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Giuseppe Motti ( 1908-1988 )
E' dal 1955 che Giuseppe Motti inizia concretamente a raccontare, per mezzo della sua espressione più congeniale, la pittura, la sua tematica particolarmente cara e preferita su: "il fiume Po". Proprio questo definisce Motti  "il pittore del Po" per essere nato sulla riva del fiume e  per aver fatto del fiume e della sua gente, i protagonisti di quadri immemorabili. Nei suoi dipinti inondati di luce, l'uomo è raffigurato in un atteggiamento di comparsa quasi fantasmagorica, i barcaioli del Po consumati dal tempo sono raffigurati nel loro ambiente naturale, fatto di paludi, arenili e vegetazioni fluviali, effettuando così la coniugazione del fiume agli uomini.  E' proprio questo il punto di inizio di un discorso vasto e inesauribile sul tanto amato fiume Po: "....il tema a me piu' congeniale (dice lo stesso Artista) è il Po, col suo fondo di ghiaia e di sabbia, i suoi argini insicuri, le sue folte pareti di pioppi così piene di mistero, le sue rive di saggina, il dilagare potente e sconfinato alla foce, la sua luce a specchio e, soprattutto, con la sua gente. Quella gente in mezzo alla quale ho trascorso la mia magra infanzia, che ho portato nella mente e nel cuore come fantasmi e in mezzo alla quale sempre torno per necessità di vità.....".  Il Motti è stato fra i pochi pittori d'avanguardia, riconosciuto nei "Chiaristi",  a tornare assiduamente  su soggetti e ambienti padani non solo nel periodo giovanile, quando era fresco e intriso di letture .  Giuseppe Motti nacque ad Arena Po nel 1908, nel periodo adolescienziale dopo le scuole dell'obbligo frequenta l'Accademia "Braidense" di Milano, successivamente interseca la sua vita artistica con diversi gruppi e movimenti artistici fra cui gli "astrattisti di Como", il gruppo della "scuola Romana",  il gruppo lagunare della "scuola di Burano" e altri ancora.  L'intero percorso artistico della sua opera fu costellato di dipinti  nei quali la concezione che li sostiene coincide con l'intima vibrazione spirituale che il maestro  colse nei pittori del primo Novecento, quali, fra gli altri, l'opera del maestro Lilloni, puntando l'attenzione specialmente sull'aspetto umano , nel quale riconosceva una corrispondenza di sensibilità oltre che formale.  Giuseppe Motti si manifesta da subito attentissimo al variare delle esperienze pittoriche che si susseguiranno , s'impegnò fervidamente nella ricerca di una nuova espressività, sempre desunta da precisi riferimenti e rapporti con il mondo reale, che lo porterà attraverso varie esperienze  alla maturazione di una singolare e personale qualità pittorica, eppure già nei primi quadri sono perneati, forse più di quelli più recenti, da una vibrazione commossa che rappresenta una sorta di "regula", cui non rinunciare.  La tematica del fiume a lui preferita fu dallo stesso pittore ricordata e ribadita più volte nei suoi scritti: ".....Parlare dunque del Po, col linguaggio che mi è proprio, cioè con la pittura, significa parlare di loro: dei braccianti, dei boscaioli, dei barcaioli, dei renaioli, delle ragazze e dei giovani che di sabato e di domenica "vanno a Po" dalle borgate o dalle città della Padania, degli uomini all'osteria, dei bambini lungo gli argini in cerca di nidi, oggi come ieri; in una parola: della gente che sul fiume fatica, si incontra, ama, ride, soffre, gioisce. E più mi addentro nel discorso e più lo scopro vasto e inesauribile....".  La fase più decisiva e più interessante artisticamente fu quella del "secondo dopoguerra" , dopo il periodo in cui fu impegnato nella resistenza in Val d'Ossola, Giuseppe Motti partecipa e diventa animatore del movimento "realista" costituitosi a Milano presso la Galleria Borgonuovo. Questi sono gli anni in cui l'Artista si impegna fervidamente nella ricerca di una nuova espressività, sempre desunta da precisi riferimenti e rapporti col mondo reale, che lo porterà attraverso varie esperienze alla completa maturazione di una singolare e tutta personale qualità pittorica.  