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La Centuriazione
Contemporaneamente a queste grandi strade, gli eserciti romani, con la collaborazione degli indigeni galli, ormai sempre più romanizzati, tracciarono un grandioso sistema reticolare di campi, di strade secondarie e di canali disposti molto razionalmente secondo la naturale inclinazione del terreno, allo scopo di favorire il più possibile il deflusso delle abbondanti acque superficiali ed evitare i pericoli dì impaludamento. Tale sistematico intervento nel territorio di Laus Pornpeia (e quindi anche di Vìzzolo) ebbe inizio verso l’anno 89 a.C., quando su proposta del console Pompeo Strabone (al quale deve appunto il suo nome la città), il senato romano concesse il diritto di cittadinanza latina a quegli indigeni che erano entrati nell’esercito romano o avevano rivestito cariche pubbliche. A partire da quell’anno parecchie ricche famiglie latine e romane si trasferirono nel territorio di Laus Pompeia o comunque entrarono in possesso di molti fondi agricoli ai quali lasciarono il proprio nome. Ben noti ad esempio i casi del «gens Mucia», che diede il proprio nome all’abitato di Muzzano ed al canale Muzza, della «gens Balbia» da cui derivò il toponimo Balbiano, della «gens Cornelia», da cui Cornegliano Laudense, ecc. Per quanto concerne il nostro territorio, in particolare, sembra significativa l’esistenza di una «gens Calvia», il cui nome è attestato da una iscrizione latina giunta fino a noi. Anche il nome della attuale cascina Calvenzano potrebbe dunque indicare uno dei numerosi «fundi calventiani» che la suddetta famiglia possedeva (come risulta da un’altra iscrizione latina detta «Tavola di Velleia», risalente al lI secolo a.C.) e dai quali ebbero origine diverse località del lodigiano e del pavese che conservano tutt’ora lo stesso nome romano. A maggior ragione, l’origine del nostro Calvenzano risulta confermata dai diversi materiali archeologici di epoca romana incorporati nella basilica, che molto verosimilmente vennero appunto recuperati sul posto e riutilizzati nell’edificazione della chiesa. Si tratta di coperchi di sarcofaghi in serizzo, di laterizi tipici dell’epoca romana e soprattutto di un frammento di iscrizione dedicata al culto del dio sole. Giacché sappiamo che fu l’imperatore Aureliano nel 274 d.C. ad introdurre, come religione ufficiale dello Stato romano, il culto del dio «Sol invictus Mithra», tale iscrizione ci permetterebbe di datare almeno al III secolo d.C. l’esistenza a Calvenzano di un abitato e di un altare dedicato appunto a questo culto. E poiché poi allo stesso secolo risalgono alcune monete degli imperatori Valeriano e Gallieno rinvenute casualmente nel 1957 a Vizzolo, in via della Chiesa, si potrebbe pensare che anche l’abitato di Vizzolo sia sorto contemporaneamente, come nucleo residenziale della comunità di coloni che lavoravano le terre del «fundus calventianus». Il termine comune «vicus» infatti, da cui derivò il nome di VIGHIZZOLO, indicava in epoca romana il villaggio rurale disposto sui due lati di una strada, ma anche la comunità locale formata da tutti i «vicini» ivi residenti, proprietaria nei dintorni di proprie terre comuni di uso collettivo, solitamente pascoli, boschi e paludi che ai nuovi proprietari terrieri romani non interessavano molto, ma che per i coltivatori locali erano molto importanti per integrare l’economia agricola. Tali terre comuni erano a volte indicate con il nome di «mons», cioè «monte», nel senso figurato di «insieme», «massa», «aggregato», proprio come noi usiamo oggi le espressioni «montepremi» «monteore» ecc. Possiamo pertanto ipotizzare la presenza di queste terre comuni di proprietà del nostro vico nella zona della attuale cascina Montebuono, lungo il corso del Lambro, dove appunto i terreni, impossibili da coltivare per le piene ricorrenti, venivano lasciati incolti, a disposizione dei «vicini» i quali vi praticavano i tradizionali «usi civici», cioè il pascolo, la caccia, la pesca, la raccolta dei frutti spontanei e della legna. Di qui l’aggettivo «buono», che essi vi attribuirono. Il «fundus calventianus», il “vicus” annesso, le relative terre comuni del «mons bonus» costituivano quindi, nei loro rapporti di interconnessione, la possibile organizzazione del territorio di Vizzolo in quel III secolo d.C. che vide, tra l’altro, Il maggior sviluppo economico, sociale e politico di Milano romana, diventata addirittura con l’imperatore Massimiliano Erculeo e poi con Diocleziano, capitale dell’Impero Romano d’Occidente, svolgendo ancora una volta quella funzione di eccezionale crocevia tra il mondo mediterraneo e quello dell’Europa continentale, dal quale già iniziava a profilarsi la minaccia dei barbari. E mai come allora sicuramente la Via Romana ed il territorio di Laus Pompeia diventarono transito di imperatori, di eserciti e di mercanti provenienti da ogni parte dell’impero. Ecco quindi che in quel contesto storico non sorprende ritrovare anche in un piccolo fondo rustico come doveva essere Calvenzano, la presenza di un culto religioso di lontana origine orientale quale appunto quello del dio «Sol invictus Mithra», probabilmente portato da soldati romani provenienti da quelle regioni, come avverrà in seguito anche per la nuova religione cristiana. I legionari romani, infatti, diversamente da quanto si potrebbe pensare, rappresentavano nella società di quel tempo, una casta privilegiata e abbastanza istruita, godevano spesso dei diritti di cittadini romani, viaggiavano e conoscevano il mondo ed erano quindi particolarmente aperti ai valori ed ai problemi spirituali e religiosi. E possibile quindi che un militare romano, magari appartenente alla stessa gens Calvia, forse anche prima del III secolo d.C., abbia fatto edificare questo altare sulle sue proprietà, giacché già nel 69 d.C., secondo Tacito, tutti i soldati di una legione trasferiti dalla Siria in Italia, erano abituati a salutare ritualmente il sorgere del sole, divinizzato secondo il costume orientale.
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