Maggio:
Maggio…vive tra
musiche d’uccelli…Màiu o mayu: “Appendi un ramoscello verde con
le rose rosse alla porta della tua ragazza(per lui); o del tuo ragazzo
(per lei)”.
Maggio, màiu deriva, molto probabilmente
da Maia, divinità italica, conosciuta come madre di Mercurio. In
greco maia (????)significa anche mamma o nonna; yàya in sardo, che
per molti studiosi deriva invece dal latino avia.
Maggio: è il mese più cantato
dai poeti; “Ben venga maggio…” – di Poliziano; “l’aura di maggio movesi
e olezza…” – di Dante; “Era il maggio odoroso…” – di Leopardi.
Maggio è inoltre il mese delle rose
ed il mese di Maria. Madre di Dio: “Vergine madre, figlia di tuo figlio,
// umile e alta più che creatura, // termine fisso d’et(t)erno
consiglio, // tu sei colei che l’umana natura // nobilitasti sì,
che il suo fattore// non disdegnò di farsi sua fattura. // Nel ventre
tuo riaccese l’amore,// per lo cui caldo nell’et(t)erna pace // così
è germinato questo fiore/… - (La Candida Rosa; preghiera di San
Bernardo alla Vergine; Canto 33° Paradiso – Divina Commedia, di Dante
Alighieri-). “Donna del Paradiso,// lo tuo figliolo è priso, //Iesù
Cristo Beato.// Accorre donna e vide // che la gente l’allìde, //
credo che lo si occìde, // tanto l’han flagellato//…-( Il
Pianto della Madonna di Iacopone da Todi): “Vergine bella, che di sol vestita,//coronate
di stelle, al sommo Sole // piacesti sì, che in te sua Luce ascose,
// amor mi spinge a dir di te parole: //…- (Petrarca – Canzone alla Vergine-).
“ Aba Maria, de gratzia prena, su Sennòri est cun tegus, beneditta
ses tui intr’’e is feminas, e benedittu est su fruttu de is intrannyas
tuas, Gesusu. Santa Maria, mamma de Deus, prega po nos aterus peccadoris,
imoi e in s’hora de sa morti nosta. Amen ( - L’Ave Maria in sardo-)
1° maggio:
Festa del Lavoro; la festa della Classe Operaia, la festa dei comunisti:
così la chiamavano; e, a titolo, più o meno, di ripicca:
la festa di San Giuseppe falegname per la Chiesa Cattolica! Per chiarire
il concetto vi racconto una storia del passato recente, politica chiaramente!
“Tempo fa, ma non tanto, di 1° maggio,
in Paradiso furono indette elezioni politiche e immantinente si votò(
in quei posti la burocrazia è fuori luogo). Tutti, nessuno escluso,
depositarono la propria scheda nell’urna. Del resto Pietro, presidente
di seggio (unico chiaramente) fu attento vigile affinché la consultazione
venisse fatta in rispetto delle regole. Depositate tutte le schede, lo
stesso Pietro si accinse al compito di “spoglio”, e per fare più
in fretta ed anche perché spinto da forte curiosità e da
un sospetto, che però riteneva del tutto infondato, prese l’urna
e ne rovesciò il contenuto sul tavolo. Paolo, fungendo da collaboratore
(scrutatore), gli porgeva ad una ad una le schede, abbastanza velocemente:
Democrazia Cristiana, Democrazia Cristiana, Democrazia Cristiana…e così
sino alla fine dello spoglio. Guardò Paolo soddisfatto e notò
inoltre la contentezza del suo collaboratore. Pietro rifletté
velocemente sulle false voci di corridoio. I sospetti erano quindi del
tutto infondati. Prese l’urna per rimetterla al suo posto e però
notò che in questa c’era rimasta una scheda, incastrata nel fondo!
La levò con cura e tenendola per mano ebbe un terribile sospetto:
“E se le voci di corridoio fossero vere”? Al sospetto si aggiunse l’apprensione
e la paura insieme! Ma non poteva certo nasconderla, la sua coscienza glielo
impediva assolutamente; aprì la scheda…Partito Comunista!!! “Santa
Barbara mia del cielo - esclamò – abbiamo un comunista in
Paradiso”! Chiamò subito a se Paolo e decisero insieme di scoprire
chi fosse il “malandrino”. Vedendo la preoccupazione dei due, per toglierli
subito dall’ansia, si avvicinò Giuseppe: “ Non c’è alcuna
inchiesta da fare, e non ci sono segreti da tenere, il comunista sono io,
e allora? Avete tanto da aggiungere”? “Ma proprio tu, Giuseppe, il padre
di Gesù, comunista”? Lo riprese Pietro. “E’ una vergogna”! Aggiunse
Paolo. “ E’ proprio che non mi volete in mezzo a voi; e va bene me ne vado.
