giovane. Con la primavera sale lungo il tronco il più prezioso dei suoi prodotti, il succo, che sgorga lentamente al taglio leggero sulla corteccia e si può raccoglierlo per berlo fresco o allungato con acqua e persino leggermente fermentato. Ha un sapore fra il dolce e il salato, ma è molto diuretico e perciò aiuta alla pulizia interna del sangue con l’urinare frequente. Sulle biforcazioni dei rametti giovani poi si formano delle verruche (borodòvki) gonfie di resina (djògot) che si usa come unguento medicinale e si usava (ma ancor oggi!) per guarire gli erpeti facciali! Usato sulla pelle delle donne, la ringiovanisce e tutti sanno che le ragazze, quando si devono preparare per la festa, in segreto vanno nel bosco dove ci sono betulle e si spalmano con questo balsamo (oppure col succo, detto pasok) per acquistare un bel colore rubizzo sulle guance. A maggio quando appaiono i suoi fiori è il tempo di raccogliere le foglie per gli infusi. I rami di betulla però si usano anche da bruciare nella pec’ka e i rametti più fini per far luce (la cosiddetta lucìna usata dalle tessitrici per illuminare il lavoro serale d’inverno!) per l’effetto del djogot sopra detto che brucia bene e non fa fumo. E che dire della corteccia? Ottima come supporto per scrivere, la scorza di betulla (berjòsta) è rimasta importantissima nella storia russa per essere stata usata come carta da lettere fra il XI e il XIII sec. specialmente nella zona della coltissima Novgorod la Grande. Un altro albero della foresta che ci ha impressionato è il Ginepro (russo buzinà, Juniperus communis sp.). Se lasciato crescere lentamente come avviene nei climi più freddi l’individuo può raggiungere l’altezza di 6 m dal suolo, se invece lo si lascia vivere nelle vicinanze delle case (che la pianta preferisce) allora diventa un arbusto magico dalle proprietà misteriose e utilissime: Probabilmente è la pianta dell’Ovinnik poiché dove c’è il Ginepro topi e sorci non si avvicinano! Naturalmente è la donna dello smierd che conosce meglio tutte queste cose e a causa di ciò quando il suo uomo la vede cuocere acqua e foglie, ha paura! Come mai? Qui c’è la storia del rapporto fra donna e fuoco, fra un essere impuro ed inferiore come lei e il purificatore per eccellenza. Come mai la donna è un essere impuro, pur essendo un essere similissimo all’uomo e destinata persino a riprodurlo nel proprio corpo? Non possiamo dirlo con chiarezza poiché è un vecchio dibattito ancora senza una risposta fra gli etnografi e gli antropologi, ma possiamo solo azzardare un’ipotesi “funzionale”. Per un certo periodo della sua vita la donna perde sangue ogni 28 giorni e, invece di morire per questo, rinnova la sua potenza creatrice che mette a disposizione dell’uomo per i prossimi 28 giorni. Questo ciclo coincide con quello della luna e dunque luna e donna devono essere in qualche modo legate. La luna, al contrario del sole, non suscita paure poichè il suo ciclo è sempre uguale e senza interruzioni o variazioni, né da essa dipende la crescita delle piante e quindi la produzione del cibo, ergo è un dio (o dea) inferiore! L’universo però può esistere senza la luna? Certamente no! Altrimenti non esisterebbe la donna. Qual è la relazione della donna allora con il mondo della notte, del buio e del misterioso? Forse la donna è la personificazione della luna? Dalle ricerche di J. Frazer, di M. Eliade, di H. v. Glasenapp ed altri alla donna è sempre impedito l’accesso ai recinti sacri dai diversi popoli del nord Europa e quindi non dovrebbe essere diverso anche nel caso degli Slavi Orientali. Nel kapisce il fuoco acceso dalla brace di un incendio generato dal fulmine arde sempre in onore del suo dio, vegliato dal