Questo fu peraltro il periodo più profiquo per l'Artista, documentato da innummerevoli dipinti, che riporterà sul piano dello stile la fonte primaria della sua seduzione; a nostro giudizio Motti ebbe a operare una sintesi rivoluzionaria dello spiritualismo dei simbolisti e del naturalismo degli impressionisti in un coniugio tutto suo. Questa nuova concezione spirituale il Nostro  la ebbe a collaudare proprio a Melegnano, quando diede appunto vita a una serie di quadri che pur non tradendo la matrice impressionista, si rivestono di valori simbolici, si trasfigurano alla luce dell'immaginazione, risalendo alle origini di una purezza di forme: le immagini sembrano così spogliarsi di ogni dettaglio invadente, si semplificano anche attraverso il colore, depositato sulle tele anche a larghe campiture. Giuseppe Motti fu anche melegnanese di adozione per affetti familiari e per durature amicizie; le sue opere, che possiamo  definire filosoficamente l' autoriproduzione hegeliana del suo "spirito", ovvero la completa autorealizzazione del suo essere pittore, sono anche  fra noi.  Quando si parla poi di Motti, della sua inconfondibile "traccia" lasciata negli anni di sua permanenza a Melegnano, sovviene spesso la connessione analogica del "culto del fiume" più volte ricordato  dal poeta Guido Oldani, anch'egli nato sulle rive del Lambro alla "Ca' Bianca". Da pittore intellettuale quale fu Motti non poteva non entrare in contatto con una cerchia di letterati, pittori e artisti, fra i quali ricordiamo l'allievo melegnanese Annibale Follini, poi il maestro di pittura Paolo Marchetti, ma anche la frequentazione di Mario Monteverdi e Raffaele De Grada sarà significativa nello sviluppo della sua poetica un po' trasognata. Poichè la narrazione che si dispiega nei suoi quadri è sempre soggetta al codice di un immaginario, nel quale le figure paiono galleggiare nella dimensione di un sogno a occhi semichiusi, che ne riduce la consistenza terrena e ne esalta le proprietà sovrannaturali. Motti muove dalla convinzione che l'arte possiede una valenza simbolica congenita, e come tale non si esaurisce nell'espressione di forme che vivono autonomamente, bensì il suo senso estremo è di stringersi in un rapporto infinito con il suo fiume. Di ricorrente attualità sembra ancora essere un'affermazione che il Maestro fece nel lontano 1971: "......Il Po che dipingevo anche solo qualche anno fa non è più quello che dipingo oggi. La mia tavolozza si è fatta più violenta, ha un linguaggio più drammatico;  anche il momento dell'abbandono lirico ha sempre un elemento di rottura che ne segna la precarietà, perchè la vita di quella gente, la nostra vita, è sovrastata dal dramma della precarietà; perchè il pericolo di una lenta distruzione della natura intorno all'uomo ci fa tutti più o meno consapevolmente rabbrividire. E allora in me insorge la necessità di porre i miei uomini, i miei personaggi, come simboli della continuità della vità, di farli parlare con la staticità e la fermezza di statue che restano...".  L'itinerario artistico di Giuseppe Motti si chiude definitivamente con la sua morte avvenuta a Milano il 15 aprile 1988, mentre la sua opera, come quella di ogni autentico artista, resta, per continuare a vivere nel tempo. Sembra che anticipando ogni spasmo di realtà ora il Motti ci voglia ricordare i suoi grandi spazi delle acque e del cielo ove liberava il suo eterno stupore un'uomo di fronte alla natura, quasi un presagio di dissolvenza finale.
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