SAN MARTINO IL 24 GIUGNO 1859
Il 23 aprile 1859 l’Austria inviò l’ultimatum al Piemonte
che, come sappiamo, non ebbe alcun esito, fu però
questa l’occasione pazientemente attesa da Cavour per provocare l’Austria
ad iniziare la guerra. Scaduto il tempo previsto gli austriaci invasero
il Piemonte con l’intenzione di sconfiggere l’esercito Sardo prima dell’arrivo
dei Francesi. I Piemontesi si limitarono ad ostacolare l’avanzata
del maresciallo Gyulai allagando le risaie della Lomellina e del Vercellese;
i Francesi, attraverso il passaggio del Moncenisio e quello via mare con
l’approdo a Genova, con base logistica a Rivarolo, ebbero modo di raggiungere
rapidamente i campi di battaglia. Il 20 maggio gli Austriaci vennero
battuti a Montebello. Mentre Gyulai attese con il grosso delle truppe
il passaggio del nemico intorno a Piacenza, Napoleone III lo trasse in
inganno passando il Po a Casale e spostando velocemente l’armata francese
dalla zona di Alessandria a quella di Novara per puntare poi verso Milano.
Solo dopo la sconfitta di Palestro il comando austriaco si accorse
del tranello e ordinò lo spostamento, ancorché tardivo, dell’esercito
dalla Lomellina a Magenta ove il 4 giugno 1859 avvenne una delle battaglie
chiave della seconda Guerra d’Indipendenza italiana. Dopo l’ingresso
trionfale dell’Imperatore Napoleone III a Milano, la sera dell’8 giugno
1859 si ebbe un altro scontro fra i due eserciti a Melegnano, fra i francesi
del Primo Corpo Baraguey d’Hilliers per e l’ ottavo Corpo Benedek austriaco.
Il 17 giugno Gyulai presentò le sue dimissioni ed il comando supremo
venne assunto direttamente dall’imperatore Francesco Giuseppe. L’esercito
austriaco non riuscì ad avere sufficienti informazioni sul nemico,
le sue forze peraltro erano mal distribuite: la prima armata, che era piuttosto
forte era ostacolata in pianura dalle coltivazioni di riso e dalle vigne,
non fu quindi in grado di reagire ed infliggere l’attacco definitivo pur
disponendo di maggiori mezzi e uomini dei franco-piemontesi. Destituito
Gyulai l’Austria si preparò alla rivincita sul Mincio, fra Solferino
e San Martino. A Solferino, il 24 giugno, 80.000 francesi attaccarono 90.000
austriaci avendone ragione solo dopo oltre dieci ore di accanita battaglia.
A San Martino, 30.000 piemontesi si scontrarono con un nemico di pressoché
identica forza, e anch’essi riuscirono a conquistare le munite posizioni
austriache a fatica. Ma ancora una volta gli austriaci poterono ritirarsi
indisturbati e chiudersi nel loro quadrilatero di Mantova, Verona, Legnago
e Peschiera. I vincitori passarono il Mincio sei giorni dopo, mentre le
loro flotte congiunte in Adriatico mettevano il blocco a Venezia. Tutto
sembrava quindi avviarsi, nel più favorevole dei modi, alla definitiva
resa dei conti con l’Austria, quando si sparse la notizia che Napoleone
aveva inviato, a mezzo di un suo generale, una lettera a Francesco Giuseppe
per proporgli un armistizio e un incontro fra loro a Villafranca.
Secondo certi memorialisti francesi fu l’orrendo spettacolo dei morti e
dei feriti sui campi di battaglia di Magenta e Solferino a sconvolgere
Napoleone, che della guerra era un appassionato studioso, ma praticamente
non ne aveva mai combattute. E verosimilmente questo elemento influì
sulle sue decisioni o meglio sulle sue indecisioni. Ma, probabilmente,
i motivi veri erano ben altri: il primo era di ordine puramente militare,
il secondo era riferibile agli equilibri internazionali. Sloggiare
gli austriaci dal quadrilatero diventava una operazione difficile,
che avrebbe ancora richiesto tempo oltre ad altro sangue. Finché
le operazioni erano state rapide l’opinione pubblica francese aveva accolto
le vittorie con tripudio, poco badando ai sacrifici che esse erano costate.
