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Computers Il ruolo storico della foresta
nella storia europea e nel Medioevo Russo

scritto di: Aldo C. Marturano
Da qualche decennio o forse più, tutti noi ci siamo accorti che si è creata una domanda, si potrebbe definirla socio-politico-ecologica, sempre più generalizzata di alberi, di verde, di parchi. Sono nate oasi un po’ dovunque. L’agriturismo si diffonde e ci invita non solo a vivere per qualche giorno in campagna, ma ci indica anche cammini e trekking attraverso boschi e foreste. Ovunque si possa, piani regolatori permettendo, nelle grandi e nelle piccole città europee si creano giardini con alberi e nell’hinterland si delimitano aree di conservazione naturale con preferenza per le piante e gli alberi d’alto fusto (gli animali, una volta anche europei come leoni, linci, lupi o altre belve, sono invece ormai relegati negli zoo!). Non solo! Persino in casa propria si creano angoli con alberi ornamentali di tutti i tipi e importati da tutto il mondo persino in miniatura come il bonsai! Eppure leggendo la storia dei secoli passati (e a noi interessano in particolare gli anni del Medioevo) grandissima parte del nostro continente era coperto proprio dalla foresta. Ecco che ci sorge subito la domanda: Come mai oggi il bene “foresta” si è così ridotto? Prima di rispondere in “modo storico”, rileggiamoci a questo proposito la Divina Commedia, per apprendere che ai tempi di Dante, la fine del XIII sec., la foresta in Italia c’era ancora in una nazione dove, oggi invece, quasi ogni estate i boschi diminuiscono di estensione poiché ne vanno a fuoco ettari ed ettari dolosamente. Il primo Cantico, l’Inferno, comincia così (in caso l’aveste dimenticato!):
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
“Mi ritrovai per una selva oscura
“Ché la diritta via era smarrita.
“Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
“Esta selva selvaggia ed aspra e forte
“Che nel pensier rinova la paura…”
E’ un uomo colto del Medioevo che ci parla, eppure notiamo subito che esprime delle sensazioni che la foresta suscita ancora oggidì a chi l’attraversa o soltanto la guarda standone al di fuori, ma immaginando (e fantasticando) che cosa essa possa nascondere nel suo fitto interno, e conservando il timore di attraversarla, ad esempio, di notte. Dante è un uomo della città e la campagna gli appariva allora come un mondo a sé, diverso e particolare, e, con la campagna, anche la foresta circostante gli restava aliena, per lui che viveva nelle città del lussuoso Rinascimento italiano. Spavento, mistero, buio strano che mettono a disagio chiunque, dall’alba all’imbrunire! Questo ed altro è la foresta… Un mondo minaccioso, più che ostile, pieno di insidie dove giustamente Dante non poteva che collocare il suo Inferno! In altre parole da qualche secolo prima di lui vagava già il concetto che nella foresta non potessero che nascondersi le forze del male e quindi il Demonio Sommo dei cristiani impersonato da Lucifero… Se ci pensiamo bene, questi sentimenti negativi verso l’ambiente forestale sono già presenti nel latino silvaticus derivato da silva, foresta, e tramandatici nell’italiano selvaggio e selvatico, con tutte le loro connotazioni minacciose. Lo stesso si potrebbe dire per il tedesco e l’inglese wild (selvaggio) che hanno una radice comune con Wald (ted. foresta) e in più, in inglese, già il verbo bewilder non significa solo rendere selvaggio, ma sottoporre ad incantesimo, così come in russo dikii o il dialettale divii, significano non solo selvaggio, ma sono correlate anche col concetto di