L’itinerario
evolutivo di Antonio Cagnazzi è, per il suo modo di concepire l’arte,
coerente sin dai primi esordi, poiché costante è stato quell’equilibrio
che ha da sempre caratterizzato il suo modo di dipingere. Testimonianza
certa sono le opere eseguite negli anni Settanta ed esposte dal Cagnazzi
in occasione sia dei “Secondo salone degli Artisti melegnanesì”
che sì tenne a Melegnano dal 29 dicembre 1973 al 6 gennaio 1974,
e sia del “Terzo salone” che si tenne dal 28 dicembre 1974 al 6 gennaio
1975, entrambi presso la palazzina liberty dell’Asilo Sociale. Nelle opere
del Cagnazzi esposte sin da questi anni già erano presenti le capacità
di un armonia prospettica nel disegno raccontate con una pennellata leggera,
delicata, quasi invisibile, dove più che il segno emergevano sin
da allora le sfumature. Da questo punto di partenza il cammino di
Antonio Cagnazzi è stato e continuerà ancora costantemente
in continua ascesa. Le innumerevoli indicazioni trovate sui quadri, le
puntualizzazioni sulle varie presenze espositive confermano che la partecipazione
di Cagnazzi alla vita culturale milanese, e non solo, è stata una
presenza costante soprattutto fino agli anni Ottanta. Dalla prima mostra
del 1970 ad Imperia, alle successive rassegne di pittura di Meleti e Como
Giovine, l’artista tenne sempre fede a quel suo dato figurativo che lo
contraddistinse. Questo cammino d’arte, anche se rubato agli spazi lavorativi,
non ha limitato la sua abilità e, pur se svoltosi nell’ambito provinciale
era destinato a rappresentarlo come soggetto inserito, a suo modo, nel
gruppo dei Vedutisti melegnanesi costituito intomo a un’idea portante,
ancorchè non subito chiara né determinata, un gruppo non
dalla fisionomia unitaria, com’era quello dei chiaristi che praticavano
un comune tipo di pittura, ma spinto dal desiderio di esprimere una più
libera opzione artistica, più vicina a quella, se vogliamo, del
gruppo Corrente, dal nome della rivista omonima di Arte Giovanile.
Antonio Cagnazzi, quindi, è l’artista che appunto fa la differenza,
nel senso che non è allineato, con gli altri del gruppo dei Vedutisti
quali: Raffaele Biggioggero, Mario Fasani, Paolo Marchetti, Imerio Recagni
e altri ancora. Nella interpretazione delle tematiche il Cagnazzi
ha sentito impellente la necessità di tradurre l’affetto verso la
sua terra con il pennello e con il cuore. Noi abbiamo approfondito la quotidianità
di queste sue visioni, rinnovando nel ricordo quel sapore d’antico, riassunto
magistralmente nell’armonia dei colori, mai in contrasto, ma sempre e costantemente
sfumati. Certe dissolvenze di tonalità possono apparire in contrasto
con la forza della pennellata ma sono invece la risultante riassuntiva
fra delicatezza d’animo ed entusiasmo pittorico; sono come un riassopimento
riflesso di quella liricità agreste che, vissuta prima nell’anima,
dove ribaditi quei particolari veristici che costruiscono la personalità,
la rispecchiano riflessa con entusiasmo nelle tele. Antonio
Cagnazzi semplifica l’immagine descrittiva, in un analisi dell’uso perfetto
del colore, stemperata e tesa a superare la soglia di quel decorativismo
abituale, rigoroso nel contenuto, ma libero nell’uso espressivo di una
pennellata, ribadiamo, ancora velata. In questa semplicità va valutato
l’artista melegnanese che è stato ed è sempre modesto nella
vita, ma eloquente nel suo discorso pittorico. Ragionevolmente la stesura
è breve e l’immagine assume una speciale valenza che quasi smaterializza
le forme controllandole però nella luce. Una realizzazione diventa
artistica se consiste non solo nella stesura imitativa o interpretativa
