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Catal Huyuk la città più antica del mondo
vista con gli occhi di: Milost Della Grazia
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per i Greci vuol dire oriente, dove ogni mattino il cielo si tinge di rosa, aspettando, come dice un poeta, la stella mattutina dall'ala bianca che vola nella notte, primo annunzio del sole(Ione di Chio). 
Geograficamente è una tozza penisola bagnata a nord dal Mar Nero, ad est dall'Egeo ed a sud dal Mediterraneo orientale e cinta da ogni lato da catene montuose le cui vette si ergono ripide sul mare, isolando completamente l'altipiano. Soltanto nel punto d'incontro con la Siria la catena del Tauro è valicabile dove i fiumi hanno scavato nel corso dei millenni il loro letto, creando in tal modo una specie di strada. 
Qui si trova la così detta <Porta di Cilicia>, larga non più di dieci metri, attraverso la quale nel 334 a.C. passò Alessandro Magno in marcia verso l'India, attorno al 1000 i selgiuchidi e nel 1400 i mongoli di Tamerlano. I monti del Ponto a nord sul Mar Nero ed il Tauro a sud formano, incontrandosi, un altopiano che in alcuni punti raggiunge i 4000 metri, rimanendo coperto di neve tutto l'anno. In corrispondenza del lago di Van ben ventiquattro cime, per lo più vulcani spenti, superano i 3000 metri ed il più imponente, l'Agri Dagi (il biblico Ararat) raggiunge i 5167 metri. In questo enorme bacino circondato dai monti si trova l'altipiano anatolico. Data la sua configurazione ad enorme scodella i fiumi non scaricano le loro acque nel mare per cui nel corso dei secoli si sono formati numerosi laghi che con l'evaporazione estiva perdono molta acqua ed aumenta in tal misura la concentrazione salina da impedire la crescita di pesci. Questo fenomeno si manifesta in quasi tutti i laghi, ma soprattutto nel Tuz Golu, profondo non più 1-2 metri, la cui salinità d'estate è superiore a quella del Mar Morto e nella tarda estate sembra un vasto campo di neve. I fiumi che riescono a raggiungere il mare scavalcando le montagne sono molto pochi, quasi tutti sfociano nell'Egeo, come lo Scamandro ed il Simoenta, che ci ricordano la guerra di Troia, qualcuno nel Mediterraneo orientale, come il Goksu, una volta chiamato Calicadno, nelle acque del quale nel 1190 annegò  Federico Barbarossa e con lui la III Crociata. Alcuni di questi fiumi trascinano una tal quantità di terra da colorare di rosso le loro acque. Questo si verifica in modo particolare nel Kizil Irmak, un tempo chiamato Halys, che nasce sulle montagne del Ponto e delimita con una ampia curva, prima di sfociare nel Mar Nero, una regione vasta come tutta la pianura padana, chiamata Hatti, perché qui si insediarono, probabilmente per la sua grande fertilità, i proto-hatti. 
Già nel paleolitico superiore, circa 20.000 anni fa, l’homo sapiens sapiens aveva lasciato nell'altopiano anatolico chiare tracce d’insediamento. Erano probabilmente i pelasgi, popolazione che in epoca remota avrebbe popolato la maggior parte del bacino dell’Egeo, della Grecia e dell’Italia meridionale. Il loro nome sopravvive ancora in alcuni toponimi (Zeus Pelasgo a Dodona). Ma è dal terzo millennio a.C. che si può parlare di presenza in Anatolia di una popolazione indigena chiamata dagli antropologi proto-hatti, con una civiltà propria relativamente elevata e sviluppata molto prima dell'immigrazione delle tribù indoeuropee. 
Questi proto-hatti hanno lasciato una notevole documentazioni della loro cultura, grazie alla scoperta fatta nel 1952 di una loro città risalente all’età della pietra: Catal Huyuk, distante oltre cento chilometri dalla zona del loro primitivo insediamento, per cui possiamo pensare che i proto-hatti  dominassero ormai una buona parte dell’altipiano anatolico. Decine di scavi in varie località dell'Anatolia confermano la cultura di questo popolo, con un arco che va dai quasi novemila a.C. di Catal Huyuk al 2300, anno di arrivo in Anatolia dei primi indoeuropei,i luvi ed al 2000, anno di arrivo dei più importanti indoeuropei, gli ittiti. 