magico e di divino! Non dimentichiamo che la parola tempio e il suo antenato latino templum e l’analogo greco temenos significano in origine luogo nella foresta e la radice *ten-/*tem- è la stessa per tenebra, oscurità! Insomma diciamo pure che la foresta e la magia sono concetti associati ormai da secoli! Ed infatti l’uomo e la foresta rappresentano un binomio antichissimo e non solo nel mondo europeo. L’uno non esclude mai la presenza dell’altra, anzi! Dalle ricerche antropologiche più recenti comincia ad affermarsi sempre meglio l’idea che la specie umana, allo stesso modo dei primati scimmieschi a noi più vicini che ancor oggi si aggirano fra gli alberi del mondo, sia venuta fuori dalla foresta dove viveva da raccoglitrice prima di passare nella savana africana e diventare Homo sapiens sapiens. L’uomo insomma è nato nella selva e la selva rimane la parte più intima della sua natura e sulla selva costruisce la sua cultura materiale e spirituale! La letteratura su questo argomento è vastissima e potrebbe riempire già un’intera biblioteca. A questa stregua, si potrebbe cominciare già dalla popolarissima Bibbia in cui la coppia primeva ci viene presentata proprio mentre si aggira in una foresta, il Giardino dell’Eden, ed è qui che scopre “la scienza” mangiando i frutti dell’“albero del bene e del male”! Naturalmente e con grande attenzione, noi faremo una cernita del materiale a nostra disposizione per non appesantire il nostro testo, ma non dimenticheremo che da questo ambiente (biocenosi, si chiama più scientificamente) proviene tutto quello che ci serve per vivere... ancora oggi! Ed ecco come parla della foresta nordeuropea il silvologo francese G. Rougerie: “…supera gli 8000 km d’estensione dall’ovest a est e i 1800 da nord a sud. Si tratta d’una foresta densa almeno a parte le marche settentrionali, ma non spettacolare, poiché i suoi alberi raggiungono raramente i 25 m d’altezza e si tengono più spesso intorno ai 15 m con tronchi di piccolo diametro e rami abitualmente corti. La grandiosità della foresta (europea) è dovuta piuttosto alla sua omogeneità d’aspetto che ossessiona. … non c’è al mondo altra foresta così semplice, così monotona di questa foresta a conifere.” Certo è una descrizione sommaria che si attaglia più che altro allo stato attuale in cui la selva europea si trova già depauperata della maggior parte delle sue querce e dei suoi faggi abbattuti secoli fa, ma il nostro autore continua e ci informa che grosso modo la foresta europea si può dividere in due parti: Una parte occidentale a dominanza del faggio (Fagus, ted. Buche, ing. Beech, rus. Buk) ed un’altra a dominanza della quercia (Quercus, ted. Eiche, ing. Oak, rus. Dub). Quest’ultima è quella che a noi interessa poiché è anche quella che oggi si estende dalla Polonia agli Urali (senza andare troppo verso nord perché in tal caso, a causa del clima, la foresta cambia e diventa tundra). Ordunque giusto in questa foresta europea si è svolta la maggior parte degli eventi che la tradizione ci ha lasciato e che noi oggi racchiudiamo nell’espressione Storia d’Europa. In special modo nel Grande Nord Europeo, dominato “da sempre” dai due grandi gruppi etnico-linguistici, i Germani e gli Slavi, esiste una specie di collateralità esclusiva e ben radicata fra queste genti e la “loro” foresta circostante. Nelle saghe nordiche o nel folclore balto-slavo (Baltici e Slavi sono sempre vissuti gli uni accanto agli altri!) l’ambiente degli alberi, dei boschi, del fitto, del buio e dell’intricato da cui fuoriescono mostri, maghi e tante altre diavolerie e misteri divini domina pesantemente