volhv. Tuttavia il fuoco generato dal cielo può essere anche riprodotto in modo meno spettacolare e terribile (come è stato insegnato agli uomini da Perun stesso nella notte dei tempi, probabilmente), sfregando due legni… di quercia! L’abbiamo visto fare nella grande festa di Kupala. Da che cosa deriva allora quella certa speciale relazione fra donna e fuoco e come si concilia con la natura femminile “lunare”? Semplicemente perchè l’izbà si può paragonare al kapisce, ma nella casa dello smierd il fuoco arde nella pec’ka, ed è vegliato dalla donna. Nella mitologia slavo-orientale il dio del fuoco è Svarog, che abbiamo già incontrato, e suo figlio è proprio il fuoco stesso ossia Svarozhic’ (figlio di Svarog). Il fuoco però non solo distrugge, ma anche purifica e rende qualsiasi cosa un vapore talmente fino che sale fino al cielo. Proprio a questa sua proprietà purificatrice e divinizzante è legata la cerimonia, che si conservò per molto tempo anche dopo l’introduzione del Cristianesimo, di bruciare i morti con il corredo dei loro arnesi e con qualche frutto a loro più gradito, sacrificando persino una delle mogli sulla stessa pira funebre. Attraverso quella cerimonia del fuoco (krada o klada) il morto si ricongiungeva al suo Creatore e viveva la sua vita più lunga fino al Giorno del Giudizio (Strasc’nyi Sud). Spegnere dunque un fuoco generato da un’azione divina (o per volere divino) è dunque sacrilego e non si deve mai farlo perché significherebbe offendere Svarozhic’! Di qui ne segue lo strano atteggiamento dello smierd (a cui abbiamo già accennato in altro luogo) di fronte ad un incendio generato da cause ignote (e dunque divine) e il biasimo per colui che sputa sulle fiamme! E come può mai accadere che la donna, essere impuro e inferiore, riesca a governare il fuoco tutto il tempo affaccendandosi a cucinare e quindi ad usarlo a suo piacimento? Evidentemente con le sue arti, come la donna fa innamorare l’uomo così riesce ad ammaliare il fuoco. Lo vezzeggia e lo corteggia, lo chiama Nonno Focherello! La notte lo mette a dormire coprendolo con la cenere con molta attenzione affinché nessuno lo disturbi all’interno della pec’ka e il giorno lo ravviva con legna nuova degli alberi che a “lui” piacciono. E in più, visto che la donna è sempre vicino a lui evidentemente subisce la sua azione purificatrice e per questo acquisisce nuove abilità da Svarozhic’ riuscendo a trasformare in cibo commestibile e bevande bevibili con piacere tutto ciò che altrimenti sarebbe non ingeribile! La mitologia d’altra parte suggerisce che il fuoco proviene dalla terra e che tende ad andare in cielo per poi ritornare nel grembo della Umida Terra Madre sotto forma di serpenti di fuoco come chiunque può osservare al 10 di agosto quando i fuochi celesti (stelle cadenti) precipitano sulla terra e scompaiono nelle sue visceri. E’ evidente che talvolta di questi serpenti sputafuoco se ne possono trovare in buche e caverne perché addirittura sono stati messi a guardia di tesori immensi e solo una donna può congiungersi col drago guardiano per portarli via! Ecco dunque un’altra utilità della donna per il mir… confermata dalle byline! La figura femminile affaccendata davanti al fuoco di una pec’ka genera perciò paure e timori a causa di tutte queste relazioni con mondi oscuri e misteriosi. Il cibo che lei prepara è dato da mangiare a tutti e se la donna vi ha messo delle sostanze velenose o erbe magiche ecco che il cibo diventa magico e pericoloso allo stesso tempo. A questo scopo prima di mangiare è bene premunirsi contro qualsiasi forza malefica che si sia nascosta nel cibo e solo dopo una “benedizione” si può consumarlo! Non solo! Una volta che il pranzo sia terminato e che