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Vitaliano Marchini (1888 - 1971)
Strano destino quello occorso a Vitaliano Marchini che, pur trovandosi al posto giusto nei momenti giusti , e avendo giocato bene le sue carte in situazioni difficili, non si è visto riconoscere quel ruolo di primo piano da lui svolto fra i primi del Novecento sino al secondo dopoguerra. Solo ora, la statura e la versatilità dello scultore melegnanese, sono restituiti alla storia. Il suo caso rientra infatti nella lunga tradizione degli artisti "braidensi" e "ticinesi" tutti destinati a raggiungere la fama o almeno una buona affermazione lontano dai loro confini della loro Patria d'origine. In realtà Marchini era assai noto agli addetti ai lavori, capitando a chi studia più approfonditamente le vicende artistiche italiane della prima metà del XX secolo, di imbattersi in lui come referente di chi avesse avuto rapporti con l'ambiente milanese. Per esemplificare Marchini con un'olofrasi è sufficiente ricordare alcune delle sue significative opere: "La condanna di Caino" , "L'arcangelo Gabriele" e "San Bernardo"; la prima opera è inserita nel fondale di un'Aula del Tribunale Penale di Milano, le altre due fanno parte dei pinnacoli del Duomo di Milano. Tracce dell'arte marchiniana si trovano ovunque sul nostro territorio, ciò è dovuto anche al fatto che il Nostro ha prodotto molto  quantitativamente, tutto ciò lo ha portato, di riflesso, a ricoprire via via sempre più importanti ruoli sia istituzionali che cattedratici. Antonio Vitaliano Marchini nacque a Melegnano il 18 febbraio 1888 da genitori di modestissime condizioni sociali; il padre Angelo era oriundo di Carpiano ed esercitava l'arte del cordaio, la madre Maria Stella Maestri veniva da una famiglia di Cervignano e fin da bambina era stata avviata al lavoro di cucitrice. Lo scultore non conobbe quindi la madre, morta conseguentemente al parto. Terminate le Scuole Elementari sotto la guida del maestro Alfonso Pirani, fu avviato dal padre al lavoro; all'età di dodici anni  fu condotto a Milano presso la nonna materna Teresa perchè imparasse un mestiere e si guadagnasse da vivere. Egli rimase così dalla nonna per tanti anni, mentre il padre si risposò ed ebbe un altro figlio, Ettore. Nel frattempo Marchini entrò nella girandola dei mestieri: fu garzone fornaio, poi garzone muratore e infine marmista presso una buona famiglia di marmorari che gli insegnarono il mestiere. Se dovessimo trasporre Marchini nella Grecia antica, senz'altro questi sarebbe rientrato nell'ambito extra-sociale dei "technitai" cioè in quegli individui che hanno innate, insite dentro, le tecniche manuali dell'arte, la loro estrazione sociale non programmata rappresentava all'epoca un fattore di disturbo per l'ordinamento  sociale. Oggi, siamo in grado di confermare che, il Marchini aveva senz'altro avuto una predisposizione biologica alle arti ed in particolare per il disegno per la pittura e la scultura. L'occasione per l'applicazione della sua arte innata la ebbe esercitando presso le botteghe "de marmurin" di Milano dove Vitaliano imparò a squadrare e levigare il marmo, fu proprio da questo mestiere che trasse quegli insegnamenti tecnici complementari che gli furono poi molto utili in seguito come scultore. Egli stesso nel suo "Diario" diceva: "nelle ore libere, a sera e la domenica, mi divertivo a fare con la creta tutto quanto mi passasse per la testa, o a copiare fiori e foglie". Costretto a lavorare per non gravare sul magro bilancio della famiglia, non potendo quindi frequentare Accademie o grandi Maestri, "si diede attorno" come dice lui stesso nelle sue memorie, " per trovare persone buone e colte che lo aiutassero a farsi una cultura". Si dedicò quindi allo studio e alla lettura di molti libri e si diede al disegno: "Il ritratto della nonna" e "L'autoritratto" sono i suoi lavori di esordio. Non erano lontani gli anni dei suoi successi  quando con la creta modellò il primo lavoro di scultura, la "Testa di un bambino"; quasta capitò nelle mani del pittore Andreoli che gliela pagò cento lire. La fortuna arrivò inaspettata, l'opera fu esposta alla Permanente di Milano e per la prima volta il nome di Vitaliano Marchini, allora appena diciottenne, venne citato dai giornali locali. In seguito a questa inaspettata sortita, Vitaliano, frequentò lo studio dello scultore Luigi Panzeri (scultore milanese, attivo nella