Maria – rivolgendosi alla moglie – prendi in fretta il Bambino e andiamocene
da qui e se tutti questi avranno il desiderio di baciare il Bambino, baceranno
invece l’asinello”!!!
1° maggio:
la Sagra di Sant’Efisio. Le città di Cagliari e Pula festeggiano
Sant’Efisio Martire. La sagra a lui dedicata è uno dei più
importanti eventi religiosi e folcloristici della Sardegna. Ogni 1°
maggio, lungo le strade del centro storico della città si snoda
la più grande e colorata processione del mondo ( vedi nel Web: la
sagra di Sant’Efisio). Padre Fortunato Ciomei, passionista, nella sua opera,
“Gli Antichi Martiri della Sardegna” Ed. Poddighe – Sassari (vedi nel Web),
esamina ampiamente la vita e la “passione” del Santo, riportandole dagli
“Anacleta Bollandiana” – III(1884) pp. 362-377, che le attinsero
dal Codice Vaticano n° 6453.
Il Bogino: su Bugìnu: “Su Bugìnu
ti currat; su Bugìnu tindi seghit sa moba de su tzugu; su Bugìnu
t’impikkit; …(Il Bogino ti rincorra; il Bogino ti decapiti; il Bogino ti
impicchi; ..queste ed altre simili espressioni caratterizzano la
figura storica del conte Gian Battista Lorenzo Bogino. Nato a Torino nel
1701, laureatosi in legge a soli 17 anni, pur giovanissimo fu al seguito
di Vittorio Amedeo II re di Sardegna; a 22 anni, Procuratore Generale e
poi guardasigilli. Nel 1731 Carlo Emanuele III lo promosse Auditore Generale
di Guerra. Nel 1742, al riaprirsi delle ostilità con la Spagna,
fu eletto Primo Segretario di Guerra. Nel 1750 fu ministro di Stato (esteri).
Dal 1759 ebbe l’incarico di sovrintendere alle cose di Sardegna. Per prima
cosa ordinò di rimettere a posto le strade dell’Isola e di istituire
un Pubblico Servizio Postale. Nel suo vastissimo programma di opere era
compreso il prosciugamento delle paludi, il miglioramento dell’agricoltura,
con l’introduzione della coltura del tabacco e del gelso per il baco da
seta; l’attivazione delle miniere; la riforma dei Monti Frumentari, per
liberare gli agricoltori dalla cancrena dell’usura. Per promuovere l’istruzione
si impegnò creare scuole pubbliche, stampe di libri e la resurrezione
delle Università di Cagliari e di Sassari. Diede alla Sardegna un’impronta
di italianità, prescrivendo l’uso della lingua italiana negli atti
pubblici, al posto della spagnola. Fu molto attento nell’Amministrazione
della Finanza Pubblica, per cui si inimicò molta gente negli ambienti
militari e della nobiltà. Anche nell’Amministrazione di Giustizia
colpì con severità i criminali ed i loro complici, tra le
cui file erano molti della classe dei feudatari. Restrinse pesantemente
i privilegi ecclesiastici e dei nobili, ai quali tolse l’arbitrio di imporre
servitù.
Fu odiato quindi da ecclesiastici, nobili
e militari: così si spiega infatti la sua fama di uomo feroce, sadico,
diabolico e senza scrupoli. In realtà un uomo di tale statura culturale,
etica e politica, se avesse avuto la possibilità di portare a termine
le sue eccezionali proposte di riforma, sarebbe stato un vero e proprio
salvatore per la Sardegna del tempo, lacerata da secolari piaghe, inferte
da infelicissime dominazioni straniere, tra le quali la peggiore fu senz’altro
quella spagnola!
