Strano
destino quello occorso a Vitaliano Marchini che, pur trovandosi al posto
giusto nei momenti giusti , e avendo giocato bene le sue carte in situazioni
difficili, non si è visto riconoscere quel ruolo di primo piano
da lui svolto fra i primi del Novecento sino al secondo dopoguerra. Solo
ora, la statura e la versatilità dello scultore melegnanese, sono
restituiti alla storia. Il suo caso rientra infatti nella lunga tradizione
degli artisti "braidensi" e "ticinesi" tutti destinati a raggiungere la
fama o almeno una buona affermazione lontano dai loro confini della loro
Patria d'origine. In realtà Marchini era assai noto agli addetti
ai lavori, capitando a chi studia più approfonditamente le vicende
artistiche italiane della prima metà del XX secolo, di imbattersi
in lui come referente di chi avesse avuto rapporti con l'ambiente milanese.
Per esemplificare Marchini con un'olofrasi è sufficiente ricordare
alcune delle sue significative opere: "La condanna di Caino" , "L'arcangelo
Gabriele" e "San Bernardo"; la prima opera è inserita nel fondale
di un'Aula del Tribunale Penale di Milano, le altre due fanno parte dei
pinnacoli del Duomo di Milano. Tracce dell'arte marchiniana si trovano
ovunque sul nostro territorio, ciò è dovuto anche al fatto
che il Nostro ha prodotto molto quantitativamente, tutto ciò
lo ha portato, di riflesso, a ricoprire via via sempre più importanti
ruoli sia istituzionali che cattedratici. Antonio Vitaliano Marchini nacque
a Melegnano il 18 febbraio 1888 da genitori di modestissime condizioni
sociali; il padre Angelo era oriundo di Carpiano ed esercitava l'arte del
cordaio, la madre Maria Stella Maestri veniva da una famiglia di Cervignano
e fin da bambina era stata avviata al lavoro di cucitrice. Lo scultore
non conobbe quindi la madre, morta conseguentemente al parto. Terminate
le Scuole Elementari sotto la guida del maestro Alfonso Pirani, fu avviato
dal padre al lavoro; all'età di dodici anni fu condotto a
Milano presso la nonna materna Teresa perchè imparasse un mestiere
e si guadagnasse da vivere. Egli rimase così dalla nonna per tanti
anni, mentre il padre si risposò ed ebbe un altro figlio, Ettore.
Nel frattempo Marchini entrò nella girandola dei mestieri: fu garzone
fornaio, poi garzone muratore e infine marmista presso una buona famiglia
di marmorari che gli insegnarono il mestiere. Se dovessimo trasporre Marchini
nella Grecia antica, senz'altro questi sarebbe rientrato nell'ambito extra-sociale
dei "technitai" cioè in quegli individui che hanno innate, insite
dentro, le tecniche manuali dell'arte, la loro estrazione sociale non programmata
rappresentava all'epoca un fattore di disturbo per l'ordinamento
sociale. Oggi, siamo in grado di confermare che, il Marchini aveva senz'altro
avuto una predisposizione biologica alle arti ed in particolare per il
disegno per la pittura e la scultura. L'occasione per l'applicazione della
sua arte innata la ebbe esercitando presso le botteghe "de marmurin" di
Milano dove Vitaliano imparò a squadrare e levigare il marmo, fu
proprio da questo mestiere che trasse quegli insegnamenti tecnici complementari
che gli furono poi molto utili in seguito come scultore. Egli stesso nel
suo "Diario" diceva: "nelle ore libere, a sera e la domenica, mi divertivo
a fare con la creta tutto quanto mi passasse per la testa, o a copiare
fiori e foglie". Costretto a lavorare per non gravare sul magro bilancio
della famiglia, non potendo quindi frequentare Accademie o grandi Maestri,
"si diede attorno" come dice lui stesso nelle sue memorie, " per trovare
persone buone e colte che lo aiutassero a farsi una cultura". Si dedicò
quindi allo studio e alla lettura di molti libri e si diede al disegno:
"Il ritratto della nonna" e "L'autoritratto" sono i suoi lavori di esordio.