seconda metà dell'800 e nei primi anni del nostro secolo, è ricordato per il suo monumento ad Eugenio Villoresi in piazza Leonardo da Vinci a Milano.) e nel 1908 scolpì il busto del suo maestro elementare Alfonso Pirani. Tra i suoi primi tentativi plastici figura anche il busto in gesso che rappresenta l'amico Agnolo Martinenghi da bambino. Instancabile lavoratore, nella sua piccola e umile casa di via Canonica a Milano, fece infiniti studi e prove di scultura, schemi e progetti tentando, ma inutilmente, di esporre le sue opere in diverse mostre d'arte. Si presentò alla Biennale di Venezia del 1910 da qui, con insperato successo, iniziò una nuova fase artistica più che positiva: con la scultura "Prime fatiche" vinse, sempre nel medesimo anno, il Premio Tantardini e fu allora che il giovane scultore melegnanese si impose all'attenzione della critica contemporanea. Lui stesso affermò nell'autobiografia (pubblicata sulla rassegna mensile bibliografico-culturale "Ragguaglio librario") datata 1955: " ... e scultore fui tutta la vita; amo profondamente il mio mestiere e lo stimo al più alto grado della scala sociale, in quanto esso riporta nel tempo e al futuro la misura delle nostre capacità intellettuali, i nostri valori morali, qualche volta non disgiunti dal più bello e sano senso della poesia ... ".  Nel 1912 si confermò artista di sicuro avvenire partecipando al concorso per il Premio Fumagalli di scultura con il gruppo bronzeo "Piccola madre"; il talento e la caparbietà lo portarono ad inserirsi con successo nell'ambiente artistico di Brera dove rimarrà come insegnante per 32 anni. I Modernisti ad oltranza ebbero facili armi per definire Marchini uno scultore d’altri tempi, un tradizionalista. Nel 1922, tuttavia, la rivista “Il mondo” così scriveva dello scultore melegnanese: “...la perfezione tecnica è nelle sue opere animata da un’incessante studio e da un’attenta ricerca. Essere espressivo, cogliere i riverberi fugaci dell’anima, le passioni, le gioie i dolori, le miserie nei loro atteggiamenti più vari, più profondi ed immediati, la forma la principale preoccupazione di questo scultore che raggiunge il suo intento con notevole efficacia rappresentativa...” Furono anni di contrasti per Marchini, nonostante i premi e le ampie citazioni che andava ricevendo. Nel 1927 egli passò da allievo a maestro all’Accademia di Brera, un balzo questo che ebbe del prodigioso. Ma l’escalation di nomine continuò. Infatti su “La campana” dell’ottobre 1929 troviamo: “...il nostro concittadino scultore Vitaliano Marchini, attuale professore nella Regia Accademia di Brera, è stato recentemente nominato dal Consiglio Dirigente la Scuola Superiore d’arte applicata , annessa al Museo Artistico Municipale del Castello Sforzesco, professore di scultura Decorativa nel corso superiore. Dopo Brera; la scuola del castello Sforzesco è una delle più antiche e rinomate Scuole d’Arte italiana...”.  La sua formazione aveva avuto luogo presso la bottega di uno dei tanti scultori ”veristi” che arricchivano con dubbio decoro quell’epoca, ma che facevano di Milano un fervido centro di scultura. A partire dalla fine del primo decennio del secolo, Marchini si volse alle esperienze plastiche del tardo romanticismo, in particolare al pittoricismo della scultura lombarda di derivazione scapigliata i cui seguaci badavano, nelle loro opere, agli effetti della luce, facendo dimenticare la materia e conferendo talvolta alle masse un’apparenza di non finito. L’esperienza accademica di Marchini si svolse quindi fra il classico e il romantico; successivamente lo scultore trovò una propria linea che lo contraddistinse .  Marchini guardava soprattutto alla purezza della linea romanica e allo spirito del Trecento. Dagli antichi trasse appunto il gusto , la forma e la semplificazione dei piani che lo porteranno alla creazione di una nuova forma plastica le cui componenti fondamentali sono la sintesi tra composizione ed essenzialità; fu un modo questo per reagire agli atteggiamenti pittorici della scultura di fine Ottocento, con tale chiarezza di idee reagì pure lo scultore Adolfo Wildt, che ebbe su Marchini un’influenza diretta, anche se successivamente i suoi sviluppi furono diversi. Nel 1913 il Consiglio direttivo dell’Accademia di Brera lo nominò Socio Onorario.L’anno successivo, su commissione di un’amico, gli venne affidato l’incarico di costruire una cappellina