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Computers Posso parlare ancora di Fascismo?
scritto inedito di: Milost Della Grazia
Come e perché nacque l’ideologia fascista ?
Il   20  novembre del  1918  l’onorevole Orlando fece un discorso, il quale, al di là della retorica, affermava una grande verità: La guerra era stata la più grande rivoluzione politico-sociale che la storia ricordi  e, passata la tempesta, nessuno poteva  pensare  che fosse  possibile un pacifico ritorno al passato, dopo tutti i sacrifici e tutte le promesse di un avvenire migliore fatte alle masse popolari e borghesi, che avevano combattuto, che avevano sofferto per quattro anni nelle trincee del Carso, dando alla patria seicentotrentamila morti. 
Esclusa una soluzione simile  a quella russa, lo stato doveva essere democratizzato secondo un programma del deputato socialista Giovanni  Giolitti.  Il suo partito aveva ricevuto con le elezioni un notevole aumento di voti, ma invece della corrente riformista, più logica e utile, era prevalsa quella massimalista,  per la quale ogni forma di collaborazione con governi borghesi veniva considerata un tradimento e giudicava la borghesia una massa di forze reazionarie da combattere ed eliminare fino all’immancabile vittoria finale del proletariato. La parola d’ordine del partito socialista era “soli contro tutti”. 
La verità era ben diversa perché il loro massimalismo si esauriva nella sterile promessa di una rivoluzione che poi era una rivoluzione solo di  parole e basta. Sullo scenario politico era comparso il  Partito Popolare di don Luigi  Sturzo, di ispirazione cattolica,  autonomo in sede politica ed ecclesiastica, almeno finché non avesse fatto nulla che potesse dispiacere alle autorità ecclesiastiche.  
Estremamente complessa ed equivoca era l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra. Superato il suo iniziale compito puramente assistenziale,  si proponeva di partecipare attivamente alla vita politica, dichiarando una  completa sfiducia in tutte le organizzazioni politiche allora esistenti..Chiedeva la convocazione di una assemblea costituente, che sanasse l’errore iniziale di aver esteso a tutta la penisola lo statuto albertino..
In questa bagarre si muoveva l’ex socialista Benito Mussolini, il quale il  23 marzo 1919 aveva fondato a Milano i Fasci Italiani di Combattimento, cioè un partito con un programma ultrademocratico che comprendeva il trapasso dalla monarchia alla repubblica e la convocazione di un’assemblea costituente. 
Bisogna far largo alle masse, combattere i residui del militarismo, gridavano  i rossi. Perché  fare il processo ad una guerra vinta  ?  Se questo processo deve essere fatto , saremo noi a prendere l’iniziativa,  non gli altri, aveva riposto  Mussolini che scriveva  sul suo giornale Il Popolo d’Italia: noi siamo aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari a secondo delle circostanze di tempo, di luogo e d’ambiente. Con queste parole Mussolini lasciava aperta la porta del suo partito soprattutto agli ex  combattenti, che avevano  idee politiche diverse. 
Nel frattempo la situazione italiana era ulteriormente peggiorata. La rappresentanza italiana alla Conferenza della pace di Parigi, guidata da Orlando e da Sonnino, avrebbe dovuto pretendere una rigorosa esecuzione del patto di Londra. Quando il presidente americano Wilson si occupò del problema di Fiume e della Dalmazia, nel suo discorso si rivolse direttamente al popolo italiano, snobbando i due delegati italiani, i quali, offesi, abbandonarono la conferenza mentre l’assemblea stava  decidendo sulla  sorte delle ex colonie tedesche.
Il ministro Orlando, scosso nel suo prestigio per l’imperizia dimostrata a Parigi, veniva sostituito da  Francesco Saverio Nitti in un momento di estrema confusione per una  tumultuosa sommossa legata al prezzo del pane e del carovita in genere, con negozi  assaltati e saccheggiati in Emilia, Romagna, in Toscana e nelle Marche, dove sorsero dei  Soviet.
Il nuovo presidente del consiglio, Nitti, cercò di dominare la situazione conservando il prezzo politico del pane, concedendo amnistie e indagando su alcuni  personaggi che si erano arricchiti troppo rapidamente durante la guerra.. Mentre la tensione popolare andava attenuandosi, un nuovo gravissimo colpo veniva inferto alla sovranità dello stato, quando nel settembre del 1919 i Granatieri di Sardegna ed altri reparti avevano seguito D’Annunzio per occupare Fiume, che secondo il famoso “patto di Londra” doveva passare all’Italia.
Nel giugno del ‘20 Giolitti, ormai ottantenne, aveva accettato  per la quinta volta la responsabilità del governo. Concluse accordi  con la Jugoslavia, conservando Zara con un piccolo lembo di territorio e il 5 gennaio 1921 la flotta italiana aprì il fuoco contro il palazzo della Reggenza a Fiume. Dopo una breve scaramuccia, che passerà alla storia come il Natale di Sangue,  D’Annunzio lasciò la Città Olocausta, benché fino allora avesse gridato “ O Fiume o Morte.”  