Non erano lontani gli anni dei suoi successi quando con la creta
modellò il primo lavoro di scultura, la "Testa di un bambino"; quasta
capitò nelle mani del pittore Andreoli che gliela pagò cento
lire. La fortuna arrivò inaspettata, l'opera fu esposta alla Permanente
di Milano e per la prima volta il nome di Vitaliano Marchini, allora appena
diciottenne, venne citato dai giornali locali. In seguito a questa inaspettata
sortita, Vitaliano, frequentò lo studio dello scultore Luigi Panzeri
(scultore milanese, attivo nella seconda metà dell'800 e nei primi
anni del nostro secolo, è ricordato per il suo monumento ad Eugenio
Villoresi in piazza Leonardo da Vinci a Milano.) e nel 1908 scolpì
il busto del suo maestro elementare Alfonso Pirani. Tra i suoi primi tentativi
plastici figura anche il busto in gesso che rappresenta l'amico Agnolo
Martinenghi da bambino. Instancabile lavoratore, nella sua piccola e umile
casa di via Canonica a Milano, fece infiniti studi e prove di scultura,
schemi e progetti tentando, ma inutilmente, di esporre le sue opere in
diverse mostre d'arte. Si presentò alla Biennale di Venezia del
1910 da qui, con insperato successo, iniziò una nuova fase artistica
più che positiva: con la scultura "Prime fatiche" vinse, sempre
nel medesimo anno, il Premio Tantardini e fu allora che il giovane scultore
melegnanese si impose all'attenzione della critica contemporanea. Lui stesso
affermò nell'autobiografia (pubblicata sulla rassegna mensile bibliografico-culturale
"Ragguaglio librario") datata 1955: " ... e scultore fui tutta la vita;
amo profondamente il mio mestiere e lo stimo al più alto grado della
scala sociale, in quanto esso riporta nel tempo e al futuro la misura delle
nostre capacità intellettuali, i nostri valori morali, qualche volta
non disgiunti dal più bello e sano senso della poesia ... ".
Nel 1912 si confermò artista di sicuro avvenire partecipando al
concorso per il Premio Fumagalli di scultura con il gruppo bronzeo "Piccola
madre"; il talento e la caparbietà lo portarono ad inserirsi con
successo nell'ambiente artistico di Brera dove rimarrà come insegnante
per 32 anni. I Modernisti ad oltranza ebbero facili armi per definire Marchini
uno scultore d’altri tempi, un tradizionalista. Nel 1922, tuttavia, la
rivista “Il mondo” così scriveva dello scultore melegnanese: “...la
perfezione tecnica è nelle sue opere animata da un’incessante studio
e da un’attenta ricerca. Essere espressivo, cogliere i riverberi fugaci
dell’anima, le passioni, le gioie i dolori, le miserie nei loro atteggiamenti
più vari, più profondi ed immediati, la forma la principale
preoccupazione di questo scultore che raggiunge il suo intento con notevole
efficacia rappresentativa...” Furono anni di contrasti per Marchini, nonostante
i premi e le ampie citazioni che andava ricevendo. Nel 1927 egli passò
da allievo a maestro all’Accademia di Brera, un balzo questo che ebbe del
prodigioso. Ma l’escalation di nomine continuò. Infatti su “La campana”
dell’ottobre 1929 troviamo: “...il nostro concittadino scultore Vitaliano
Marchini, attuale professore nella Regia Accademia di Brera, è stato
recentemente nominato dal Consiglio Dirigente la Scuola Superiore d’arte
applicata , annessa al Museo Artistico Municipale del Castello Sforzesco,
professore di scultura Decorativa nel corso superiore. Dopo Brera; la scuola
del castello Sforzesco è una delle più antiche e rinomate
Scuole d’Arte italiana...”. La sua formazione aveva avuto luogo presso
la bottega di uno dei tanti scultori ”veristi” che arricchivano con dubbio
decoro quell’epoca, ma che facevano di Milano un fervido centro di scultura.
A partire dalla fine del primo decennio del secolo, Marchini si volse alle
esperienze plastiche del tardo romanticismo, in particolare al pittoricismo
della scultura lombarda di derivazione scapigliata i cui seguaci badavano,
nelle loro opere, agli effetti della luce, facendo dimenticare la materia
e conferendo talvolta alle masse un’apparenza di non finito. L’esperienza
accademica di Marchini si svolse quindi fra il classico e il romantico;
successivamente lo scultore trovò una propria linea che lo contraddistinse
. Marchini guardava soprattutto alla purezza della linea romanica
e allo spirito del Trecento. Dagli antichi trasse appunto il gusto , la
forma e la semplificazione dei piani che lo porteranno alla creazione di
una nuova forma plastica le cui componenti fondamentali sono la sintesi
tra composizione ed essenzialità; fu un modo questo per reagire
agli atteggiamenti pittorici della scultura di fine Ottocento, con tale