La morte del re Carlo Emanuele gli impedì
di portare avanti il suo programma appena iniziato. Il successore Vittorio
Amedeo III°, spinto e convinto dai suoi consiglieri degli ordini ecclesiastico,
nobile e militare, tolse al Bogino le cura delle cose di Sardegna:
isola e relativa popolazione a lui tanto cara! Trascorse gli ultimi anni
di vita scrivendo le sue memorie e le sue esperienze. Fu in contatto con
gli illuministi milanesi, soprattutto con quelli della rivista culturale
“Il Caffè” dei fratelli Verri. Con Cesare Beccarla, grande e famoso
giureconsulto milanese, nonché nonno materno di Alessandro Manzoni,
scambiò per lungo tempo impressioni, opinioni e concetti. Accanto
al Bogino, noi ricordiamo due figure di uomini, tra i pochi di elevata
statura ecclesiastica e politica, che seguirono con attenzione e partecipazione
il suo “progetto di riforma” per la Sardegna. Pilo, frà Giuseppe
Maria – Vescovo della diocesi di Ales – Terralba, dal 1761 al 1786. Durante
il periodo del “Riformismo” boginiano si distinse per l’impegno rivolto
a favore dei ceti rurali. Si prodigò per difendere la cultura: apri
le scuole del Seminario a tutti, specialmente ai poveri. Potenziò
i Monti Frumentari, onde eliminare la piaga dell’usura. Nel 1779 per ridurre
le conseguenze della siccità fece appello ai ricchi, e, lui stesso,
impegnò i mobili e l’argenteria per comprare grano da distribuire
ai poveri (Dal Di. Sto. Sa. di F. C. Casula).
Carta, Antonio Giovanni, sacerdote – Originario
di Santu Lussurgiu, visse in epoca sabauda del Regno di Sardegna. Fu seguace
di Giommaria Angioy. Il suo nome è incluso in una nota di soggetti
“sospetti” trasmessa al vicerè in data 13 giugno 1796. In qualità
di rettore di Simala è indicato nell’elenco dei capi della
rivolta di Santu Lussurgiu del 5 ottobre 1800. Esiliato a Villacidro, ebbe,
per nomina del vescovo di Ales l’importante parrocchia di Guspini. Autore
di varie pubblicazioni, fra le quali una, molto importante, sullo sviluppo
dell’Agricoltura in Sardegna. A lui si deve la bonifica della palude di
Urradìli (Còa Nuèdda), in agro di Guspini, lottizzata
fra i poveri del paese. Gli abitanti di Guspini lo ricordano con grande
onore e rispetto(Di. Sto. Sa.).
24 maggio 1915
– L’Italia entra in guerra contro l’Austria e la Germania – 1^ guerra mondiale,
scoppiata nel 1914 (23 luglio, Ultimatum dell’Austria alla Serbia, il giorno
dopo l’assassinio dell’Arciduca Ferdinando e della moglie a Serajevo).
La Grande Guerra, così fu soprannominata, si concluse il 30 ottobre
del 1918. Risultato: 9 milioni di morti e 21 milioni di feriti e mutilati;
spese di guerra: 600 mila milioni di dollari – 12 volte il reddito annuo
degli Stati Uniti d’America del 1916.
Per l’Italia la guerra durò dal 24
maggio 1915 al 24 ottobre 1918 – vittoria di Vittorio Veneto. Costò
all’Italia la vita di oltre 650 mila giovani ed altrettanti furono i feriti
e mutilati. La Sardegna offrì generosamente il suo contributo di
sangue: 13 mila e 600 morti e oltre 20 mila tra feriti e mutilati, dei
99 mila partecipanti al Conflitto. Nella media italiana, circa il 64% dei
partecipanti alla guerra e quindi dei morti e dei feriti, proveniva da
famiglie contadine. I sardi si distinsero soprattutto nell’eroica resistenza
del Fiume Piave, dopo la “ritirata di Caporetto” – 27 ottobre 1917: “il
Piave mormorò//non passa lo straniero – A Savoia, a Savoia…Aioh,
a boccì brebeis”! (vedi nel Web Giuseppe Concas – racconti e leggende
del Campidano –“Antioco Cipolla, eroe del Carso”). Il re Vittorio Emanuele
III°, a Vittorio Veneto, ringraziò solennemente i giovani della
Brigata Sassari e pronunciò grande vanto per lo spirito combattivo,
l’abnegazione, il patriottismo, del popolo sardo…”A Savoia…A Savoia…Aioh,
a boccì brebeis”! Per tanto sacrificio evidenziato, il re d’Italia
promise “grandi cose” per la Sardegna ed i sardi…non mantenne neppure una
sola delle sue promesse! “ Ma ita boléus, nosu sardus, pagus e streulàus”?