Altre stirpi approdarono man mano in Anatolia. Secondo una leggenda un folto gruppo di cretesi, guidati dal pricipe Scamandro, erano sbarcati nella costa settentrionale dell’Anatolia, poi chiamata Troade ed la loro progenie avevano fondato Troia, il cui strato più antico è databile al 3500 a.C., per cui si può calcolare che dovevano essere  arrivati in Anatolia almeno mille anni prima. Il buon principe Scamandro, sempre secondo la leggenda, appesantito dagli anni, una notte mise un piede in fallo ed annegò nel fiume Xanto, che da allora prese il suo nome.
Molti achei, terminata la guerra di Troia, non tornarono più in Grecia e preferirono stabilirsi da queste parti.
Gli oriundi proto-hatti, probabilmente dopo una notevole crescita demografica, avevano varcato l’ansa del Kizil Irmak, arrivando ad Hacilar, a sud del lago Burdur, dove furono trovate case simili a quelle di Catal Huyuk, a Mersin, vicino a Tarso, luogo di nascita di San Paolo, a Beycesultan nell'Anatolia occidentale ed a Kultepe, l'antica Kanesh, a sud di Kayseri, dove gli Assiri avevano creato un fiorente emporio commerciale e qui entriamo nell'era propriamente storica, con le tavolette a caratteri cuneiformi che portano annotazioni commerciali varie, per esempio, il prezzo dell'orzo.
Ad una decina di chilometri a sud di Konya in una piana antistante al Tauro, in località chiamata Catal Huyuk, nel 1958 l'archeologo inglese James Mellaart aveva individuata una doppia collina, attraversata da un fiume che scendeva dal Tauro e si perdeva nella steppa. 
Questa doppia collina, ricoperta da erbe perenni, era formata da detriti vari, come mattoni bruciacchiati ed impastati con argilla e paglia, mucchi di ossa e cocci di ceramica. Mellaart aveva scoperto una vera propria città, abitata dai proto-hatti, sicuramente dell'età della pietra,  probabilmente la più antica del mondo, cioè più antica della stessa Gerico.  Nell'arco di tempo che fu abitata, Catal Huyuk, come del resto anche altre città come Troia, era molto aumentata in altezza per le successive stratificazioni e risultò che si doveva scavare per più di 19 metri per trovare uno strato oltre il quale il terreno era vergine.
Mellaart nel 1975 era arrivato al decimo strato, che corrisponde al 6500 a.C., dimostrando che la città era già abitata in quel periodo ed aveva avuto la fortuna di conservarsi perfettamente nel tempo grazie ai vari incendi che avevano creato un microclima, grazie al quale, sulla base dello stesso principio con il quale oggi conserviamo in vasetti la salsa di pomodoro, si era conservato tutto quello che era rimasto nella città, dopo l'abbandono da parte dei suoi cittadini, cioè ossa dei morti, resti di tessuti, residui alimentari, quadri dipinti sulle pareti e piccole statue dì argilla. 
Per determinare l'età del materiale è stato applicato il metodo del carbonio radioattivo e quello dell'analisi pollinica, messo a punto dallo svedese L. von Post, il quale aveva capito che il polline dei fiori e degli alberi era indistruttibile anche dopo ventimila anni e che dal suo esame si poteva trarre conclusioni circa il clima ed il tipo di coltivazioni fatte dall'uomo, specificando anche i tipi di piante prevalenti in una determinata epoca. Anche la valutazione del contenuto di fosfati del terreno aveva permesso di localizzare gli insediamenti umani, perché dove l'uomo è vissuto più a lungo, lasciando vari rifiuti, il terreno è più ricco di fosfati. 
Dare un'età ad un reperto archeologico quindi non è più un problema e molti studiosi pensano che sarebbe logico modificare, entro certi limiti, l’attuale divisione della preistoria, in quanto quello che vale per l'Europa settentrionale non può essere valido per la Cina o per l'Asia Minore. A Catal Huyuk, per esempio, nella così detta età della pietra, erano già in uso manufatti di rame, che altrove non sono presenti in quel periodo. Sarebbe più corretto affermare che in determinati luoghi ed in determinati periodi, non necessariamente corrispondenti, si ha un diverso uso di pietre, di legno e di metalli per la fabbricazione di armi ed utensili casalinghi.