chiarezza di idee reagì pure lo scultore Adolfo Wildt, che ebbe
su Marchini un’influenza diretta, anche se successivamente i suoi sviluppi
furono diversi. Nel 1913 il Consiglio direttivo dell’Accademia di Brera
lo nominò Socio Onorario.L’anno successivo, su commissione di un’amico,
gli venne affidato l’incarico di costruire una cappellina in marmo con
un bassorilievo raffigurante San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate,
e che doveva essere posta in un piccolo paese della Brianza. Con questo
lavoro il Marchini iniziò la sua produzione improntata a tematiche
sacre e, grazie ad essa, egli diventerà uno dei più importanti
artisti mistici del nostro secolo. Con i soggetti religiosi il Marchini
diede senz’altro il meglio di sè; vasta è la produzione in
questo ambito, dove lo vediamo affrontare il ciclo dei santi: Gervasio
e Protasio, San Francesco e il lupo di Gubbio San Gaudenzio e San Giuseppe,
Sant’Ambrogio per poi arrivare ai Santi Michele e Bernardo che arricchiscono
i pinnacoli del Duomo di Milano. Lavorò anche su alcuni temi della
tradizione evangelica quali il Battesimo di Cristo, di cui abbiamo un esempio
in cotto nella lunetta sopra il portale della Basilica Minore già
Preposituale di San Giovanni Battista di Melegnano. Durante la Grande Guerra
del 1915-18, Vitaliano prestò servizio militare in qualità
di Tenente presso il 7° Reggimento Fanteria. Nel 1921 contrasse matrimonio
religioso con Piera Zucchelli, figlia di Edoardo e Giovanna Tamini, nata
a Zelobuonpersico il 2 settembre 1888. Il matrimonio fu celebrato
a Melegnano ed è qui che la neocostituita famiglia si stabililì,
prima in via Roma e poi in via Oberdan. Il suo impegno artistico, nel frattempo,
non venne mai meno. Egli partecipò a diverse manifestazioni d’arte
sia in Italia che all’estero, di conseguenza le sue opere andarono ad arricchire
i musei delle più importanti capitali: Milano, Vienna, Barcellona,
Budapest. A trentadue anni, in seguito ad un pubblico concorso, veniva
nominato insegnante titolare di figura modellata nella Reale Accademia
di Brera, incarico questo che Marchini svolse con scrupolosità e
competenza dimostrando di possedere pregevoli doti didattiche. Dal 1929
fu anche direttore della Scuola Superiore degli Artefici, annessa alla
Regia Accademia, un’antica scuola fondata con decreto governativo austriaco
nel luglio 1789. In seguito alla morte dello scultore Adolfo Wildt venne
affidata a Marchini la supplenza della Scuola di Scultura dell’Accademia
di Belle Arti di Brera. Per la sua serietà e obbiettività
nei giudizi, oltre che per la sua sensibilità artistica, venne chiamato
a presiedere e a comporre diverse commissioni e giurie. Dai giornali
dell’epoca deduciamo gran parte del cammino artistico del Nostro tra cui,
da “La campana” del gennaio 1930 apprendiamo che : “...segnaliamo con vivo
piacere che alla Seconda Mostra del Sindacato Artisti e Biennale di Brera
- aperta a Palazzo della Permanente in Milano - Sua Maestà il Re
ha acquistato il bassorilievo in bronzo la Famiglia, dello scultore , nostro
concittadino, Marchini Vitaliano. E’ una delle sculture più importanti
dell’esposizione, e ha ottenuto dalla critica dei maggiori giornali e riviste
pieno successo [...]..” Mentre una sintetica monografia sullo scultore
melegnanese si evince sul successivo numero sei de “La campana” del giugno
1930. I giornali si occuperanno ancora di Marchini, in particolare vengono
rese note soprattutto le innumerevoli mostre dello scultore tra cui troviamo
sempre sul Bollettino parrocchiale che : “...alla mostra Internazionale
di Arte Sacra tenuta a Milano, nel novembre 1931, tra le opere che hanno
riscosso un notevole successo troviamo il nostro concittadino [...] a proposito
poi, dell’autorevole giornale “L’osservatore romano” ricaviamo che “...tra
gli scultori più spiccatamente moderni ricordiamo Vitaliano Marchini
che [...] ha presentato opere quali i ‘pellegrini di Assisi’ e la ‘testa
di Cristo’ sono le cose più dense di passione mistica...”. Nel 1932
partecipa alla XVIII Mostra Biennale d’Arte Internazionale della
città di Venezia, da “La campana” deduciamo che: “... la mostra
venne inaugurata il 28 aprile 1932 da S.Maestà il Re Vittorio Emanuele
III, e il nostro concittadino scultore Vitaliano Marchini , ha esposto
per invito in una sala personale 16 opere in bronzo che furono ammirate
da S.M. il Re e discusse da critici d’arte e artisti di quasi tutti i quotidiani
italiani e stranieri. I soggetti delle opere esposte sono quasi tutti ispirati
