parte terza A fai mali no torrat a contu. Far male non conviene. I malfattori prima o poi devono rendere conto della loro malvagità e, seppure riescono ad eludere la punizione umana, non potranno mai evitare la propria coscienza ed infine la giustizia divina. A fai orìgas de butteghèri. Fare orecchie da mercante. È un detto universale. Si dice anche: fare l’indiano o fare lo gnorri. A fini de carràda, a fini de cuppòni. Al fondo della botte… resta soltanto la mota. Si usa questo proverbio per indicare il declino in miseria di un periodo di prosperità. “Spacciàu su piricciòlu, finìda sa festa = finito il vinello, finita la festa”. Il detto invita alla parsimonia ed al risparmio nei periodi di abbondanza, perché ci si deve aspettare i periodi di magra. Vale per la povera gente, quanto per i benestanti. A fortza de scorrovonai ndi bessint is topis a pilu. Rovistando nelle vecchie case escono fuori i topi. Talvolta è meglio non rivangare il passato, perché c’è il rischio che tornino a galla storie poco simpatiche e soprattutto tristi ricordi. A fortza de ti castài portu su tzugu trottu. A furia di guardarti ho il torcicollo. Non si dice del ragazzo che guarda continuamente la propria ragazza, della quale è particolarmente innamorato. Si dice invece di chi è stanco di stare girato a sentire le inutili chiacchiere del suo interlocutore. A fueddus malus origas surdas. A parole poco ortodosse, orecchie sorde. Spesso le persone tranquille, non per viltà, ma per spirito di pace, agli insulti degli attaccabrighe preferiscono fare orecchie da mercante, cioè non rispondere o far finta di non sentire. A gròffus de istàdi, a gròffus de ièrru…Nel bel mezzo dell’estate, nel bel mezzo dell’inverno. Si usa la parola a gròffus per indicare anche quando ci si trova nel bel mezzo di un impiccio, ma anche “a gròffus de sa binnènna” = nel bel mezzo della vendemmia, ed altro. A is murus beccius no mancant is topis. Nei muri vecchi non mancano i topi. Nelle case abitate da tanto tempo non mancano i tristi ricordi. A lìa a cònca; a scaparròni. Non sono proverbi, ma espressioni per indicare due metodi per trasportare un sacco, solitamente pieno a metà o poco più, o anche un fascio di legna da ardere. A lìa a cònca: si lega il sacco ad una estremità, con un legaccio (lìa da liga = spagnolo liga = legaccio), così che si abbia una specie di cappuccio, che si infila in testa ed il carico poggia sulla schiena, anche il collo rimane sotto sforzo. In modo simile su scaparroni(dal genovese scaparron = scampolo): si prende uno scampolo o un grosso fazzoletto o meglio ancora un sacco leggero; che viene più volte piegato e messo sulla parte centrale della testa, da tempia a tempia, sul quale poggia il cappio che si ricava dalla parte mediana della fune, che cinge il fascio di legna. Lo “scaparrone” attutisce così la pressione, sulla testa, del cappio che sorregge il fascio, che per il resto poggia sulla schiena. Quando per il trasporto delle olive raccolte negli oliveti o della legna per il fuoco, non si aveva l’asinello e tanto meno il carro, a cavallo o a buoi, ( autocarri e motocarri non esistevano), su lìa a cònca e su scaparròni erano metodi di trasporto molto utili. A liài e pòni. Prendere e mettere = cambiare continuamente. E’ l’espressione di rimprovero della madre alla figlia adolescente, che non sa quale vestito mettersi per uscire(un tempo la scelta era assai limitata). Questo detto si adattata inoltre a coloro che cambiano continuamente, un po’ in tutte le cose, e non si decidono alla scelta definitiva; anche nella scelta del compagno di vita: per lui e per lei. A lingua tìra, tìra. Ansimando; col fiatone. Si dice di chi si trova in situazione di estrema precarietà, soprattutto economica. Ha lo stesso, identico significato il detto: a cù tìra, tìra = col culo per terra. A luxi de candèba s’orbàci parrit tela. Con la poca luce di un lumicino, l’orbace sembra tela. Come a dire: “Chiudi gli occhi, non badare troppo ai particolari”! Per uno che indossa abiti di orbace (tela ricavata con la lana di pecora non raffinata) si usa il detto: “Fatzat callenti e arriat sa genti”! Rida pure la gente, l’importante è che io abbia caldo. Il detto a luxi…etc. si adatta a molte situazioni, nelle quali la scelta è solitamente limitata e la cui sostanza può essere ciò che hai o ciò che ti offrono. Chi si contenta gode! A medas annus, e si aggiunge…cun saludi. A molti anni, e si aggiunge…con salute. È un augurio di prosperità e di buona salute. Come anche: atrus annus cun saludi. A mesu brenti, ma in su callenti. Con la pancia piena a metà, ma al caldo in casa mia. Su callenti sta a significare anche gli affetti dei propri cari. Similmente: mellus civraxu in domu mia che coccòi in domu allena = è migliore il pane nero in casa mia, del pane di pasta dura (di pura semola)in casa altrui; o anche: mellus un arrògu de pani e ladru in domu mia de petza de sirboni in domu allena = è migliore un pezzo di pane e lardo in casa mia della carne di cinghiale in casa altrui; così anche Ludovico Ariosto: “Mi accontento di un pezzo di pane e lardo in casa mia più che della carne di porco selvatico in casa d’altri. |