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Agnolo Martinenghi 
Agnolo Martinenghi è il "decano" dei pittori melegnanesi e come tale la sua opera comincia  da lontano, quasi sessant'anni fa.   Un personaggio complesso nel suo genere, le cui composizioni e studi di figure, non nascono per caso, ma vengono dall'esperienza rigorosa dell'Accademia "Braidense".  L'arte pittorica gli deriva dai  trascorsi sullo studio del disegno, accompagnato sia da una grande manualità artigiana  sia dalla contiguità con il padre già affermato pittore frescante. Aveva poco più di sette anni quando la crudezza della vita gli si parò dinnanzi, ancorchè giovinetto si ritrovò di fronte all'impatto dalla prematura morte di sua madre.  Italo Martinenghi, padre di Agnolo, si era unito in matrimonio con Ermelinda Barbieri nel 1903 da tale matrimonio ebbe tre figli: Anita nata nel 1905, Agnolo nato cinque anni dopo ed infine Ercolana nata nel 1913. Con la prematura dipartita di Ermelinda, dopo soli quattordici anni, la famiglia si sfaldò e ad Agnolo non rimase che appoggiarsi da qualche magnanimo parente fra cui la scelta dello zio Amilcare fratello germano del padre.   Agnolo compie, in età scolare, gli studi liceali con la professoressa Bernasconi, poi nel 1932 frequenta l'Accademia di Brera con l'amico Enrico Oldani,  dove acquisisce la prima erudizione artistica sotto la guida di Aldo Carpi e Umberto Lilloni. Successivamente sappiamo che il Decano melegnanese ottenne l'abilitazione all'insegnamento che esercitò in vari Licei Artistici fino al 1942.  Conobbe diversi pittori e scultori melegnanesi di inizio secolo fra cui Francesco Fiocchi, Ester Bassi De Mita, Vitaliano Marchini, Gianni Zuccaro, Carlo Bigioggero, Enrico Oldani e Antonio Caminada.   Quando Martinenghi cominciò a destreggiarsi nella pittura intorno a sè vide nascere tanti movimenti di artisti: egli stesso lavorava sulla composizione artistica e cominciò ad immergersi nella parte non risparmiandosi mai. Visse da subito pienamente integrato all'interno della sua società,  società questa che è rimasta sino ad oggi, proprio come Agnolo Martinenghi, che ha superato abbondantemente gli ottant'anni di età. Se si osservano poi attentamente i suoi lavori, dipinti o disegni, lo si vede con chiarezza. I suoi occhi sono rimasti limpidi, anche nel lungo cammino non hanno cessato di indagare, hanno esaminato le superfici dell'avventura umana, come gli occhi di tutti noi,  scendendo costantemente in profondità. Non tutti lo sanno fare.  Anche pittori e scultori di grande maestria spesso si fermano. Figurativi o non , ci stupiscono con le loro invenzioni formali e plastiche, ma di rado toccano le corde della poesia, di rado ci commuovono. Eppure sembrano lì, sembra che esprimano i nostri stessi sentimenti, li vediamo muoversi  nella nostra stessa società.  Ma sono loro che, pur avendo possesso degli strumenti, intelligenza per usarli, cultura e conoscenza del mondo, non sono in grado di affrontare la più importante delle realtà: l'interiorità psicologica dell'uomo.  Restano decorativi. Guardano e non vedono, o quanto meno sono molto miopi. Non sono pittori, dipingono.  Agnolo Martinenghi nasce a Melegnano il 28 agosto 1910 nella plaga dell'alto lodigiano, terra di fatiche contadine e lotte politiche, ha vissuto come molti le tragedie della guerra, vivendole sulla propria pelle. 
L'8 febbraio 1943 sposa una ragazza dolce e volitiva, Annunciata Bellia detta "Nuccia" nata a Sant'Angelo Lodigiano nel 1915. Il matrimonio fu celebrato da don Mario Ferreri nella Chiesa di San Giovanni Battista già preposituale di Melegnano, la nuova famiglia eleggerà come primo domicilio una casetta situata in via G.Frassi, poi si trasferirà in via B.Miracoli, indi nel 1967 l'attuale residenza in via Clateo Castellini al civico 90.  Nel 1946 riprese l'attività lasciata dal padre di restauratore e affrescatore che cessò definitivamente solo nel 1978.  L'attività di artigiano del resto era peculiare per quelli delle generazioni di inizio secolo che, nel periodo della ricostruzione e nel successimo boom economico, erano sballottati qua e là dalla vita e dalle diatribe artistiche e artistico-politiche: realismo, realismo sociale, realismo esistenziale, astrattismo, informale. Guttuso dettava legge, Fontana proclamava la nuova era, gli astratti si chiamavano concreti, il gruppo dei "chiaristi" era considerato passatista, quello di "Corrente" era verso la fine e non si accorgeva di esserlo. Le onde si accavallavano diffusamente e con rapidità.  Si susseguivano le battaglie verbali. Da un mese all'altro nascevano movimenti e si firmavano manifesti: pareva d'essere tornati agli anni Dieci. Erano tempi dove si imparava un po'  da tutti, si partecipava al moto delle idee, e si continuava a lavorare in una soffitta o in uno scantinato a volte con due o tre giovani negli stessi locali.  Agnolo, di quegli anni, avrebbe potuto essere come Georg Grosz o Otto Dix: ironico, sarcastico, violento, nella denuncia. Ne aveva i numeri e gli argomenti. Non era uno che si rifugiasse nella metafisica, nel surrealismo, nell'astrattismo, oppure rincorresse le avanguardie. La pittura di Martinenghi, almeno per un  primo periodo, riuscì ad evitare tutto ciò. Riuscì sapientemente a collocare una pittura  di espressioni poetiche sia che fossero nature morte, sia  delle composizioni  di fiori, dei paesaggi, sempre ben dipinti e delicati nella proposizione. Sfuggì anche dalla tentazione del decorativismo.
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