della realtà ma quando a queste si amalgama inscindibile la capacità
di fare intuire quelle condizioni che hanno spinto l’artista ad estrinsecare
l’emozione che il reale ha suscitato per stabilire di renderlo soggetto
del dipingere. Capire quei momenti significativi vuol dire conoscere le
radici del suo creare per leggerne appropriatamente il risultato. Nei diversi
dipinti ad olio dell’Artista, quasi nulla è fuori posto e sempre
l’interpretazione del soggetto non ha la sua imitazione, si affida alla
nostra presenza, riflessa in memorie lontane ma viva nella forza della
pittura. Dopo qualche anno di inattività, all’inizio degli anni
Novanta, Cagnazzi riprende il discorso pittorico più motivato di
prima e quando, nel 1995 partecipò alla prima grande mostra itinerante
in America patrocinata dalla Cujam Entrerprisses, il nuovo esordio alla
pittura dell’artista, pareva suggerire un tipo di ricerca formale condotta
sul filo della sperimentazione post-impressionista, la sua prima opera
usata quale identificazione della sua pittura fu un dipinto raffigurante
proprio il Castello Mediceo di Melegnano (olio su tela 60 x 40). Ma quel
dipinto ed altre opere ad esso contigue, saranno destinate a segnare un
momento, non privo di slancio, che resterà una costante del cammino
della sua pittura. Nei quattro anni che intercorrono tra l’esordio americano
e l’opera attuale del pittore melegnanese, si fa strada in Cagnazzi la
piena consapevolezza della sua fresca vena di artista e del linguaggio
entro cui si va trovando la più consona espressione: un tipo di
pittura che risale alle fonti della sua primaria pittura, pur senza rinunciare
all’equilibrio compositivo e alla solidità dell’impianto formale,
propri della tradizione vedutista. Per cui la sapiente, sottile incessante
velatura timbrica, che muove da queste premesse, si risolve in una sintesi
di forma e colore dal sapore avvolgente. “Il castello” diventa così
un dipinto emblematico della scelta linguistica ora compiuta dal pittore,
all’interno del quale diventerebbe gratuito ricercare un percorso stilistico
connotato da svolte significative. Questo senso della forma adottato da
Cagnazzi, è sostanziata dal mobile dialogo della luce con il colore,
divenendo premessa inderogabile e che, nella varietà degli esiti,
resta una sorta di costante, come sottratta al mutevole corso del tempo.
Antonio Cagnazzi, tuttavia, è pressochè sconosciuto, oggi,
come artista per i suoi concittadini melegnanesi, mentre così non
è per altre realtà. Infatti già dall’inizio degli
anni Novanta, Cagnazzi ha presenziato in diverse mostre ed esposizioni
in paesi dei centro-sud America. Una, fra le più importanti, il
pittore melegnanese, l’ha tenuta nella città de La Habana nell’isola
di Cuba il 25 ottobre 1995, dove ha ottenuto un importante affermazione.
Radio e giornali dell’isola caraibica hanno esaltato sia la plasticità
delle arti figurative, che la sua vena poetica. Nella registrazione auditiva
infatti il commentatore radiofonico presentava l’Artista come un “...hombre
cuya personalidad atrayente, seria, trabajadora y modesta, es por si sola
digna de haber venido hoy hasta aqui; y la cuarta oportunidad unica es
al mismo tiempo un privilegio quiza tan atrayente como las anteriores...".
Antonio Cagnazzi è altresì presente a La Habana nell’isola
di Cuba al “Centro Internacional De Prensa” per un’ Exposicion multidisciplinaria
dal titolo “Encuentro” de artes plasticas y artes aplicadas. In tale occasione,
per opera dei dott. Moraima Diaz Rodriguez, venne approntata una pubblicazione
in brossura nella quale compare el señor Cagnazzi in un’ampio comentario.