in marmo con un bassorilievo raffigurante San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate, e che doveva essere posta in un piccolo paese della Brianza. Con questo lavoro il Marchini iniziò la sua produzione improntata a tematiche sacre e, grazie ad essa, egli diventerà uno dei più importanti artisti mistici del nostro secolo. Con i soggetti religiosi il Marchini diede senz’altro il meglio di sè; vasta è la produzione in questo ambito, dove lo vediamo affrontare il ciclo dei santi: Gervasio e Protasio, San Francesco e il lupo di Gubbio San Gaudenzio e San Giuseppe, Sant’Ambrogio per poi arrivare ai Santi Michele e Bernardo che arricchiscono i pinnacoli del Duomo di Milano. Lavorò anche su alcuni temi della tradizione evangelica quali il Battesimo di Cristo, di cui abbiamo un esempio in cotto  nella lunetta sopra il portale della Basilica Minore già Preposituale di San Giovanni Battista di Melegnano. Durante la Grande Guerra del 1915-18, Vitaliano prestò servizio militare in qualità di Tenente presso il 7° Reggimento Fanteria. Nel 1921 contrasse matrimonio religioso con Piera Zucchelli, figlia di Edoardo e Giovanna Tamini, nata a Zelobuonpersico il 2 settembre 1888.  Il matrimonio fu celebrato a Melegnano ed è qui che la neocostituita famiglia si stabililì, prima in via Roma e poi in via Oberdan. Il suo impegno artistico, nel frattempo, non venne mai meno. Egli partecipò a diverse manifestazioni d’arte sia in Italia che all’estero, di conseguenza le sue opere andarono ad arricchire i musei delle più importanti capitali: Milano, Vienna, Barcellona, Budapest. A trentadue anni, in seguito ad un pubblico concorso, veniva nominato insegnante titolare di figura modellata nella Reale Accademia di Brera, incarico questo che Marchini svolse con scrupolosità e competenza dimostrando di possedere pregevoli doti didattiche. Dal 1929 fu anche direttore della Scuola Superiore degli Artefici, annessa alla Regia Accademia, un’antica scuola fondata con decreto governativo austriaco nel luglio 1789. In seguito alla morte dello scultore Adolfo Wildt venne affidata a Marchini la supplenza della Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Per la sua serietà e obbiettività nei giudizi, oltre che per la sua sensibilità artistica, venne chiamato a presiedere e a comporre diverse commissioni e giurie.  Dai giornali dell’epoca deduciamo gran parte del cammino artistico del Nostro tra cui, da “La campana” del gennaio 1930 apprendiamo che : “...segnaliamo con vivo piacere che alla Seconda Mostra del Sindacato Artisti e Biennale di Brera - aperta a Palazzo della Permanente in Milano - Sua Maestà il Re ha acquistato il bassorilievo in bronzo la Famiglia, dello scultore , nostro concittadino, Marchini Vitaliano. E’ una delle sculture più importanti dell’esposizione, e ha ottenuto dalla critica dei maggiori giornali e riviste pieno successo [...]..” Mentre una sintetica monografia sullo scultore melegnanese si evince sul successivo numero sei de “La campana” del giugno 1930. I giornali si occuperanno ancora di Marchini, in particolare vengono rese note soprattutto le innumerevoli mostre dello scultore tra cui troviamo sempre sul Bollettino parrocchiale che : “...alla mostra Internazionale di Arte Sacra tenuta a Milano, nel novembre 1931, tra le opere che hanno riscosso un notevole successo troviamo il nostro concittadino [...] a proposito poi, dell’autorevole giornale “L’osservatore romano” ricaviamo che “...tra gli scultori più spiccatamente moderni ricordiamo Vitaliano Marchini che [...] ha presentato opere quali i ‘pellegrini di Assisi’ e la ‘testa di Cristo’ sono le cose più dense di passione mistica...”. Nel 1932 partecipa alla XVIII Mostra Biennale d’Arte Internazionale  della città di Venezia, da “La campana” deduciamo che: “... la mostra venne inaugurata il 28 aprile 1932 da S.Maestà il Re Vittorio Emanuele III, e il nostro concittadino scultore Vitaliano Marchini , ha esposto per invito in una sala personale 16 opere in bronzo che furono ammirate da S.M. il Re e discusse da critici d’arte e artisti di quasi tutti i quotidiani italiani e stranieri. I soggetti delle opere esposte sono quasi tutti ispirati al tema della famiglia ed al lavoro dei campi. L’On. Oppo su ‘La tribuna’ di Roma così  scriveva dell’opera del Nostro: “...sculture originali e moderne che rispondono oggi più che ieri allo spirito della nostra razza e del