ed è sempre possibile rintracciare nella tradizione nordeuropea in generale quel certo sentimento di rispetto pauroso verso il grandioso mistero della foresta similissimo a quello che Dante ha così magistralmente messo in rima antico-italiana. Se questa è la situazione primordiale nel nord d’Europa, com’era allora nel sud dove la civiltà era fiorita più rapidamente e con maggior successo? Anche qui c’entrerà la foresta… Certamente sì! Ma già nella Grecia dei tempi storici era quasi totalmente scomparsa per lo sfruttamento intensivo fattone giacché notiamo che si importavano legname e prodotti foresticoli dalle zone del Mar Nero già ai tempi di Erodoto (IV sec. a.C.)… Ad esempio, se Trapezunte (oggi Trabzon) in Anatolia col suo nome (trapeza in greco vuol dire tavola di legno) denuncia l’importazione di assi di legno o Pitsunda in Abchazia (ossia il famoso Paese del Vello d’Oro e della maga Medea) denuncia invece l’importazione di pece per calafatare (pitus in greco è l’abete resinoso), ecco che queste sono già delle prove evidenti fissatesi nella toponomastica della domanda di prodotti foresticoli da parte dei Greci fuori dei confini dell’Ellade! Possiamo dire che per secoli le relazioni culturali e commerciali fra popoli diversi nacquero e si mantennero proprio in ragione della sparizione o della presenza degli alberi! Vecchie storie? Non tanto! Se si pensa che proprio per questi traffici, come vedremo nel seguito, la Pianura Russa riuscì ad avere contatti quasi senza soluzione di continuità con il resto d’Europa… e del mondo! Continuiamo però il nostro discorso nell’ambito mediterraneo. Alla potenza greca successivamente si sostituì quella di Roma e qui c’è un aspetto “forestale” che va subito sottolineato per il suo grande peso storico. Il Lazio, la regione dove nacque il nuovo impero universale, era in origine coperto di foreste (si ricordino le opere di Virgilio e persino la leggenda di Romolo e Remo affidati ad una lupa, tipico animale silvicolo!), ma poi, con lo sviluppo enorme della domanda di materiale per costruzioni, di legna per il riscaldamento e per la fusione dei metalli etc., gli alberi a poco a poco furono abbattuti in gran numero e i boschi e le foreste scomparvero rapidamente tutt’intorno alla nuova grande capitale del mondo. E’ vero le radure vennero sostituite da campi coltivati, visto che era diventato ora d’ordine primario nutrire una popolazione diventata più numerosa, ma con la selva si eliminò una grandissima fonte di materie prime che la civiltà romana ancora richiedeva per il proprio sviluppo ulteriore e si privò tutto il territorio di un’efficace protezione ecologica. Alcuni esempi ci basteranno a capire, fra l’altro, quanto fosse importante il legno e come mai ad esso non si poteva facilmente rinunciare:
1. Roma costruì una sua flotta di navi da guerra e commerciali a partire dalle famose Guerre Puniche e continuò ad averne e a mantenerne sempre di più per tutta la durata dell’Impero e queste navi erano fatte di legno e se ne perdevano anche parecchie negli scontri militari!
2. Roma costruiva case, “valli” difensivi, carri, etc. tutti fatti di legno. Ricordiamo che solo le costruzioni monumentali erano di pietra o di mattoni ed in particolare tutti i tetti degli stessi monumenti erano comunque di legno! Per mettere su poi pietre e lastroni si usavano naturalmente impalcature, trabiccoli, gru etc. tutte di legno!
3. Gli arnesi da lavoro e le armi erano o di legno o avevano manici di legno. Si pensi alle decine di migliaia di lance, ad esempio, per figurarsi quanto legno andava perso dopo ogni battaglia!
