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Antonio Napoli
Antonio Napoli è un fotografo amatoriale che in questi ultimi anni ha progressivamente affinato, attraverso la ricerca, i risultati delle sue composizioni, che a nostro parere si possono definire, senza dubbio alcuno, come "composizioni astratte"; queste sembrerebbero essere le tematiche che predilige, anche se non disdegna affatto anche la concezione e lo sviluppo della fotografia in senso "classico".
Spesso la critica qualifica come "composizioni astratte" quello che può, in altri termini, essere definito anche come puro gioco formale, dove spesso è difficile, ed a volte anche impossibile, identificare precisamente gli oggetti che sono proposti, di cui se ne percepisce la traccia, come l'ombra bianca, piuttosto che un segno apparentemente geometrico, più o meno deformato, tutti definibili in senso generale come: cerchio, griglia, spirale ecc. Il fine dell'operazione non ha niente a che vedere con la ricerca della rassomiglianza, della fedeltà, della riproduzione tout court, anzi, si tende a ricercare effetti e luminosità fuori da una propria mimesi realistica.
Nel fotogramma, che Antonio Napoli ricerca, conta soltanto il principio del c.d. deposito della sedimentazione, dei giochi virtuali ricercati e creati appositamente, soprattutto cogliendo uno solo dei particolari del soggetto da rappresentare (es. gli occhi, le labbra ecc:). Così l'immagine fotogrammatica non rappresenta altro che tracce fantomatiche di oggetti che nella loro materialità vengono colti e rappresentati, attraverso la fotografia dell'Artista melegnanese, nella loro immaterialità di effetti, di intrecci, di modulazioni, di sfumature, di trasparenze ed infine di deformazioni. 
Laszlò Moholy-Nagy, dapprima pittore, abbordò alla fotografia proprio attraverso il "fotogramma" (Laszlò è considerato uno degli inventori di questo genere) riassunse il procedimento in una sua celebre formula: ".fotografare, è strutturare per mezzo della luce..(.).il fotogramma è l'essenza stessa della fotografia". Il fotogramma appare e viene descritto qui letteralmente come una vera e propria impronta.
Avendo così, se non eliminata, per lo meno spostata e sistemata al suo giusto livello, la questione della mimesi nella fotografia del Nostro, tolta così l'ipoteca della rassomiglianza analogica, possiamo abbordare con più serenità le altre conseguenze che derivano da questo puro segno fotografico. A partire dal momento in cui si considera che l'indice (l'immagine fotografica nella circostanza) si definisce costitutivamente come impronta fisica di un oggetto reale che è stato là in un dato momento di tempo, diventa evidente che questo marchio indiziario è, nel suo principio, unico: esso, infatti, non rinvia che ad un solo referente, il "suo", cioè quello stesso che lo ha causato. La traccia (la fotografia) non può essere, nel suo fondo, che singolare, tanto singolare quanto il suo stesso referente. In quanto rappresentazione per contatto, essa non significa subito un concetto; essa designa, prima di ogni altra cosa, un oggetto o un essere particolare, in ciò che esso ha assolutamente individuale.
Ed infine concludiamo queste considerazioni, senz'altro positive, sui fotogrammi proposti da Antonio Napoli nella sua raccolta "Poesia dei dettagli" (pubblicata e disponibile per una più accurata visione anche su internet ) con una implicazione dal tratto filosofico, che ben si attaglia al Nostro, tratta da "La camera chiara" di Roland Barthes che così recita: ".ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente !.."
Melegnano, 10 aprile 2003
dott. Vitantonio Palmisano
(ricercatore e critico arti figurative)
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