nostro tempo...” Mentre susseguente a tale Esposizione la Commissione Ministeriale per gli acquisti della Galleria d’Arte Moderna di Roma,  scelse la scultura ‘la siesta’  perchè ben figuri nella più grande raccolta di arte italiana. Questa importante presenza  nazionale gli porterà a dividersi tra diverse cariche prestigiose, in particolare nel 1932 al 1934 venne chiamato a far parte della commissione Artistica dei Cimiteri del Comune di Milano. Sue sculture in marmo e bronzo e cotto, si trovano al Palazzo di Giustizia di Milano, all’Ospedale di Niguarda e in quelli di Garbagnate e Santa Corona a Pietra Ligure, oltre al Cimitero Monumentale del capoluogo lombardo. Anche Melegnano ospita parecchie sue opere: in collezioni private, nella Chiesa del Carmine, nella Basilica Minore già Preposituale di San Giovanni Battista. Nel 1933 partecipò al concorso indetto dal Ministero dell’Educazione Nazionale per la Cattedra di Scultura nell’Accademia Braidense e fu altresì scelto, nonostante la presenza in concorso di artisti di induscusso valore quali Marino Marini, Arturo Martini e Francesco Messina. Il 28 ottobre 1934 giunse all’illustrissimo prof. Vitaliano Marchini, un telegramma  dal Ministro dell’Educazione, che conteneva un’importante e prestigiosa missiva:  “... Egregio Prof. Vitaliano Marchini - Regia Accademia delle Belle Arti - Milano [...] sono lieto parteciparle che Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III su proposta di Sua Eccellenza il Capo del Governo e mia, si è degnata nominarla Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Firmato, il Ministro dell’Educazione Nazionale Ercole. Nel 1939 Vitaliano Marchini si trasferì a Milano in un appartamento di via Solferino; furono questi gli anni vissuti più intensamente sia come artista che come uomo. Nel 1943 a causa di un bombardamento aereo perse la casa e lo studio; così Marchini con la famiglia si trasferì a Mergozzo, una tranquilla cittadina in provincia di Novara, situata sul lago omonimo nella bassa Val d’Ossola. A Mergozzo, Vitaliano Marchini divenne il promotore di diverse manifestazioni artistiche fra le quali quella dell’estate del 1968 dedicata completamente all’esposizione di sue opere. Nel 1967 l’Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo gli affidò l’insegnamento di educazione artistica all’Istituto ‘Bellini’ di Candoglia; tale incarico fu poi riconfermato anche per alcuni anni successivi. Gli anni del suo tramonto furono ancora fecondi, sebbene nel 1969 avesse lasciato l’insegnamento, viveva anche di ricordi : scrisse le sue note biografiche in un Diario preziosa testimonianza la cui lettura ci ha consentito di penetrare e scavare il più possibile sull’Artista. In sintesi la vasta produzione artistica marchiniana si può suddividere in tre filoni che corrispondono alle principali tematiche che danno vita alle sculture. Al primo filone appartengono opere caratterizzate da una profonda umanità che si ispirano alla vita quotidiana, alla famiglia e al lavoro; compongono il secondo filone le opere di carattere religioso nelle  quali l’artista mostrò tutta la sua grandezza e la sua sensibilità; chiude il ciclo la serie dei ritratti. Tutti i temi da lui trattati esprimono la dolcezza del suo carattere e la sua  concezione serena della vita che gli derivava dalla fede cristiana.Carlo Carrà osservava che “...ciò che colpisce nelle sue opere (dello scultore Marchini) è la profondità quieta che assumono le immagini, quiete che scaturisce dalla purezza dei sentimenti più che dalla virtù che propriamente appartiene all’arte...”. Vitaliano Marchini morì il 29 luglio 1971 all’età di ottantatrè anni e ora si trova sepolto nel cimitero di Melegnano. Il 14 maggio 1996 con atto del Notaio Lilia Rottoli di Melegnano, si costituisce l’associazione culturale in memoria dello scultore scomparso, su iniziativa del nipote Giuseppe Marchini. Il sodalizio assumerà la denominazione di “Scuola d’Arte Vitaliano Marchini” primo presidente sarà il maestro livornese Paolo Marchetti. A seguito dell’intitolazione di una sala del Palazzo Trombini allo scultore melegnanese, il nipote Giuseppe Marchini, dona al Comune di Melegnano la scultura “autoritratto del 1919” di Vitaliano Marchini, che prenderà posto nell’ominima sala. La cerimonia di consegna del busto in marmo è avvenuta lo scorso 21 febbraio 1998.
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