4. Il legno si bruciava poi per riscaldarsi, ma soprattutto, in enormi quantità, per fondere e forgiare metalli.
Se questi sono gli usi di questa importantissima materia prima la cui unica fonte è proprio la foresta, fu giocoforza per Roma, non appena il legno cominciò a scarseggiare in Italia, rivolgersi verso le altre regioni d’Europa dove la foresta sopravviveva al di là delle Alpi. Dapprima Roma sfruttò le risorse della regione più immediata da conquistare, e cioè la Gallia e la non tanto lontana Spagna, ma poi si volse verso est, oltre il Reno e fin oltre il Danubio (ricordiamo la Dacia!). E là Roma incontrò popoli molto più difficili da sottomettere e dovette molto spesso venire a patti con essi dopo scontri sanguinosi. Successivamente furono questi popoli a loro volta a “conquistare” Roma e sopravvenne un nuovo rimescolamento di genti e di culture, mentre subentrava una pausa nello sfruttamento del patrimonio forestale mitteleuropeo. Infine si giunge al cosiddetto Medioevo! I consumi riprendono ed ora il legno deve essere importato da molto lontano, da regioni dove il potere militare dell’Impero non arriva più e cioè dallo sconosciuto e misterioso nordest d’Europa, la terra degli Sciti e degli Iperborei di erodotea memoria! I consumi però si sono ormai diversificati e la foresta non fornisce in grandi quantità soltanto legno, ma anche altri prodotti la cui richiesta esisteva, ma non si era ancora sviluppata come avvenne in quei periodi del Medioevo. Salì a livelli altissimi, ad esempio, la richiesta della cera e del miele… Cominciò lo sfruttamento intensivo della grande foresta del nord ancora in grado di fornire quanto richiesto dalle grandi e scintillanti città del sud! Se per Costantinopoli (ossia Roma Nova) e Cordova in testa, la pietra e il mattone servivano per le costruzioni monumentali (pur senza contare Baghdad e la Persia) per le case e le navi si continuò ad usare il legno e chi già aveva distrutto le proprie foreste tutt’intorno ora doveva rivolgersi per i propri acquisti al nord! Ci scusiamo col nostro lettore per aver condensato, persino con molta libertà e in poche parole, un processo storico molto variegato e lunghissimo nel tempo, ma ciò deve servirci a capire come mai nel X sec. d.C. Slavi e Germani potevano considerarsi gli ultimi “silvicoli” d’Europa e come il loro ruolo politico ed economico diventò sempre più determinante per lo sviluppo della nostra civiltà condizionando pesantemente tutta la storia europea! Il nostro interesse però deve concentrarsi sull’area abitata dagli Slavi e specialmente dagli Slavi Orientali ed allora occorre spostarsi immediatamente nella grande Pianura Russa dove intorno al VIII - X sec. la storia russa cominciò a “parlare”. Sarebbe facile prendere oggi un aereo e recarsi, ad esempio, in Polonia (nell’affascinante regione dei Laghi Masuri) o in Bielorussia (nei dintorni di Slonim) per visitare la Bjalovjescia, ossia la foresta polacco-bielorussa dove si aggirano ancora i bisonti europei e forse anche gli uri o tori selvaggi, ma saremmo ingenui a credere che quanto si offre ai nostri occhi sia ancora il paesaggio del periodo medievale. Molto è cambiato e non soltanto perché gli alberi si sono riprodotti e gran parte di essi non sono più quelli di mille anni fa (benché ce ne siano ancora con età molto vetuste di cinque o sei secoli!), ma anche perché molte aree sono ormai decisamente mutate a causa dell’evoluzione del clima, delle condizioni del suolo e soprattutto a causa del disboscamento di cui abbiamo detto sopra, sebbene quest’ultimo fattore abbia agito qui meno estensivamente che in altri luoghi (vedi G. Duby!). Se tuttavia ora ci volgiamo a sud, verso Kiev, lo “spettacolo verde” resterebbe comunque imponente e addirittura incontreremmo qui un ambiente ancora più fantastico: Le famose Paludi del Pripjat, localizzate nel bacino di un affluente di destra del Dnepr! Queste sono un mare paludoso di oltre 100 mila km quadrati che aveva già “spaventato” i viaggiatori greci tanti secoli prima! Si pensi soltanto che se l’acqua qui esistente elevasse il suo