tutto sia filato liscio, chi ha finito deve ringraziare le forze benevole che l’hanno protetto e lo hanno preservato da qualsiasi danno intenzionale o inconscio che la donna può aver cercato di produrre! Certo, nei casi in cui il corpo sia stato assalito e penetrato da qualche forza malefica, è necessario ricorrere a qualcuno per liberare il malato e rimetterlo in vita integra e sana, ma a chi? In primo luogo occorre definire quale forza malefica ha agito e, una volta individuato il nemico invisibile, cercare il rimedio. Il primo tentativo per un malato grave è proprio quello col fuoco. Si preparano attraverso gli uffici del volhv due o tre fuochi all’aperto e il malato lo si fa passare attraverso le fiamme e se ne vede l’effetto. Se la situazione migliora, bene! Altrimenti bisognerà rivolgersi… alla donna! Sebbene ammalarsi non fosse una cosa frequente a quei tempi per il semplice fatto che il bimbo che sopravviveva dalla nascita ad una adolescenza dura di privazioni e di fatiche era sicuramente molto più resistente ai malanni di un adulto di oggi sterilizzato e facilmente esposto ad allergie e ad epidemie, la malattia più preoccupante per lo smierd era… la fame! Dolori, ulcere, ferite? Passavano col tempo oppure si conviveva con essi… ma la fame!!! Si moriva abbastanza giovani. A 40-50 anni al massimo! E la morte era accettata – a quanto pare – con tutta tranquillità… perché il rok era finito! Addirittura sembra che i vecchi, quando si accorgevano di essere diventati inutili per il resto della famiglia “attraversavano il fiume” e si allontanavano per non ritornare mai più! Confessiamo in ogni caso che allo stato attuale delle nostre conoscenze tutte queste rappresentazioni della vita, della malattia e della morte sono molto contraddittorie e incomplete specialmente se da assegnare a epoche diverse e a luoghi diversi nelle tradizioni “russe”, rispetto ad altre cerimonie e credenze che invece sono rimaste quasi immutate per alcuni secoli. Per questo motivo il nostro racconto qui può essere solo raccogliticcio e non unitario. A questo punto però si pone la questione delle streghe e degli stregoni. Esistettero come tali oppure erano solo dei sacerdoti pagani condannati ad un rango inferiore dalla propaganda della Chiesa Cristiana? Molto si è scritto su questo argomento! Per di più è difficile prescindere dalle conclusioni a cui si è giunti in ambito occidentale europeo senza tenerne conto anche per le Terre Russe. Ad ogni buon conto l’accumulazione della conoscenza in poche menti crea sempre un’élite intellettuale alla quale si rifà tutta la comunità nei casi di problemi e di soluzioni dubbie, ma quando questa conoscenza viene bollata di diabolico ecco che questi “archivi viventi” da élite che erano sono costretti a recedere e a nascondersi, sebbene non disposti a sparire per sempre, sic et simpliciter! La gente meno accorta (ma è proprio così?) infatti continua a credere nelle loro parole e nei loro poteri poiché sono anche cose che hanno circolato per secoli nel mir e che hanno risolto tantissime circostanze sfavorevoli nel passato. La nuova scienza imposta dall’élite al potere cercherà di ridicolizzarli per impedire loro di accrescere o migliorare la conoscenza che hanno, ma sarà sempre molto difficile trovare una ragione valida per eliminare questi stregoni e queste streghe senza causare sommosse popolari. La nuova élite intellettuale (leggi qui la Chiesa Russa) li accuserà di inganno, di desiderio di far male, ma non riuscirà a proporre un’alternativa altrettanto valida… A questo riguardo è utile leggere A. Sinjavskii che dice: “…sarei poco propenso a ridurre la questione (degli stregoni e delle streghe) ad un inganno e una