Affronta ancora una volta il giudizio degli appassionati con un’ altra
mostra itinerante nel 1997, sempre in centroamerica quale riferimento antologico
dei suoi circa trent’anni di attività artistica. Antonio Cagnazzi
è stato, oltre che amico, compagno di studio dell’autorevole maestro
livornese Paolo Marchetti con il quale ha diviso i primi rudimenti sulla
pittura. Svilupperà tale vocazione, educando e disciplinando l’attività
pittorica con una sacrificale dedizione già dalle prime composizioni,
dedizione che ha supplito ad una non felice dotazione economica del contesto
familiare in cui si trova. Ma queste incertezze non hanno lasciato traccia
nella sua espressione artistica che anzichè farsi dura e spigolosa,
densa di allusioni pessimistiche, diversamente si distende serena e rasserenante
pregna di calore e di figurazione edificante. Nell’analizzare
le sue composizioni pittoriche pare di cogliere nel “colore velato” un
sentimento di dolcezza. Raramente possiamo dire che un espressione artistica
abbia corrisposto così appieno una realtà caratteriale consapevole
di una propria naturale capacità di raffigurazione pur nella poliedricità
del risultato. Lo attesta, in primo luogo, la scelta dei soggetti prevalentemente
raffiguranti paesaggi, cascine, vie, scorci naturalistici e vedute lacustri,
che in altro modo connotano la sua personalità umana ed artistica.
Emerge su tutto la sciolta padronanza con la quale, “el señor” Antonio
Cagnazzi, conduce le sue nature morte, con particolare riferimento alle
composizioni floreali. Alla distribuzione dei componenti sempre relati
all’aurea triangolazione compositiva, si associa un raffinato senso cromatico
che sull’oscurità del fondo accende di toni vivaci, ma rattenuti,
dei singoli elementi della figurazione. Questi ultimi infatti sono talvolta
illuminati di colori vivi e vitali mai tuttavia smaglianti o squillanti,
ma presentati come se fossero “velati” da una patina di malinconia che
attribuisce all’opera un che di arcano e di misterioso. Un’altra parte
della produzione artistica è costituita, come abbiamo già
detto, dai paesaggi dove Cagnazzi ribadisce la sua vocazione coloristica
che qui, meglio che in altre tematiche, gli consente di rendere con tipici
effetti d’atmosfera scene di una realtà personalmente rielaborata
e soffusa, ancora una volta di toni morbidi ed avvolgenti. Una luminosità
diffusa ed una naturalezza d’immagine confermano la sua collocazione in
un post-impressionismo non di rado innestato su una tipica matrice di gusto
toscano. Nella seppur limitata varietà delle rese cromatiche,
o delle discutibili angolature prospettiche che inquadrano il campo visivo,
sarà vano ricercare la resa immediata di un’azione in svolgimento
o una “tranche de vie” trasposta sulla tela nel rapido guizzo di un momento
fuggevole, perchè l’approccio del pittore con il mondo della natura,
che si dispiega nella fragranza del suo incontro con la luce, sembra piuttosto
obbedire alle leggi segrete di un tempo interiore, lentamente emergente
dai recessi dell’anima. Così che la qualità della pittura
di Antonio Cagnazzi non sta in una sorta di distillato concettuale, elaborato
dalla mente con intellettualistico distacco, ma al contrario nel suo senso
d’interpretazione della natura. Un’altra peculiarità, più
o meno nascosta, di Cagnazzi è la vena poetica, per la quale noi
riportiamo, in conclusione di questo scritto quanto affermato in proposito
su “El habanero” di viernes, 17 de noviembre de 1995, dove, Mario Hubert
Garrido ci propone l’itinerario poetico dell’artista melegnanese, mentre
Ricardo Alonso Venereo dedica al Nostro un’ampio reportage dal titolo “Amor
y poesia en Antonio Cagnazzi” dal quale attingiamo quanto segue: “...durante
el encuentro, en el que estuvo presente Orlando Chàvez, director
del Centro Provincial del Libro y la Literatura en la Habana, junto a especialistas
de la referida instituciòn y artistas plàsticos de la localidad,
el señor Antonio Cagnazzi leyò algunos de sus poemas contentivos
en un pequeno volumen, que luego donò para los fondos ...
como su pintura te traslada a los sentimentos espirituales màs profundos
del ser humano...". |