(“Ma che cosa vogliamo, noi sardi, pochi e disuniti”?).
Ultima domenica di maggio
– Gonnosfanadiga. Per la popolazione di questo borgo, ubicato alle pendici
settentrionali del Monte Linas (Sardegna sud occidentale), è la
“Grande Festa” – “Sa Festa Manna”, che si rinnova di anno in anno, nell’ultima
domenica di maggio. Le varie fasi: solenne processione, che si snoda lungo
le vie del centro abitato, col simulacro della Beata Vergine della Salute,
con la partecipazione della Banda Musicale G. Puccini di Gonnosfanadiga.
Partecipano inoltre: i carabinieri a cavallo, gruppi folk dei paesi vicini,
cavalli e cavalieri e carrozze, gruppi in costume di vari paesi, etc. E’
il turno poi della festa popolare con varie manifestazioni sportive e musicali.
Il tutto termina coi favolosi fuochi d’artificio, solitamente col Gruppo
Oliva di Pabillonis. Origini della festa - da un documento parrocchiale:
“ Nella chiesa di Sant’Elia ( la vecchia chiesetta – cresièdda),
sui cui ruderi sorge la chiesa del Sacro Cuore) ebbe sua culla e consolante
sviluppo la devozione alla Madonna della Salute. Porta la tradizione che
a lanciare la prima scintilla di questa devozione , fosse un pia signora,
venuta qui in villeggiatura, la quale, entusiasta del culto che la Madonna
della Salute riscuoteva nel tempio di Sant’Antonio a Cagliari, regalava,
nel maggio del 1846, un’effigie di Lei in piccola litografia, da esporsi
alla pietà dei fedeli. La semenza cadde in buon terreno e non passò
gran tempo che a questa litografia si volle sostituire una oleografia in
grande , riccamente inquadrata , per essere a sua volta sostituita da un
piccolo, ma grazioso simulacro in legno, inaugurato per la prima festa
solenne del maggio 1849. Contemporaneamente veniva eletto Conservatore
il vice parroco rev. Salvatore Vacca, che disimpegnò questo ufficio
finché nel 1854 veniva sostituito dal rev. Antioco Saiu, pure vice
parroco, il quale mantenne questa delicata mansione sua vita durante: curava
con grande diligenza le devozione verso la Madonna della Salute e si accendeva
di zelo tutto suo come andava approssimandosi la festa, per addobbare con
finezza di gusto la chiesa e preparare quel trono smagliante di fiori e
di stelle, dal quale la Vergine soggiogasse i cuori dei figli, larga dispensatrice
di tesori di Salute”! La storia del culto: “ Questo titolo della Madonna,
si iniziò venerare in Cagliari, nell’anno 1827, per lo zelo del
padre Francesco de Melas, di Lodini, dell’Ordine di San Giovanni di Dio
( ne porta ancora il nome l’attuale Ospedale Civile del Capoluogo sardo),
religioso di santa vita, morto nel 1851, le cui spoglie mortali si conservano
nella chiesa di Sant’Antonio Abate, già appartenente a quel caritatevole
istituto. Nel 1827 il padre De Melas, per eccitare maggiormente i fedeli
all’amore di Maria Santissima, collocò nel portico adiacente alla
chiesa di Sant’Antonio, un vecchio quadro della Vergine ed il popolo, non
conoscendone il titolo, la invocava Nostra Signora del Portico. Conosciutone
il titolo da un padre gesuita, il buon padre De Melas, ne fece fare
un quadro nuovo in tela, dal pittore lucchese Vincenzo Consastri e lo sostituì
al vecchio, che venne collocato nell’ospedale. Lo zelo del padre De Melas,
accese ben presto i devoti cagliaritani al culto di Maria Santissima della
Salute, che in continue grazie si attirava gli sguardi dei suoi figli ed
in breve il portico divenne luogo di comune venerazione e, crescendo l’affluenza
dei devoti, il padre De Melas pensò di collocare il prodigioso
quadro nella chiesa di Sant’Antonio. Pertanto nel 1831 in una cappella
di essa, rimosso il quadro di Santa Rosalia, vi fu riposto quello della
Madonna della Salute. Abbellita con eleganza la cappella, venne costruito
l’altare di marmo e collocata la balaustra, pure di marmo e nel 1844
fu adornata di vetrate dipinte dal pittore Antonio Caboni, per le quali
si spesero ben 240 scudi sardi. Il giorno 29 settembre di ciascun anno
fu stabilito per la festa della Santissima Vergine della Salute; giorno
che spesso si fa precedere dall’esercizio delle dodici domeniche . tempi
addietro, dodici sacri oratori predicavano in quelle domeniche e preparavano
i fedeli alla solennità di quel giorno…”
Il racconto del mese.