messinscena. Gli stregoni avevano le loro buone ragioni per evitare ogni contatto. Erano effettivamente degli emarginati della società e li si sospettava dei crimini più abominevoli; i poteri costituiti li perseguitavano e li sterminarono nel corso dei secoli e il popolo stesso bastonava e bruciava gli stregoni … Era dunque naturale in queste condizioni vivere una vita solitaria e mostrarsi poco socievoli, cercando di incutere paura per proteggersi…” Con l’affermarsi del potere cristiano nelle Terre Russe la soluzione applicata in Occidente di distruggere la foresta per scovare e annientare streghe e stregoni non era auspicabile per i motivi economici e politici che abbiamo già detto e l’unico modo per combattere il Paganesimo concorrente restava quello di penetrare nella foresta direttamente fondando conventi e chiese fra gli alberi! Sarà proprio questa la politica che san Sergio di Radonezh inaugurerà e rafforzerà, ma solo nel XIV sec. e a partire dalle vicinanze di Mosca! In quel periodo infatti con ripetuti scontri armati coi villaggi si fondarono nella Foresta Russa centinaia di conventi, si distrussero molti boschetti sacri (semprechè si riuscisse a trovarne!), ma sempre con scarso successo. Già prima però era avvenuta una grande rivoluzione nell’ambito dell’arte del guarire e del curare: L’introduzione del sapere medico bizantino in Terra Russa! Quando parliamo di sapere medico deve essere anche chiaro che esso si esplicava in un’attività non limitata soltanto a curare e a guarire, ma piuttosto ad intermediare fra le forze della natura (buone o cattive) e corpo umano in disagio. Presso il Monastero delle Grotte, dunque, intorno all’XI sec. viene fondato un primo cosiddetto ospedale dove un monaco chiamato lecèz cura i fratelli ammalati del convento ed eventualmente, ma eccezionalmente, i feriti dei continui scontri fra i knjaz di Kiev per il potere. L’ospedale a poco a poco diventa famoso e ammalati da tutte le parti sono portati qui per le eventuali cure. Il “servizio sanitario” tuttavia non era per tutti e per chiunque, ma solo per l’élite al potere e per i suoi accoliti e dunque lo smierd viene respinto al suo mondo pagano. Un certo monaco Antonio che ha studiato a Monte Athos diventerà famoso come lecèz e subito dopo di lui un altro a nome Agapito (morto ca. 1095 d.C.). Quest’ultimo addirittura riuscì con un miscuglio di erbe medicinali da lui stesso coltivate o raccolte a guarire nientedimeno che il futuro Velikii Knjaz di Kiev, Vladimiro Monomaco. Benchè poi si spargesse la voce delle eccellenti arti di questo lecèz, non risulta che Agapito operasse alla stesso modo con gli smierd. E’ una situazione classista che durerà praticamente fino al XVII sec. nelle Terre Russe… Da questo è facile intuire che nel villaggio le donne continuarono ad agire da medichesse insieme ai volhv e, sebbene marchiati di streghe e stregoni, rimasero ancora per tanto tempo (quando i volhv scomparvero nell’oblìo definitivamente) le custodi di un sapere pagano che la nuova mitologia cristiana non riusciva a sopraffare. E’ un fatto che la maggior parte delle sostanze usate nell’arte medica fossero e rimanessero vegetali! Se il volhv probabilmente con le sue arti agiva sui disagi psichici più che su quelli somatici, la donna in particolare continuava ad avere la vocazione per tutti i disturbi “organici”. D’altronde è logico, data la sua attività domestica, e, sebbene la Chiesa Russa rappresentasse la donna come strega quando agiva con pozioni e decotti, per secoli nessuno prese mai il suo posto di medichessa popolare, malgrado le maledizioni e gli anatemi. La cucina e la pec’ka dunque antri demoniaci? Le bevande fermentate o cotte, pozioni magiche per