livello di una sola decina di centimetri, il Poljesje (così si chiamano le Paludi del Pripjat in russo) diventerebbe un enorme lago grande quanto il nord Italia! Continuiamo verso sud e lasciamo questo tipo di foresta-palude. Dopo Kiev, siamo ormai al confine meridionale della foresta europea poiché, passata questa città, il paesaggio diventa stepposo con rari alberi e con terreno sabbioso… sebbene nel passato anche qui gli alberi erano molto più numerosi di oggi, come ci informa il solito Erodoto! Siamo ora sulla riva settentrionale del Mar Nero, nella Steppa Ucraina! Dal punto di vista fisico l’enorme territorio che abbiamo appena finito di attraversare costituisce il Bassopiano Sarmatico (questo è il nome più tecnico-geografico di tutta la Pianura Russa) e parte praticamente dal bacino dell’Oder, oggi il fiume al confine fra Germania e Polonia, per giungere anche oltre il Dnepr fino alla Catena dei Monti Urali. In questa enorme area ci sono, sì!, delle alture, ma sono poca cosa (con un’altezza massima di ca. 400 m nel Valdai appena sotto Novgorod la Grande) sebbene queste piattaforme poco elevate in ogni caso costituiscano degli spartiacque per i corsi d’acqua più grandi, fra i quali il Volga (primo fiume europeo), il Don, il Dnepr (secondo fiume europeo), le due Dvine. Altre alture importanti sono il cosiddetto Rialzo Centrale Russo che segue in pratica il 35° meridiano latit. est e che divide il bacino del Volga (di Mosca) da quello del Dnepr o più ad occidente il cosiddetto Ripiano Podolico (con la Volynia, la Podolia, la Bessarabia e la Moldavia) ai piedi dei Carpazi che costituisce l’altra “parete” che “contiene” il bacino del Dnepr. Anche quest’ultima area era fittamente ricoperta di verde più di oggi! Dalle ricerche storiche e dai rilievi archeologici sappiamo che fu proprio il Bacino del Dnepr il luogo dove si costituì il primo e più antico nucleo politicamente organizzato degli Slavi che oggi si distinguono nelle tre etnìe bielorussa, ucraina e grande-russa, fra il V e l’VIII sec. d.C. Questi Slavi, chiamati nella storiografia tradizionale orientali, erano emigrati dall’Europa Centrale o Mitteleruopa, ossia dal bacino del fiume Elba (slavo Laba che col nome tedesco di Elbe sfocia nel Mar del Nord ad Amburgo) verso la Pianura Russa e qui trovarono facilmente un modus vivendi con gli autoctoni della regione, forse a causa della bassissima densità abitativa di questi o perché c’era spazio per tutti senza infastidirsi l’uno con l’altro! Ad ogni modo i popoli che gli Slavi incontrarono nel nordest furono prima i Balti e poi i Finni. Con questi due nomi, è bene dirlo subito, intendiamo due etnìe diverse fra loro, oggi relegate intorno alle coste baltiche o fortemente “russificate” nell’est di Mosca, ma che erano da tempo (prima dell’arrivo degli Slavi) a contatto fra loro, sebbene separati culturalmente dalle diverse abitudini di vita e dalle lingue diverse. In questa sede ci preme sottolineare che i Balti dovevano essere una volta un unico popolo insieme con gli Slavi poiché le rispettive lingue sono molto affini tanto che, col metodo glotto-genetico, è possibile affermare che queste parlate si sono separate non più di tremila anni fa! Dunque i Balti furono sicuramente i primi ad abitare nella foresta del nord. Anzi! Le scoperte archeologiche e i confronti linguistici specialmente dei nomi dei corsi d’acqua ci dicono che l’area da loro occupata era molto più vasta di quella odierna e giungeva fino alla steppa ucraina a sud e fino al Volga ad est (come giustamente confermano le ricerche della defunta prof.ssa Gimbutas). Dall’altra parte i Finni, parte di un gruppo linguistico che fanno supporre l’esistenza di proprie radici più antiche fra gli attuali popoli dell’Alto Volga e ai popoli della taigà siberiana al di là degli Urali, anch’essi migrarono verso la Pianura Russa, prima degli Slavi e… incontrando i Balti! Dice la linguista ungherese E. Szilágyi molto chiaramente, sulla base di larghe ricerche multidisciplinari con gli archeologi sovietici: “…la teoria classica (che conta ancora molti