Ma già consapevole della precedente esperienza di Sebastianopoli,
l’Imperatore sapeva che gli entusiasmi popolari sarebbero stati di corta
durata. E questa considerazione consigliò all’Imperatore di
sfruttare le vittorie raggiunte con un trionfale ritorno, finché
gli animi erano ancora caldi, questo fu il vero obbiettivo anche a costo
di lasciare l’impresa a metà. Un’altra ragione era l’improvviso
aggravarsi della situazione internazionale, infatti la Prussia era in agitazione;
per il momento questa poneva al proprio intervento armato in favore dell’Austria
a delle condizioni che questa non poteva accettare: si trattava di riconoscere
la funzione di stato-guida alla Prussia nella Confederazione Germanica,
sino a questo momento ancora subordinata a Vienna. Ma se l’imperatore Francesco
Giuseppe si fosse trovato alle strette avrebbe potuto anche cedere alle
lusinghe prussiane. Anche l’Inghilterra si agitava, e pur simpatizzando
per la causa italiana, era preoccupata per l’espansionismo francese, aveva
accolto la proposta russa di una mediazione, che poteva anche tradursi
in termini d’ingiunzione e risolversi, per i francesi, in umiliazione.
Il 24 giugno 1859 si svolse, quindi , l’ultimo capitolo dell’alleanza franco-piemontese
con due battaglie campali. La battaglia di San Martino non era prevista
per quel giorno dagli opposti schieramenti: Francesco Giuseppe aveva posto
il suo quartier generale a Verona e disponeva di 135 mila uomini e 400
cannoni, mentre gli alleati posizionati a Montichiari, nel bresciano, disponevano
di 150 mila uomini e 360 cannoni. La battaglia fu combattuta in due settori,
quello nord attorno a San Martino, ove dopo alterne vicende le quattro
divisioni sarde, agli ordini di Vittorio Emanuele II, respinsero il Corpo
d’armata austriaco comandato da Benedek. A sud invece la battaglia
si concluse attorno alla rocca di Solferino, quando Napoleone III vi gettò
le quattro divisioni della sua Guardia fra i Corpi d’Armata comandati dal
maresciallo Baraguey d’Hilliers e da Mac-Mahon. Fra i due settori, notevole
importanza ebbe quello di Madonna della Scoperta, ove un vittorioso intervento
sardo aiutò sia le unità combattenti a San Martino che quelle
in lotta a Solferino. Fra coloro che la sera della battaglia si preoccuparono
di prendersi cura dei feriti abbandonati sui campi vi fu Jean-Henri Dunant
un cittadino svizzero che fu poi il fondatore della Croce Rossa.
Fra la documentazione rinvenuta in merito alla battaglia di San Martino
abbiamo una lettera che l’ufficiale dell’esercito sardo Ludovico Trotti
scrive al padre descrivendo le alterne vicende che portarono alla vittoria,
seppur di misura, dei piemontesi sugli austriaci: “…Carissimo papà.
(…) Spero che avrai ricevuto le poche righe che ti scrissi ieri mattina,
quasi sul punto di rimettermi a cavallo per andare col Re a visitare i
vari campi di battaglia, giacché i combattenti sono stati molti
su di una linea di più di quindici miglia. Gli austriaci avevano
cominciato l’attacco di gran mattino dalle forti posizioni di San Martino;
esse erano numerosissimi, pare che vi portassero non meno che otto brigate
comandate dal generale Benedek. La posizione fu presa dai nostri, ma ripresa
poi dai nemici per la nostra inferiorità d’artiglieria, e così
presa e ripresa più volte finì per rimanere definitivamente
agli austriaci alle tre ore. Due nostre divisioni, la terza e la quinta,
erano state ingaggiate in questo sanguinoso combattimento. Le nostre perdite
erano gravi, ed i soldati già estenuati per cui il combattimento
rimase sospeso, occupando gli austriaci San Martino con molta grossa artiglieria,
ed i nostri la sottostante pianura appoggiandosi all'alto terrapieno della
strada ferrata. (...) Alle cinque il cannone taceva in quasi tutta la linea
ed un uragano spaventoso s'avanzava alle nostre spalle, un turbine violentissimo
impediva quasi di stare ritti in piedi, il tuono rumoreggiava e la pioggia
cadeva a torrenti. In questo punto il tuono del cannone venne di nuovo
a frammischiarsi al tuono celeste. Alla nostra estrema sinistra le divisioni
Cucchiari e Mollard rinforzate da una brigata della seconda si preparavano
ad un ultimo sforzo contro San Martino aprendo un fuoco vivo d’artiglieria;
poco dopo i soldati furono spinti all’attacco caricando alla baionettae
la posizione fu presa ed occupata; il nemico inseguito e spinto lontano,
lasciava vari cannoni nelle nostre mani. Il fuoco andava sempre più
allontanandosi finchè alle nove la posizione era definitivamente
occupata e il nemico in fuga…” |