far male alla gente? C’è uno stereotipo che ci piace più di altri: Quello in cui una strega scarmigliata gira e rigira col mestolo una qualche zuppa magica in un pentolone! Insomma è giusto vedere nell’arte culinaria un certo mistero, una certa segretezza che si addice ai riti pagani connessi col cibo e non meraviglia più chi ci ha seguito fin qui! A quale scopo però chiamare la donna che sa curare, strega malefica, o metterla insieme ai sacerdoti pagani, quando lei stessa negli scongiuri e nelle invocazioni non fa altro che nominare divinità cristiane, a partire dall’introduzione del Cristianesimo? Nella misoginia innata nel Cristianesimo bizantino una donna deve essere solo la serva di suo marito, far figli e dargli il piacere sessuale quando le è richiesto, curare il bestiame, mantenere in ordine la casa, allevare i bambini, tessere e far da mangiare. Altro non è permesso (così recita il Domostròi, una galateo russo del XVI sec.). Una donna che sappia curare e persino guarire non può esistere, se non come personificazione di forze diaboliche o agente succuba del demonio! Forse c’è una spiegazione più prosaica per tale atteggiamento. Indubbiamente il ciclo vitale della donna è molto diverso da quello dell’uomo e con la menopausa interviene in lei un tale mutamento psicologico che porta la donna ad essere esclusa dall’economia domestica che finora nella sua casa stata tutta la sua vita ed ora si vede costretta ad un isolamento sociale ingiusto. La donna normalmente sopravvive all’uomo e perciò da vedova deve cercarsi una nuova posizione nell’antica famiglia se vuol sopravvivere. Ecco! Si renderà utile con il sapere che ha accumulato in tutti questi anni. Ma quale sapere? Quello della conoscenza delle erbe e delle sostanze medicamentose per curare e guarire. E così, seppur marchiata come essere inferiore, si trasforma in sapiente (znaharka o ved’ma), veggente (vesc’cia), maga (koldunja) etc. e riesce a mantenere l’antica dignità, spesso aumentando la stima (o l’invidia e la paura) degli altri verso di lei. Nella credenza popolare la “strega” è di due tipi: Quella che ha ereditato il sapere dai suoi antenati (detta perciò rozhdjònnaja) e colei che ha imparato (ucjònaja) da quelle “ereditarie”. La differenza fra le due sta nella qualità delle fatture rispettive: Quella ereditaria sa di più ed è molto affidabile, benché libera di fare fatture maligne o benigne, mentre quella “autodidatta” fa solo fatture maligne. Ciò sarà importante specialmente nell’istruzione dei processi contro di loro… Si dicevano molte cose su queste “streghe”, ma per la stragrande maggioranza non erano negative, proprio a causa del loro ruolo social-sanitario. Con l’avvento del Cristianesimo e la diffusione delle famiglie mononucleari, il numero delle vedove solitarie che rimanevano ad invecchiare in un’izbà isolata si accrebbe e molte byline raccontano di come queste “nonne” (baba) potessero ammaliare il viandante che veniva da esse ospitato. Un indizio della loro solitudine era quando la notte di Kupala venivano a chiedere della brace per riaccendere il fuoco nella propria pec’ka… Le “streghe” si circondavano di tanti inservienti sotto forma di animali, quali rane, rospi e gatti specialmente. Questi erano mandati in giro nella notte di Kupala per svuotare, le cantine dei vicini, succhiando loro il latte e la panna acida (smetana) che poi rigurgitavano per dar modo alla loro padrona di preparare il pasto! Infatti un segno di riconoscimento della presenza vicina di una ved’ma era l’improvviso scomparire del latte nella vacca, nella notte fatidica di Kupala. Un altro segno era come queste donne sedevano a causa… della coda! Come si va da una znaharka per chiedere