Catal Huyuk era stata costruita con mattoni d'argilla misti a paglia e messi a seccare al sole entro forme di legno, erano pertanto tutti della stessa misura e già 9000 anni fa, durante la costruzione, erano stati sovrapposti sfalsati. La struttura portante della casa però non era costituita dai muri di mattoni, bensì dalle travi di legno con struttura reticolare, perciò i mattoni servivano solo come riempitivo per i muri divisori. Il legno per le travi proveniva probabilmente dalle zone ricche di boschi del Tauro e la stessa tecnica di costruzione è stata osservata a Creta, nel palazzo di Cnosso e nel palazzo di Nestore del Peloponneso. 
La città non aveva strade, ma era un insieme di celle-monolocali a nido d'ape, addossate l'una all'altra, per cui si sorreggevano tra di loro, con un unico accesso dall'alto, tramite una scala, tipo pueblos indiano, il tutto con la finalità di difendere la città, rendendola inaccessibile agli estranei. Le pareti erano imbiancate regolarmente con intonaco, rinnovato frequentemente. E’ stato possibile contare il numero dei singoli strati, in alcuni casi fino a centoventi, risalendo così alla storia della città.
Vivendo in queste strutture l'uomo preistorico, tra il 9000 ed il 7500 a.C., attraverso la così detta "rivoluzione neolitica” era diventato, da cacciatore e nomade, sedentario e contadino. Catturava gli animali non per mangiarli immediatamente, ma per custodirli e crearsi un rifornimento perenne di carne e di lana, addomesticando anche il cane. Era giunto a questa soluzione per una ragione ben precisa: fino a quando il territorio era scarsamente abitato, gli faceva comodo essere nomade, cacciare e raccogliere quello che gli serviva, senza averlo seminato, essere cioè un "uomo raccoglitore". Con lo sviluppo demografico questo non fu più possibile e la rivoluzione neolitica trasformò l'uomo da raccoglitore in produttore e questa evoluzione si verificò più facilmente nei paesi a clima mite, come l'Anatolia, molto più lentamente invece nell'Europa del nord, allora da poco uscita dall'ultima glaciazione.
I cittadini di Catal Huyuk vivevano in questi vasti monolocali, che servivano da cucina, soggiorno, camera da letto, tutto secondo uno schema ben preciso, con la cucina leggermente sopraelevata e con un focolare incassato nella parete, per cui il fumo fuoriusciva dall'unica apertura in alto, che fungeva quindi da porta d'ingresso e da sfiatatoio. 
Notoriamente le piogge sono scarse sull'altopiano anatolico, perciò non correvano rischi di allagamenti. Sulle pareti erano costruite delle piattaforme che servivano per sedere, mangiare, lavorare e per dormire ed in ogni abitazione poi era presente un altare. Sull’intonaco bianco delle pareti non mancavano degli affreschi policromi che rappresentavano paesaggi locali. La donna dormiva sul letto più grande, assieme ai bambini più piccoli, l'uomo giaceva sul letto più piccolo e le rimanenti spalliere erano riservate ai figli adulti. E' stato calcolato che ogni famiglia aveva una media di sei figli, ma, data la mortalità infantile molto elevata, la maggior parte degli uomini e delle donne morivano a meno di quarant'anni.
A Catal Huyuk si coltivavano per uso alimentare quattordici specie di vegetali, tra cui frumento, orzo, piselli, farro, si conosceva il vino e sicuramente anche la birra. In una pittura parietale è stato possibile riconoscere degli insetti ronzanti attorno ai fiori, perciò è quasi certo che conoscevano anche il miele. Durante gli scavi, negli strati più antichi, hanno trovato tracce di pecore, di capre e di uro (bovino estinto nel diciassettesimo secolo) e da una pittura parietale si comprende chiaramente che il cane era già un animale domestico e da caccia. 
Nei residui carbonizzati si sono trovate tracce di tessuti con frange, talora rammendati e rattoppati ed è probabile che esistessero degli specialisti tessitori in grado anche di colorare le stoffe mediante piante tintorie come la robbia, il glastro e la reseda per ottenere il rosso, il blu ed il giallo. E' interessante notare come è stata rinvenuta una gonna nella quale l'orlo inferiore era appesantito da piccoli cilindri di rame. Oltre alle stoffe per il vestiario fabbricavano stuoie e tappeti, in particolare un tipo chiamato kelim, non tessuto ma intrecciato, ancora oggi prodotto da piccoli artigiani locali.