adepti) secondo la quale i primi stanziamenti degli Uralici (ossia i Finno-ugri - acm) si localizzavano nel nordest europeo fra la grande ansa del Volga, il corso della Kama e il fiume Ural (una volta Jaik). Oltre a ciò alcuni ricercatori finnici e ungheresi pensano che gli Uralici abitassero una area molto più vasta, una grande fascia che si estendeva dal Baltico al fiume Ural.” Dunque la Pianura Russa, senza parlare della Steppa Ucraina per quanto riguarda le migrazioni, accolse per secoli e secoli migranti alla ricerca di una vita migliore. Ma che cosa spinse gli Slavi o che cosa li attrasse per intraprendere un tale faticoso pericoloso e lungo viaggio dal Centro Europa? Fu forse l’impoverimento della foresta oppure la spinta di altre genti? Gli Slavi, fondamentalmente agricoltori, avevano bisogno quasi periodicamente di “nuovo” terreno libero da coltivare, a causa dei loro metodi agricoli primitivi e pertanto dovevano periodicamente sottrarre spazio giusto alla foresta. In più gli Slavi, essendo piccoli allevatori di bestiame minuto (quello di grossa taglia era importato e serviva solo per i lavori agricoli), la selva rappresentava per loro il pascolo più immediato, evitando di dover coltivare pure foraggio. D’altronde, vivendo in stretta simbiosi con i boschi, gli Slavi erano persino degli assidui raccoglitori dei prodotti silvicoli e quindi la foresta non andava tutta distrutta. Evidentemente, mentre il terreno coltivato si impoveriva col passare di pochi anni, al contrario la foresta si rinnovava costantemente senza sforzo alcuno da parte dell’uomo e perciò rimaneva la risorsa generosa pronta ad elargire i suoi doni a chi glieli chiedesse. Forse ci si accorse però che c’erano dei limiti allo sfruttamento “selvaggio”… Se però l’agricoltura era a volte insufficiente, perché non optare per un regime di vita di raccolta e pesca, senza preoccuparsi troppo dei terreni non più produttivi per assicurarsi le derrate cerealicole? Ciò avrebbe evitato la migrazione… E invece ciò non avvenne, se non sotto costrizione. Non c’è d’altronde da meravigliarsi. E’ risaputo che le tradizioni e i modi di vita sono difficilissimi da cambiare specialmente a livello di gruppo e persino nel lungo termine per cui possiamo immaginare che quando l’impoverimento del terreno giunse all’insufficienza creando precarietà alla sopravvivenza, queste genti alla fine non poterono evitare di prendere la decisione di muoversi in massa alla ricerca di terre vergini. Dapprima premettero verso Occidente all’epoca di Carlomagno tanto che questo sovrano dovette sistemarli lungo il Reno. Poi cercarono di sorpassare il “limes” romano a sud della “loro” sede tradizionale e infine scelsero il nordest quale area preferita… perché forestata! Ritorneremo su questi punti più avanti perché sono importanti, ma per ora cominciamo a capire meglio che cosa lo Slavo agricoltore ricavava dal suo bosco. Quasi tutte le insalate coltivate dall’uomo provengono per accurata e lunga selezione dalle piante del sottobosco e perciò qualsiasi coltivatore della terra, erede di questa cultura antichissima d’origine mediorientale, sapeva non solo coltivare i suoi cereali di base, ma sa anche cercare ed individuare lungo le rive dei corsi d’acqua o presso certi alberi del fitto quelle specie vegetali che davano le spezie e i medicamenti e che crescevano spontaneamente senza bisogno di interventi di mano umana, oltre alle bacche e ai funghi. Se oggi nella foresta nordeuropea prevalgono il pino e l’abete, nel medioevo erano più comuni le querce, i tigli, gli olmi, le betulle, i frassini, i noccioli o i comuni salici piangenti. E non solo frutti ed erbe si potevano ricavare fra questa ampia varietà di flora, ma anche miele, succhi e prodotti per “sognare”, fra l’altro! C’era anche la possibilità di fare piccola caccia da soli o in squadre senza grandi pericoli, visto che era possibile catturare lepri, cavallini “lituani” selvaggi non più grandi di un moderno pony oltre a tutta una gamma di volatili: dalle pernici alle oche e alle anatre. Nei laghi e nei fiumi poi c’era una scelta