aiuto o cure? E come fa essa una diagnosi? Secondo la mitologia slava le malattie che potevano colpire il corpo umano (ossia gli spiriti maligni “femminili” che potevano penetrarlo e causare una morbilità) erano dodici ed erano chiamate Febbri o Tremori (Lihodarki oppure Trjasovizi). Per ognuna di essa c’era una pianta curativa apposita e gli scongiuri relativi, prima di ogni intervento farmacologico. Che poi l’uso delle pozioni, del decotto e della bevanda che la znaharka preparava e assegnava al malato potesse essere il più diverso e persino il più pericoloso, non ricadeva nelle sue responsabilità, ma nell’uso che la gente ne faceva a sua insaputa! Rarissimamente infatti vedremo nei racconti popolari una donna del popolo che vive ed è ben nota nel villaggio, eliminata fisicamente per aver sbagliato una cura. Tutt’al più la si batterà in pubblico o la si esporrà al ludibrio di tutti constrigendola a fuggire via nella foresta per abitare in un’izbà piantata su una zampa di gallina acquisendo la mala nomea di baba jagà…
Lista delle Febbri
secondo F.S. Kapiza, 1999
Treseja 
Otpeja 
Gladeja
Gluheja 
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Avvarjuscia 
Puhleja 
Aveja 
Karkuscia 
Hrapuscia
Zhjolteja
Nemeja
Ciumà (la peste)
Una sola malattia però era sicuramente causa di una fattura maligna: La consunzione o porcia! Male assolutamente inguaribile, ammenocché non si riuscisse ad eliminare la fattura o ad uccidere la donna che l’aveva fatta! Vediamo invece qualche altra pianta più curiosa che la donna trovava nella foresta e proponeva poi come cura ai vari malanni. Il più notevole vivente per stranezza è un fungo detto ciagà (Inonotus obliquus sp.) il quale non solo è il più longevo che si conosca – si sviluppa e cresce per circa 15 anni – ma anche il più grosso visto che riesce a raggiungere il peso di 5 kg e più! La ciagà cresce sulla corteccia della Betulla (anche del Tiglio e dell’Olmo, ma questi individui sono giudicati inefficaci) formando degli strani ed enormi tumori orizzontali di color gialliccio-brunastro. Una volta che una donna lo abbia scoperto, tiene il segreto per sé poiché la ciagà è una specie di panacea per qualsiasi tipo di ferita o tumore esterno (trattamento omeopatico) e, siccome ne basta qualche grammo per farne una miscela efficace, per anni si può sempre sfruttare lo stesso fungo. E’ chiaro che col passar del tempo invecchia e diventa sempre più compatto e più duro, ma lo si può ancora usare per intagliarvi amuleti contro… gli spiriti maligni! E non solo medicamenti vegetali si trovano nella foresta! Anche la famosa Acqua Acidula (kislaja vodà o narzàn) che sgorgava da certi pozzi del Valdai (vicino a Novgorod la Grande) era bevuta a scopi terapeutici o usata nelle pozioni (da chi riusciva a procurarsene!) e si diceva che con quest’acqua qualsiasi audace caduto in uno scontro poteva ritornare in vita bevendone. E che dire della polvere dei palchi di corna delle alci o degli escrementi delle capre o quelli del maiale, animali entrambi sacri? Questi ultimi prodotti, raccolti dalle donne sui campi, seccati nella pec’ka e ridotti in polvere erano anche utili farmaci… Forse l’unico contributo maschile a questa farmacopea di villaggio medievale “russo” prettamente femminile era il fegato fresco dei grandi pesci di fiume che serviva non solo come cibo prelibato, ma anche come fonte di vitamina D per i bimbi di pochi mesi… E qui ci fermiamo pur raccomandando al nostro lettore di leggersi il racconto di A. Pusc’kin, Ruslan e Ljudmila in cui un vecchio Finno fa rivivere l’eroe del racconto, Ruslan, proprio con l’acqua viva di una fonte per la gioia di Ljudmila.

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