Anche la lavorazione del legno era molto curata ed hanno trovato scodelle, ciotole e cucchiai, persino un portauovo di legno in ottime condizioni. 
La maggior parte delle armi erano lance, punte di frecce in ossidiana, che andavano a raccogliere ai margini della pianura di Konya, ai piedi dei vulcani a quei tempi ancora attivi.
Il fatto più straordinario è che la famiglia seppelliva i propri morti, divisi per sesso, sotto il letto, i maschi sotto quello dell'uomo e viceversa ed è in base a questa abitudine che si è potuto comprendere dove dormiva l'uomo e dove la donna, esaminando il sesso dei defunti. 
Questi, prima di essere sistemati sotto i vari letti, erano esposti in zone all’aperto affinché gli avvoltoi procedessero ad una completa escarnazione, con lo stesso sistema usato ancora oggi in India ed in Persia, dove i cadaveri sono depositati nelle cosiddette "Torri del silenzio". Secondo un principio molto antico la parte essenziale dell'uomo sono le ossa, perché la carne si deteriora e quello che si seppelliva sotto il letto non era il cadavere, bensì l'"imperituro", cioè le ossa. Talvolta era riposto non lo scheletro intero, ma solo una singola parte, come il cranio che veniva elaborato mediante l'uso di un colorante e di conchiglie inserite nelle orbite. 
La tumulazione dei morti in casa presumeva un sentimento di amore verso di loro, in quanto essi continuavano a fare parte della famiglia anche dopo morti, godendosi il sopore eterno nel focolare domestico. 
Alla fine dell'età della pietra si arrivò alla cremazione, considerata da alcuni troppo brutale, perché, bruciando anche le ossa, l'uomo pensava di bruciare anche l'anima. Tale concezione con il tempo si modificò e si giunse ad un punto di vista più spirituale, secondo il quale, bruciando il corpo, si purificava l'anima e l'incenerimento favorì la possibilità per i popoli nomadi di portare sempre con se i propri morti. Il trapasso dalla conservazione degli scheletri all'incenerimento mediante il fuoco si verificò in Anatolia proprio nel periodo di più intense immigrazioni. 
L'archeologo Mellaart si era chiesto perché gli uomini dell'età della pietra avessero dipinto panorami o scene di caccia sulle pareti delle loro abitazioni ed avessero modellato piccole statue di argilla. Concluse che la loro non era una manifestazione artistica, bensì un sentimento religioso e per religione non si intende qualcosa di fideistico e dogmatico, ma qualcosa di primitivo che ha più attinenza con la psicologia che con la teologia. Dell'argomento si è particolarmente interessato lo storico delle religioni Rudolf Otto secondo il quale alla base di ogni religione primitiva stanno alcune precise esperienze dell’uomo. Molto sinteticamente la prima esperienza è l’angoscia e lo spavento, che fa tremare l'uomo di fronte a manifestazioni naturali come un uragano con lampi, tuoni e fulmini, che l'uomo primitivo identifica come un essere possente che percorre il cielo su di un carro tra le nuvole, facendone scaturire i lampi ed i fulmini. La seconda esperienza è lo sbalordimento, lo stupore per qualcosa di portentoso, di animistico, concezione secondo cui ogni fenomeno dell'universo è dotata di un'anima che vive un sua vita divina degna di culto. Al tremendo ed al fascinoso si legano altre due esperienze, la paura della morte, della fine inevitabile e dell'enigma dell'aldilà, con due ben precise e divergenti impostazioni: rinascere varie volte per raggiungere la perfezione nel nirvana, cioè nel nulla, oppure accettare il concetto di immortalità dell'anima, per cui i morti non sono veramente morti, ma vivono in un mondo diverso, dove i buoni saranno premiati ed i malvagi puniti, dal che scaturisce il concetto di una giustizia superiore. La quarta esperienza fondamentale è l'estasi della sessualità, sentita come divina, grazie alla quale l'uomo crea altre vite alla pari di Dio e questo presuppone una prole numerosa che assicura la conservazione della famiglia e la continuità della stirpe e  da qui derivano i vari culti della fertilità, fondamentali in ogni religione.