“Toro Seduto”!
Po nosu picciokkeddus, su bixinau de su Forraxeddu
fiat tottu. A manjanu sa scola nosi teniat u’ pagu a tes’’e pari, ma a
merì, tottus a una cambaràda fiaus ingunis, in sa pratza
de sa bia o in mesu ‘e is perdas murras de s’arriu, is gabbionis
de is arginis non dho-y fiant ancora, a giogai a biccus de perda, a mundeddu,
a cuai, a cassai, a cuaddus fortis, cun is baddarincus e a crocuas, a su
giogu de su sedatzeddu, maskixeddus e femineddas. In mesu ‘e frumini, candu
no dho-y fiat prus s’acqua, fadaiaus barrakkeddas de perda. Ma nosu mascus
giogaiaus puru a sordaus e indianus, cumenti biaiaus in cinima. E,
de sigumenti nosi praxiat a stroci cussus ki biaiaus in cinima, fadaiaus
fosillis de canna, is sordaus e arcus e freccias is indianus. S’attori
sordau fiat sempri Antoni P. Si iat fattu unu fosilli de canna e cun una
tira de camera d’aria de bicicretta sparàda sticconis de canna
e a chini ferriant fadianta puru mali:ay cussu dhi tzerriaiaus Buffalo
Bill. Invecis Pinucciu S. si iat fattu una corona de pinnas de coca, un
arcu de ollastu bellu e forti e po freccias is isteccas de ferru de unu
paracqua becciu, beni accutzàdas in sa perda murra: issu fiat Toro
Seduto, su capu indianu. Sa guerra tra sordaus e indianus dha fadianta
cussus dus a solus e nosu abarraiaus a castiai. S’accarrabullànta
e si strumpànta in terra cument’‘e mantinìccas. Kini binciat,
po premiu, deppiat arriccì una carda de corpus de tottu nosu impari.
E de sigumenti binciat sempri Toro Seduto, issu, finìda sa batalla,
si poniat in mesu ‘e nosu, s’incrubàda, si poniat is manus
in su tidìnju, donendisì is pabas po dhu carzulai. E nosu
dhu pigaiaus a bucciconis e spabàdas avatt’’e s’unu s’atru. Dhi
pigàda unu arrisixèddu de machilottu e cantu prus attrippaiaus
prus arriat. De annomingiu su babbu e tottu dhi iat postu Pirinu,
poi is modus strambus ki teniat de fai is cosas. Candu si ndi artziàda
de sa carzulàda sighiat a arrriri e si ‘onat bucciconis a su pertus
tzerriendi: “Toro Seduto, Toro seduto”! Insandus andàda a si sei
in su tronu de gurrei ki si iat fattu me in su muntoni mannu, mannu de
s’areni ki iat fattu scarriai su babbu tziu Ninu, ca fiat fadendisì
sa domu noba, accanta, accanta de s’arriu. In mes’’e cussu muntoni si iat
fattu sa cadira de rei e abarràda ingunis oras e oras setziu: cun
sa corona de pinnas de coca e una pariga de strisciàdas in facci
de lucidu nieddu de crapittas e de asulettu, furau a tzia Annetta, sa mamma,
parriat diaderus Toro Seduto. Prus ke tottu est Antoni ki dhi faiat su
segapei e dhu sfidàda a sa batalla. U’ manjanu, cade a is undici,
dho-y fiaus tottus, ca fiat in s’istadi e is iscolas fiant serràdas,
Antoni P. iat sfidau a Pinucciu a sa guerra vera, bantendisì anant’’e
tottus: “ Hoi Buffalo Bill donat una bella mallàda a Toro Seduto”!
Iat carriau su fusilli de canna e dhu iat sparau cun dh’unu sticconi beni
accutzau, ki fiat abarrau appiccau in sa peddi de su pertus a Pinucciu.