al tema della famiglia ed al lavoro dei campi. L’On. Oppo su ‘La tribuna’
di Roma così scriveva dell’opera del Nostro: “...sculture
originali e moderne che rispondono oggi più che ieri allo spirito
della nostra razza e del nostro tempo...” Mentre susseguente a tale Esposizione
la Commissione Ministeriale per gli acquisti della Galleria d’Arte Moderna
di Roma, scelse la scultura ‘la siesta’ perchè ben figuri
nella più grande raccolta di arte italiana. Questa importante presenza
nazionale gli porterà a dividersi tra diverse cariche prestigiose,
in particolare nel 1932 al 1934 venne chiamato a far parte della commissione
Artistica dei Cimiteri del Comune di Milano. Sue sculture in marmo e bronzo
e cotto, si trovano al Palazzo di Giustizia di Milano, all’Ospedale di
Niguarda e in quelli di Garbagnate e Santa Corona a Pietra Ligure, oltre
al Cimitero Monumentale del capoluogo lombardo. Anche Melegnano ospita
parecchie sue opere: in collezioni private, nella Chiesa del Carmine, nella
Basilica Minore già Preposituale di San Giovanni Battista. Nel 1933
partecipò al concorso indetto dal Ministero dell’Educazione Nazionale
per la Cattedra di Scultura nell’Accademia Braidense e fu altresì
scelto, nonostante la presenza in concorso di artisti di induscusso valore
quali Marino Marini, Arturo Martini e Francesco Messina. Il 28 ottobre
1934 giunse all’illustrissimo prof. Vitaliano Marchini, un telegramma
dal Ministro dell’Educazione, che conteneva un’importante e prestigiosa
missiva: “... Egregio Prof. Vitaliano Marchini - Regia Accademia
delle Belle Arti - Milano [...] sono lieto parteciparle che Sua Maestà
il Re Vittorio Emanuele III su proposta di Sua Eccellenza il Capo del Governo
e mia, si è degnata nominarla Cavaliere dell’Ordine della Corona
d’Italia. Firmato, il Ministro dell’Educazione Nazionale Ercole. Nel 1939
Vitaliano Marchini si trasferì a Milano in un appartamento di via
Solferino; furono questi gli anni vissuti più intensamente sia come
artista che come uomo. Nel 1943 a causa di un bombardamento aereo perse
la casa e lo studio; così Marchini con la famiglia si trasferì
a Mergozzo, una tranquilla cittadina in provincia di Novara, situata sul
lago omonimo nella bassa Val d’Ossola. A Mergozzo, Vitaliano Marchini divenne
il promotore di diverse manifestazioni artistiche fra le quali quella dell’estate
del 1968 dedicata completamente all’esposizione di sue opere. Nel 1967
l’Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo gli affidò
l’insegnamento di educazione artistica all’Istituto ‘Bellini’ di Candoglia;
tale incarico fu poi riconfermato anche per alcuni anni successivi. Gli
anni del suo tramonto furono ancora fecondi, sebbene nel 1969 avesse lasciato
l’insegnamento, viveva anche di ricordi : scrisse le sue note biografiche
in un Diario preziosa testimonianza la cui lettura ci ha consentito di
penetrare e scavare il più possibile sull’Artista. In sintesi la
vasta produzione artistica marchiniana si può suddividere in tre
filoni che corrispondono alle principali tematiche che danno vita alle
sculture. Al primo filone appartengono opere caratterizzate da una profonda
umanità che si ispirano alla vita quotidiana, alla famiglia e al
lavoro; compongono il secondo filone le opere di carattere religioso nelle
quali l’artista mostrò tutta la sua grandezza e la sua sensibilità;
chiude il ciclo la serie dei ritratti. Tutti i temi da lui trattati esprimono
la dolcezza del suo carattere e la sua concezione serena della vita
che gli derivava dalla fede cristiana.Carlo Carrà osservava che
“...ciò che colpisce nelle sue opere (dello scultore Marchini) è
la profondità quieta che assumono le immagini, quiete che scaturisce
dalla purezza dei sentimenti più che dalla virtù che propriamente
appartiene all’arte...”. Vitaliano Marchini morì il 29 luglio 1971
all’età di ottantatrè anni e ora si trova sepolto nel cimitero
di Melegnano. Il 14 maggio 1996 con atto del Notaio Lilia Rottoli di Melegnano,
si costituisce l’associazione culturale in memoria dello scultore scomparso,
su
iniziativa del nipote Giuseppe Marchini. Il sodalizio assumerà la
denominazione di “Scuola d’Arte Vitaliano Marchini” primo presidente sarà
il maestro livornese Paolo Marchetti. A seguito dell’intitolazione di una
sala del Palazzo Trombini allo scultore melegnanese, il nipote Giuseppe
Marchini, dona al Comune di Melegnano la scultura “autoritratto del 1919”
di Vitaliano Marchini, che prenderà posto nell’ominima sala. La
cerimonia di consegna del busto in marmo è avvenuta lo scorso 21
febbraio 1998. |