Cosa dovevo fare ? Durante tutti gli anni in cui fui primario di urologia e dialisi a Melegnsno, la mia divisione era considerata la più funzionale e la più aderente alle direttive dell’Unione Europea, per cui tutti i somali con problemi urologici vennero ricoverati ed operati a Melegnano,.compreso il ministro somalo della Sanità. In quel periodo il C N R. mi aveva concesso una borsa di studio per passare tre mesi a Denver nel Colorado, Ospedale di Tom Starzl, A Denver incontrai Baroni, un allievo di Stefanini, quello del trapianto da scimpanzè, che aveva inviato da Starzl per chiarire alcuni punti sui trapianti, dato che Tom ne aveva ormai fatti più di trecento. più di duecento trapianti di rene e qualcuno di fegato. Baroni fu molto gentile con me, aveva preso in affitto un modesto appartamento e mi offrì una delle due camere da letto per tre mesi. Era romano e tutte le sere preparava una bella spaghettata, con condimento diverso, carbonara, amatriciana o puttanesca, alle quali spaghettate, ogni tanto, partecipava con gioia Tom Starzl, che ci dava una lezione non solo di chirurgia, ma soprattutto di democrazia. Io intanto prendevo la macchina di Baroni e facevo la spesa, portando a casa birra, vino, e una torta, Tom arrivava con una bottiglia di whisky americano. Ci davamo tutti del tu, con Tom io parlavo il tedesco, Baroni parlava l’inglese. Alle dieci eravamo tutti a letto, perchè alle sette tutti dovevano essere pronti in sala operatoria. .La domenica andavamo in giro sulle Montagne Rocciose alla ricerca dei bisonti, Tom spariva, da bravo tirolese alla ricerca di una pista di scì. Durante la settimana alle sette eravamo in sala operatoria fino alle tredici. aiutando Tom. Mangiavamo un panino e alle quattordici si iniziava il lavoro nel Doglab, un piccolo edificio, perfettamente attrezzato, nel quale si faceva chirurgia sperimentale, per lo più sui cani. Il Doglab era il laboratorio nel quale si operavano i cani. Con questa prima dialisi fatta al Pizzamiglio il primario Franco Nereo Rossi aveva voluto dimostrare che qui la struttura ospedaliera era pronta per una chirurgia moderna, che la guerra era finita e che il giovane medico che aveva organizzata la emodialisi era il simbolo di quello che ora si doveva fare, avere idee nuove e tirarsi su le maniche per realizzarle. Io avevo fatto la mia parte, dopo pochi giorni sarebbe arrivato dagli Stati Uniti il dottor Angelo De Gasperis per insegnarci quello che aveva visto fare lui dagli americani. L’anestesia moderna con intubazione e ventilazione controllata, che permise la chirurgia toracica e polmonare dei tumori, della chirurgia cardiaca delle stenosi mitraliche, dei neonati blu per ampia comunicazione intraventricolare, della chirurgia del Botallo e così via. A mio giudizio era il più grande chirurgo con il quale avessi avuto la fortuna di operare.. Dopo due mesi che lavorava al Pizzamiglio, un mattino mi sembrò piuttosto affaticato. Dopo qualche giorno fu ricoverato con dolori forti in una stanza del nostro reparto. Una notte l’angoscia di vedere i figli diventò insopportabile, gli fecero un cardiostenol e, nel cuore della notte
con una ambulanza, lo accompagnarono davanti alla sua casa. Entrò nella camera dei figli, senza svegliarli, abbracciò sua moglie e con l’ambulanza ritornò in ospedale. All’alba era già morto.
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