Mentre  erano in corso trattative salariali tra i lavoratori e gli industriali, le organizzazioni operaie avevano deciso di ricorrere all’ostruzionismo, cioè all’applicazione rigida dei regolamenti, per intralciare il normale svolgersi del lavoro. Pochi giorni dopo gli operai della ditta Romeo di Milano trovarono la fabbrica presidiata dalle forze di polizia che ne impedivano l’accesso e per ripicco gli  operai occuparono trecento stabilimenti. 
Nuovi  personaggi della vita italiana erano i  capilega, piccoli tiranni rossi che perseguitavano i mezzadri, dando a loro anche pesanti multe, ma il 20 agosto 1920 questi  leghisti uccisero nei pressi di Imola cinque contadini che trebbiavano  il grano. Il 3 marzo del 1921 nel teatro Diana di Milano i rossi lanciarono una bomba tra il pubblico procurando 18 morti e cento feriti. Non c’era da meravigliarsi se la gente applaudiva quando arrivavano le squadre fasciste che randellavano i comunisti e strappavano le bandiere rosse, con una forza pubblica che non sapeva più a chi obbedire
La gente voleva sapere, si chiedeva  il perché di queste azioni criminali. Un problema sindacale finiva per assumere così importanza politica, per cui o il proletariato si organizzava per conquistare con la violenza il potere, oppure il movimento sindacale avrebbe subito un terribile contraccolpo. Il partito socialista e i sindacati non seppero assumersi la responsabilità di una rivoluzione e Giolitti, resistendo alla pressione dell’opinione pubblica, si astenne dal tentare una repressione violenta, lasciando che gli operai si convincessero della inattuabilità dei loro propositi. Mussolini e il suo partito si erano guadagnati in quei giorni la fama di aver salvato il paese dal bolscevismo, non ostante che proprio in quel periodo le squadre d’azione non fossero state particolarmente attive. Dopo la fallita occupazione delle fabbriche era iniziata una palese collaborazione tra gli squadristi  e gli agrari dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto, che non solo li pagavano ma ormai, per essere più sicuri, li ospitavano nelle loro case. Lo stesso atteggiamento venne adottato  ben presto anche dalle varie categorie di industriali. Anche quando il governo richiamava i prefetti ed i  questori per mettere a freno l’esuberanza delle squadre fasciste, i risultati erano molto scarsi, perché la  forza pubblica era ormai favorevole alle camicie nere. Il partito socialista nel congresso di   Livorno del gennaio 1921 si spaccò in due, dando vita al partito comunista italiano e  Giolitti chiese lo scioglimento anticipato della camera. Quando Mussolini nell’aprile del 1921 volle controllare come andava il partito a Bologna, fu accolto da una folla plaudente, che buttava  fiori dalle finestre e sventolava bandiere tricolori. Mussolini, in piedi su di una macchina aperta, con il braccio alzato nel saluto romano, passò lentamente tra la folla entusiasta, con tutta la gente che gridava“ viva l’Italia”. Quel giorno Mussolini incontrò , per la prima volta, quella “folla oceanica”, con la quale poi avrebbe parlato per venti anni.
Alle elezioni del maggio 1921,  Mussolini entrò alla Camera con 35 deputati fascisti, fece un discorso organico, ricco di citazioni, accolto dall’estrema destra con entusiastiche acclamazioni e il  fascismo continuò la sua marcia vittoriosa grazie alla debolezza dei suoi nemici, incapaci  di adattarsi al nuovo modo di parlare con il popolo, il quale, tra lui e il ministro Facta aveva già  fatto la sua scelta. La crisi nel paese aumentava, la democrazia era in pericolo, i vari leaders incolpavano Facta di non essere un uomo energico, di non avere polso e i sindacati,  come ultima difesa contro  le squadre fasciste, organizzarono uno sciopero generale. I fascisti risposero con un ultimatum. Se entro 48 ore lo sciopero non rientrava,  si consideravano liberi di prendere qualunque iniziativa, sostituendosi alle forze dello stato.
Il  3 agosto  palazzo Marino, sede dell’amministrazione comunale milanese, veniva occupato dagli squadristi, la stessa cosa  succedeva a Cremona, a Pavia e a Mantova e il  Corriere della Sera giustificava le camicie nere..
Mussolini durante un discorso tenuto  a Udine nel  settembre del 1922, dichiarava che il fascismo era pronto a prendere le redini del governo e precisava  che la monarchia non rappresentava più per lui un ostacolo, se avesse preso il potere. 
Il  27 ottobre i quadrumviri Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi annunciarono agli italiani che un esercito di camicie nere stava marciando su Roma e quella fu  la marcia più piacevole,  più numerosa e priva di incidenti che  sia mai stata fatta, marcia che Mussolini teneva sotto controllo con lunghi colloqui telefonici con  Salandra e con il generale Cittadini. 
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