veramente colossale di pesce, persino di grossa taglia e da conservare sotto sale o seccare nel vento! Insomma, una raccolta regolare e periodica dava una quantità sufficiente di derrate alimentari in più per rendere piacevole e varia la dieta giornaliera di cereali comuni coltivati oltre ad offrire la materia prima per la soddisfazione di altri bisogni materiali come fibre tessili (lino e canapa) o legname da ardere o per costruire e persino prodotti da raffinare per lo scambio con altre comunità vicine o esterne come sale, ferro meteorico, cera etc. Quindi gli Slavi, come ce lo prova l’archeologia, si divisero fra i campi da lavorare nella stagione appropriata e la raccolta nella grande foresta, mai allontanandosi dai margini di questa, già in quelle lontane epoche (e siamo assolutamente d’accordo con M. Pokrovskii)! E questa è rimasta l’attività più congeniale di un Polacco o di un Russo, già a partire dal Medioevo, il quale ha preferito all’inurbamento in grandi centri organizzati come le città dove risiedeva e opprimeva il potere vivere belle piccole comunità. Insomma l’inurbamento in terra slava restò insignificante (vedi le stime dei medievisti come Pigagnol, Rösener o Ennen) tanto che ancor oggi nel nord slavo il numero di città di media grandezza risulta molto più basso rispetto a quello di altre regioni d’Europa. Addirittura che lo Slavo fosse uno specialista della foresta è provato dal fatto che al tempo delle migrazioni verso il sud nella valle del Danubio, i Valacchi (antenati dei Rumeni di oggi) dovettero rifugiarsi sulle basse montagne coperte anch’esse da ampie e fitte foreste, quando videro giungere questa marea di strane genti che parlavano una strana lingua. Poi le due etnie vennero un po’ alla volta a contatto e cominciarono a collaborare e a convivere a tal punto che l’arte di sfruttare e i modi e i metodi di usare i prodotti del bosco passarono, come terminologia tecnica, direttamente dal paleoslavo nella lingua neolatina dei Valacchi. Ancor oggi il rumeno conserva queste parole sia per gli alberi industriali che per le attività di disboscare, di “seccare”, di sfrondare etc. (leggi C. C. Giurescu nella sua Storia della Foresta Rumena). Oggi certamente sarebbe difficile, anche per uno slavo, vivere una vita come quella di tanti secoli fa, ma in tutti i casi l’attività di raccolta nella selva non è mai cessata… salvo dove la foresta ormai non c’è più! Ad esempio, andare in vacanza in russo si dice “andare in dacia” e la dacia è proprio una capanna costruita nel fitto di un bosco e col legno qui ricavato! E un russo nel bosco di oggi riprende con piacere quelle attività di raccolta di funghi, bacche etc. e di pesca e di piccola caccia che una volta erano così importanti per l’economia dei suoi antenati! Vogliamo ricordare, benché con rammarico, che alcune nostre regioni oggi sono diventate brulle e aride in Italia più a causa dell’uomo, che per terribili eventi o catastrofi naturali! E’ indubbio al contrario che l’ambiente silvicolo fu l’ideale (e l’unica risorsa in verità!) per trovare “da mangiare” senza troppa fatica, proprio durante l’ultima Guerra Mondiale! Quei fuggiaschi o resistenti che davanti a loro vedevano nient’altro che campi abbandonati, devastati e incolti a causa della guerra, si trovarono pressoché in pericolo di morir di fame finché non riscoprirono il ruolo importante della foresta per riuscire a sopravvivere e combattere per la libertà! Ci si dava alla macchia come il fuorilegge d’una volta da novelli Robin Hood o Brigante Usignolo (quest’ultimo è un famoso personaggio del folclore russo) vivendo dei prodotti del bosco… La Resistenza Italiana, il Maquis (quest’ultima parola, analoga all’italiano macchia, non è forse il nome della foresta arbustiva mediterranea?) francese etc. ritrovarono fra gli alberi l’ambiente dove era possibile sopravvivere senza necessariamente inselvatichirsi! Allo stesso modo la Resistenza Russa ritrovò nelle Paludi del Pripjat il modo naturale per impedire l’avanzata nazista nel proprio paese!

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