Dhi fiat pigau s’arrisixèddu de makilottu, iat accanciau in pressi
s’arcu de ollastu, nci dh’iat postu una freccia de paracqua, beni appuntida,
maccai essat tottu arruinàda, iat parau s’arcu conca a Antoni, ma
cussu si fiat fuiu disisperàu, e Pinucciu avattu: “ Abarra pagu,
pagu Buffalo Bill, ca hoi ti fatzu biri puru a Kit Carson, a Pecos Bill
e a tottu is isteddus de cinima”! Antoni si fiat cuau a palas de una murighina
de perda e fadiat s’incara cua cun sa facci. Pinucciu stendiàda
e cuddu si cuàda. Insandus Antoni po dhi fai su segapei inveci de
sa facci ndi iat bogau sa camba a foras: menu mali puru, ca no nd’iat bogau
sa facci. Pinucciu si dha iat incanugàda e teniat s’arcu giai stendiàu.
Sa freccia de paracqua fiat partita ke u’scuettu e iat pigau in prenu sa
camba de Antoni, trapassendìdha de parti in parti, propiu in su
pisciòni. Antoni ndi iat ghettàu un erkidu cant’’e is tiaulus
e a Pinucciu dhi fiat pigau torra s’arrisixeddu de makilottu: “ Hat bintu
Toro Seduto – dhi naràt – e tui dh’has attaccàu a traitorìa”!
Lucianu C. unu de nosu, iat cumprendiu ca sa cosa no andàda meda
beni e iat nau ca toccàda a portai Antoni a su dattori e de pressi
puru. Fiat cutu a domu sua e ndi iat liau sa bicicretta de Giovanni, su
fradi, iat fattu sei Antoni, a skilìttus de su dolori, in telaiu
e via a s’ambulatoriu de dattori Garau. E nosu tottus avattu, currendi
ke maccus, Toro Seduto puru, fiat cutu cun nosu, portàda ancora
sa corona, ma s’arcu dhu iat lassàu scavuau accant’’e su muntoni
de s’areni. Fiat u’ pagheddu impentzamentau, e no arriat plus! Ma de su
restu sa nexi no fiat sa sua, poita ca Antoni dhu iat scinitzau! Arribaus
a su de dattori Garau, Lucianu iat pigau in bratzus Antoni ancora frikingendi
de su dabori e nci dhu iat intrau in s’ambulatoriu: “ Ma lobai oh!
- si fiat fatu su dattori - e custu ita bollit nai, ki ti nci hat istikkiu
custa specie de busa arruinàda in sa camba”? “ Toro Seduto”! Iaus
arrespostu tottus impari. “Toro Seduto? – iat torràu su dattori
e kini stoccàda esti custu Toro Seduto”? Pinucciu si fiat fuiu,
currendi ke su ‘entu; parriat Cavallo Pazzo, atru ke Toro Seduto! Dattori
Garau fiat accostau a sa camba de Antoni, iat accanciau sa freccia e ndi
dha iat tiràda cun frotza. Cuddu poburu Antoni ndi iat ghettau u’scramiu,
cant’’e is tiaulus. Appustis dattori Garau iat pigau una bottiglia de tintura
d’iodiu, ndi iat acciuppau unu kirrioni de cattoni frusciu e si dhu iat
premiu a pati e atra de sa camba. “Tòrra a beni abarigàu,
ca ‘ollu biri sa camba e naramìdha ita ti nànta”! “
Buffalo Bill”! Iaus acciuntu nosu, tottus impari. “Buffalo Bill?- ia torràu
su dattori - jei seus pigàus beni, hoi puru”! Bah, toccai
puru, piccioccus - iat accinutu, arrenegau – e candu giogais a attoris
e indianus sparaisì a pidus inveci de freccias arruinàdas”!
Arregolendìndi sa freccia iat finiu: “Custa abarrat inoi e
imoi currèi puru, conc’’a bixinau de bos atrus ca po hoi jei si
seis spassiaus meda”! Fiaus torraus a bixinau; Pirinu fiat torrau prim’’e
nosu e dhu iaus agattàu setziu in su tronu, ma fiat ancora impentzamentau.
