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Gianni Zuccaro (1904 - 1990) |
Gianni Zuccaro ha rappresentato il tipico "illustre inconnu" fra gli artisti melegnanesi del Secondo Novecento, è curioso il destino, che la nostra cultura artistica nelle sue attuali condizioni, riserva agli scultori e pittori che amano e coltivano, come Zuccaro, una forma di espressività appassionatamente figurativa, rifiutandosi di aderire alle pasticciatissime genericità che oggi vanno di moda. Sono gli artisti come il nostro Zuccaro, che così intimamente sentono la carica emozionale del lavoro ed hanno creduto alla sua universale valenza di testimonianza lirica e fantastica, sono stati in qualche modo costretti a lavorare in difesa, quasi a sentirsi in minoranza estranea o intrusa in un ambiente occupato invece da una maggioranza rumorosa e superficiale. Gianni Zuccaro è quindi un artista che più di ogni altro ha presenziato sulla passerella dei grandi maestri in "silenzio" per questo a nostro avviso merita più di ogni altro un ricordo della sua opera disseminata nella nostra Melegnano. Giovanni Zuccaro detto Gianni melegnanese di adozione, nasce a Milano il 15 dicembre 1904, suo padre Guido fu il famoso pittore e istoriatore delle vetrate artistiche del Duomo di Milano. Gianni ebbe oltre la pittura, un'altra preminente passione nella sua vita: la musica. Era altresì appassionato delle opere del poeta dialettale Carlo Porta (1775-1821), per questo era solito canzonare sulle rime del poeta o raccontare , in pieno umorismo , le buffe angherie alle quali venivano sottoposti i milanesi dagli occupanti austriaci che somministravano regolarmente il danno e poi la beffa, quando il poeta si vedeva però alle strette soleva dire: "...gh'hoo mièe, gh'hoo fioeu, sont impiegaa..." parafrasando con ciò la stessa filosofia del pittore melegnanese. Zuccaro fu un buon conoscitore di Fernand Hodler, forse il più grande pittore che la Svizzera abbia avuto nello scorso secolo, di questi il Nostro tenne conto della sua poetica anche da pittore storico, rivisitando gli episodi che proponeva e dei quali ricavò un'ottimo insegnamento (si veda la "battaglia del Purton". Zuccaro ha rappresentato nelle sue scelte pittoriche un'arte lineare, nel segno tradizionale del post-impressionismo, così come è lecito leggere dai suoi dipinti. Il pittore Gianni Zuccaro si trovò a Melegnano a causa dello sfollamento da Milano del padre Guido in seguito ai bombardamenti aerei dell'ultima Guerra Mondiale (1940-45); lo accompagnava anche il fratello Giorgio. Tutta la famiglia quindi prese alloggio in Castello in un locale messogli a disposizione da Angiulin Biggiogero. Il sogno di papà Guido era il vedere i propri figli Giorgio e Gianni intraprendere gli studi in musica, ma Giorgio dopo aver frequentato la scuola di un famoso liutaio milanese preferì la carriera bancaria, mentre Gianni, frequentato il conservatorio, divenne un brillante professore di violoncello. Nel 1929 a soli venticinque anni, improvvisamente Gianni mise da parte il violoncello e decise di seguire l'arte del padre e si convertì alle arti figurative per il resto della sua vita. Suoi maestri furono, come abbiamo già detto, il padre Guido, oltre allo scultore Pancera, autore del monumento alla Vittoria che si trova nella piazza principale di Monza. Annoverava fra le sue conoscenze anche la preziosa amicizia con Carrà e con Arturo Martini. Dopo il tourbillon degli anni giovanili Gianni si affermò definitivamente come pittore in continuazione al mestiere del padre e per questa rinomanza ebbe a trasferirsi per lavoro in Sudamerica a San Paolo del Brasile dove fra il 1955 e il 1957 realizzò, tra l'altro, le vetrate sia della Cattedrale che di un grande ospedale cittadino. Da una ricerca effettuata all'ufficio Anagrafe del Comune di Melegnano Gianni Zuccaro risultava abitante in Via Giuseppe Dezza al civico 55, iscritto da Milano in data 4 agosto 1962, coniugato con Hera Berta svizzera di origine ebrea. Ma quando Zuccaro rientrò dal Brasile inspiegabilmente tornò a Melegnano, dove per qualche tempo alloggiò presso l'Albergo Madonna che si trovava all'inizio di via Roma (lato verso Milano). Gli anni successivi però lo condussero a vivere da solo, in povertà, trascorreva la giornata a far quadri il cui unico diversivo erano le visite consentite ai pochissimi amici fra questi l'Oldani il dottor Bozzini, il rag.Chiarion il geom.Rossetti e l'allora quasi sconosciuto pittore Marchetti oltre il già citato Carlo Porro. Il Comune di Melegnano gli concesse in tempi piu' recenti un alloggio per una sistemazione più consona confacente ad una sorta di "notrecht" di Hegeliana memoria. Gianni Zuccaro non ebbe annoverate nel suo palmares molte mostre o iniziative artistiche atte a far conoscere la sua pittura, per quanto fervessero, invece, nel suo studio le discussioni, gli incontri le letture e le riflessioni. Diversi furono i melegnanesi adepti degli Zuccaro: fu allievo del padre Guido il pittore melegnanese Carlo Biggioggero (1902-1981), mentre allievo di Gianni fu Carlo Porro il bravo pittore del burgh del Lamber che ha , nei suoi dipinti, in parte ripreso l'esperienza e l'arte del Nostro. Le tematiche dell'artista melegnanese furono svariate, la predilezione andava sempre al paesaggio ed alle figure di arte sacra. Fra queste composizioni vi è un dipinto di Gianni Zuccaro che fu acquisito per ornare la chiesetta dell'Oratorio di San Giuseppe di via Lodi. Si tratta di una rappresentazione di una crocefissione raffigurante l' Ecce Homo con ai piedi la madre Maria e San Giovanni Apostolo: le dimensioni dell'opera è di un metro di altezza e circa mezzo di larghezza. La rappresentazione corrisponde ad un olio che Zuccaro aveva composto in Brasile negli anni Cinquanta, come episodio centrale di un trittico che contemplava, inoltre, una natività ed una resurrezione. Le tre tele costituivano uno studio per la realizzazione del trittico in vetrata. Diversi altri dipinti sono rinvenibili da collezioni private tra i quali ricordiamo: "il bar del tram" olio su tela 30 x 50, "la chiesetta di San Rocco" con lo scorcio del fabbricato in costruzione sul lato sinistro olio su tela 30 x 50; "paesaggio lacustre" riferito a vari dipinti riproducenti località svizzere. In una serie di dipinti di paesaggi alpini voleva ripetere l'esperienza vissuta dal Segantini, producendo gli ultimi capolavori: "l'amore alle fonti della vita" e il trittico delle Alpi: "la natura"," la vita" e" la morte". In tutti questi dipinti è tutt'ora rinvenibile una sorta di febbrile determinazione a ricavare e riprodurre le località da lui prescelte senza mai abbondare nell'enfasi espressionistica, era solito colorare le acque lacustri in modo variopinto prediligendo con ciò i colori violacei. Pigmenti violentemente e vulutamente accesi , acidi che si distribuiscono in uno spolverio di spatolate o di grassi colpi di pennello come in un risoluto e taciturno combattimanto tra l'epidermide della composizione , le prospettive e i giochi di luce, fino a che ne risultano, tutte insieme nell'esito finale, irritate in ogni tratto. Verdi marciti, rossi, gialli dorati o sporcati da fonde ombre accese di violetto e di cobalto s'inseguono da un punto all'altro dell'immagime, si dividono e si rimpastano nei rivoli della definizione plastica come tesserine di un mosaico. Eppure, malgrado le iperboliche tensioni che Zuccaro ricerca e lascia crescere nella sua pittura, malgrado l'incalzante ridondanza formale di taluni suoi ritmi, l'effetto finale e complessivo che questi dipinti lasciano negli occhi dello spettatore non distratto è quello, sempre, di una misurata, sobria concentrazione sul tema poetico dell'uomo e del suo simulacro. In tutta la sua opera vi è il sentimento vivo dell'essere pittore, sensazione che non è data incontrare di frequente, purtroppo nel nostro panorama pittorico. Un sentimento di responsabilità totale verso un'arte accolta come scelta di vita. Un sentimento di puntigliosa affermazione figurativa per il quale il problema dell'espressione non è solo affare di gusto, non è solo naturale disposizione della mano, quel che distingueva Zuccaro dagli altri pittori del suo tempo è proprio questo. Gianni Zuccaro è stato un'artista che non ha esposto altro che sè stesso, la propria solitudine, la ritrosità ai riflettori di un successo non confacente alla sua filosofia di vita, era per questo solito dire: "...calmi...che la pubblicità serve solo a vendere quadri e non a migliorare la pittura..." . E questo clima di sobrietà, questo "silenzio" lasciato negli occhi occhi dal pur grande clamore delle tinte , dal concerto sonante dei suoi gesti , è infine la maggiore , anche se più segreta, qualità del suo lavoro. Gianni Zuccaro muore a Melegnano in estrema povertà l'8 febbraio 1990, le sue povere cose saranno raccolte dalla moglie accorsa per l'occasione, mentre viene donato alla locale associazione di pittori il suo cavalletto. Egli avrebbe senz'altro intonato il motivetto del suo tanto amato Carlo Porta che diceva così: "..comenza in prima a spacciugà al pennel in la seggia del negher, e picciura la cà in dove sont staa....la cà gh'ha ona porta scura....pover lu quell che va dent ! ...." |
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