Ma queste quattro esperienze non sono ancora sufficienti per formare una religione: accettata l’esistenza di un essere superiore, responsabile di tutto, è fondamentale pregarlo per ottenere da lui una prole numerosa, una pioggia o un raccolto abbondante e da questo momento inizia la religione, quando l'uomo cerca di attirare sopra di se la benevolenza dell'essere superiore mediante preghiere e sacrifici e qui gioca un ruolo importante la sua fede, cioè la sua capacità, mediante preghiere, offerte, sacrifici, anche scongiuri, di piegare al proprio volere la divinità. 
L’uomo talvolta ha la presunzione di una sua capacità, mediante il ricorso ad arti occulte, di dominare le forze della natura e questa è sempre la <mageia> dei magi persiani, che oggi fa sorridere, ma che sopravvive un po’ ovunque, anche in persone particolarmente religiose, specie nella chiesa greco-ortodossa. Il famoso quadro di Catal Huyuk rappresenta oggi il più antico paesaggio mai esistito e proviene dal settimo strato, quindi risale al 6200 a. C. In primo piano si nota una città con case di varia grandezza, nelle quali sono chiaramente accennate le strutture che fanno pensare a Catal Huyuk e dietro la città si innalza un monte a due cime con l'immagine di un’eruzione vulcanica, con colata di lava e nuvole di fumo e cenere. Il riferimento locale è perfetto, perché all'estremità orientale della piana di Konya si scorge l'unico vulcano a due cime dell'Anatolia centrale, l'Hasan dag e si sa che questo vulcano ha cessato la sua attività solo nel secondo millennio d.C. La sua immagine dipinta sul muro o è qualcosa di scaramantico, una preghiera che il vulcano non scateni la sua ira e distrugga con una eruzione Catal Huyuk, oppure un ringraziamento al vulcano, un ex-voto, per tutta l’ossidiana che ha fornito agli abitanti di Catal Huyuk, permettendo loro di  arricchirsi con il commercio di questo materiale. Non sono superstizioso, ma molti anni fa a Luxor, dopo i tre giri rituali attorno ad un grande scarabeo di pietra, ne ho acquistato uno minuscolo di pietra verde che tengo sempre nel portafoglio, fatto che mi ha permesso di superare gli ottanta anni in buona salute. 
Lo stretto legame tra religione, magia ed arte non è riconoscibile solo nei dipinti, ma anche nelle figure di terracotta, come parti del corpo collegate alla fecondità, cioè seni, fianchi e genitali, feticci creati per donare magicamente la fertilità. Una donna, contemplando queste figure, credeva di potere acquistare fecondità e dietro tutto ciò si nasconde il concetto della partecipazione magica, che ancora oggi, in certi piccoli paesi, invita donne incinte a non guardare determinati oggetti, perché il cattivo influsso potrebbe nuocere al nascituro. Dal numero delle statuette, molto più numerose quelle femminili di quelle maschili, hanno dedotto che, dopo la rivoluzione neolitica, si è verificato il passaggio dal patriarcato al matriarcato. Nel momento in cui è l'uomo ad addomesticare gli animali ed a seminare il grano, è la donna a guadagnare influenza e questo avviene anche nella mitologia greca, dove non è un dio, ma Gea, sorta dal Caos, a partorire, senza intervento del maschio, il cielo, i monti ed il mare.
Dopo una storia millenaria Catal Huyuk, verso il 5600 a.C. fu abbandonata e risorse sulla collina al di là del fiume, ma dopo settecento anni, fece la stessa fine anche Catal Huyuk Ovest.
BIBLIOGRAFIA:
Burkert W.  Da Omero ai Magi - Saggi Marsilio 1999
Daniélou  Siva e Dioniso - Ubaldini Editore  Roma 1980
Enc.Grolier  vol. 2 Asia Minore - Vol.10 Ittiti
Fodor’S  Turchia - Valmartina Editore 1986
Lehmann J.  Gli Ittiti - Garzanti 1982
McCall H.  Miti Mesopotamici - Oscar Mondadori 1995
OttoW.F. e coll.  I culti misterici
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