Antoni tzòppi, tzòppi, si fiat accostau a Toro Seduto po
dhi nai: “M’has fetti fertu, no m’has ancora mortu”! A Pirinu dhi fiat
torrau su sanguni a logu! Ma no iat acciuntu nudda, fetti dhi fiat torrau
s’arrisixèddu de makilottu!
Antoni C. no fiat de su bixinau de su Forraxeddu,
ma beniat in mesu ‘e nosu, cun fradis e sorris e atrus, de su bixinau de
sa Matt’’e s’Umu: fiant una surra is fillus de Fiebèddu e de Mariuccia
M. Cussu puru teniat is ispiritus de is capus indianus e de sigumenti fiat
barrosu e de puba bacciòcciu, dhi fiat accuccàu ca Toro Seduto
fiat cussu e no Pinucciu e iat spainau mintzidiu contras a Pirinu, narendi
ca no balliat nudda, e ca su capu indianu ueru fiat cussu e ca sa cadira
de capu indianu, me in su muntoni de s’areni, spettàda a-y cussu.
E portàda puru sa corona, ma de pinnas de pudda, liàdas de
is puddas de sa nonna, tzia Maria Z. Pinucciu intendendìdhu si iat
a essi potziu offendi, invecis cumenti e ki mai! Perou dhi iat nau: “ Hoi
su capu seu deu, cras invecis has a essi tui, ma toccat a fai su giuramentu
ananti de tottus is picciokkeddus e picciokkeddas de is bixinaus, su de
sa Matt’’e s’Umu, e de su Forraxeddu, de aici fadeus su passaggiu de su
cumandu, anant’’e tottus”! A Antoni C. no fiat patu mancu beru e po su
prexu iat fattu una furrièdda in aria e fiat arrùtu a pesu
mortu, a terra, giumai no si segàt sa skina! “Cras pagu prim’’e
mesudì - dhi iat nau Pinucciu – presentadhì inoi cun is indianus
de sa tribù de sa Matt’’e S’Umu, po sa tzirimònia”! De kitzi
Pinucciu fiat bessiu a su sattu e ndi fiat torrau cun dh’unu saccu, abini
dho-y portat cosa, ma no si biat beni ita. E si fiat postu a cuncodrai
me in su setzidroxu de su gurrei in su muntoni de s’areni. Iat allichidiu
su logu beni, beni e pagu prim’’e mesudì fiat tottu prontu. E dho-y
fiaus tottus de su bixinau de su Forraxèddu e de su bixinau de sa
Matt’’e s’Umu, abettendi a sonai is campanas de Cresiedda, de mesudì.
Pagu prima Pinucciu iat tzerriau a Antoni, narendidhi: “ Beni a inoi, tenit
prontu, ca pena ki cumentzant a sonai is campanas tui diventas Toro Seduto.
Cuddu poburu picciokkeddu de su prexu ki teniat no iat pentzau mancu de
tesu a su ki dh’aspettàda. Mancu nosu sciaiaus ita iat fattu Pinucciu,
ma conoscendìdhu pentzaiaus a calincuna trassa de is suas. Pena
ki iant incumentzau a sonai is campanas, Pinucciu nci iat fattu accostai
a Antoni a su setzidroxu, de fronti a tottus: “ Deu imoi ti nomenu Toro
Seduto, setzitidha in su tronu de su gurrei”! E di iat puru donau un’accolladèdda
a su pertus. Is ogus de Antoni luxiant ke su sprigu, de su prexu e setziu
si nci fiat a sciòffu. Midh’arregordu cumenti e ki essat imoi: fiat
u’ picciokeddu bellu e bacciocciu, a cratzoneddus crutzus, dhi parrianta
is nadias beni impruppidas. Cumenti si fiat setziu -“Santa Barbara de su
xelu”-, su prexu dhi fiat passau, scedau puru! Ndi iat ghettau u’
scramiu cant’’e is tiaulus, e si ndi fiat artziau cumenti e unu pibitziri,
cun dh’una folla manna, manna de figu morisca, cun is ispinas longas, longas
stikkidas in panéri. No fiant abarraus nimancu a sighì sa
tzirimonia, is de su bixinau de sa Matt’’e s’Umu. Iant sartau s’arriu currendi.
“Genti mala, cussa de su Forraxeddu”! Narànta. Ndi haus a
teni nexi nosu! In su mentris a Toro Seduto, setziu in su tronu, cun s’arcu
de ollastu e is freccias de paracqua in manu, sa corona de pinnas de coca
in conca, dhi fiat torrau a pigai s’arrisixeddu de makilottu e no dha finìat
plus!
Peppi |
Traduzione (letterale)in italiano
Per noi bambini, il vicinato di Via su Forraxèddu era tutto.
Di mattino la scuola ci teneva un po’ separati, ma di pomeriggio eravamo
lì tutti insieme, nel piazzale della strada o in mezzo ai sassi
del torrente, gli argini a “gabbione”non c’erano ancora, a giocare a birilli
di pietra, a mondello, a nascondino, ad acchiapparsi, a cavalli forti,
con i trottolini e con le trottole, al gioco del setaccio, maschietti e
femminucce. In mezzo al torrente, quando non c’era più l’acqua,
costruivamo capanne di pietra. Ma noi maschietti giocavamo pure a soldati
e indiani, come vedevamo al cinema. E siccome ci piaceva imitare quelli
che vedevamo al cinema, costruivamo fucili di canna per i soldati, archi
e frecce per gli indiani. Il primo attore soldato era proprio Antonio P.
Si era costruito un fucile di canna e con una tirella di camera d’aria
di bicicletta, sparava proiettili di canna, che, a chi colpivano, facevano
pure male: lo chiamavamo Buffalo Bill. Mentre Pinuccio S. si era costruito
una corona di penne d’oca, un arco di olivastro bello e robusto e per frecce
le stecche di ferro di un vecchio parapioggia, opportunamente appuntite
nella pietra di granito: lui era Toro Seduto, il capo indiano. La guerra
tra soldati e indiani, in effetti, la facevano loro due da soli, e noi
eravamo spettatori. S’accapigliavano e si gettavano a terra come scimmioni.
Chi vinceva, per pena, doveva subire un sacco di botte da parte di tutti
noi insieme. E siccome vinceva sempre Toro Seduto, finita la lotta, si
piegava in avanti, si metteva le mani nella nuca, dandoci le spalle per
l’assalto. E noi giù, pugni e pacche a tutto spiano. Iniziava a
ridere sguaiatamente come un scemo e più riceveva botte più
rideva! Di soprannome lo stesso padre gli aveva messo Pierino, per il modo
eccentrico che aveva nel comportarsi. Quando, infatti, si rimetteva in
posizione verticale, continuava a ridere e si dava pugni nel petto urlando:
“Toro Seduto, Toro Seduto”! Quindi andava a sedersi nel suo trono di re,
che si era ricavato nel grosso mucchio di sabbia, che aveva fatto depositare
il padre, zio Nino, chè stava costruendosi la casa nuova, nelle
vicinanze del torrente. In mezzo a quel mucchio si era ricavato il trono
e rimaneva lì ore ed ore seduto: con la corona di penne d’oca ed
un paio di strisce in viso di lucido nero per scarpe e di azzurrino,
preso a zia Annetta, la madre, sembrava veramente Toro Seduto! Ma è
Antonio P. che provocava continuamente Pinuccio, sfidandolo alla lotta.
Un mattino, verso le undici , c’eravamo tutti, era d’estate e le scuole
erano ormai chiuse, Antonio lanciò la sfida alla guerra vera, glorificandosi
davanti a tutti: “Oggi Buffalo Bill da una bella strigliata a Toro Seduto.
Caricò il fucile di canna a gli sparò un proiettile
ben appuntito, che rimase conficcato nella pelle del petto di Pinuccio.
Fu preso dal solito sorriso da scemo, impugnò in fretta l’arco di
olivastro incoccando la stecca ben aguzzata, anche se arrugginita, tese
l’arco rivolgendolo verso Antonio; ma lui scappò via fortemente
impaurito. Ma Pinuccio lo inseguiva: “Fermati un po’ Buffalo Bill, ‘chè
oggi ti faccio vedere anche Kit Carson, Pecos Bill e tutti gli astri del
cinema”! Antonio si era nascosto dietro un mucchio di pietre e faceva capolino.
Pinuccio tendeva l’arco e lui si occultava. Allora Antonio per stuzzicarlo,
invece del viso portò fuori una gamba: meno male, poiché
Pinuccio s’era preparato e aveva già l’arco teso al massimo. La
freccia partì come un petardo e prese in pieno la gamba di Antonio,
trapassandone il polpaccio da parte a parte. Antonio emise un gemito diabolico
e a Pinuccio tornò subito il sorriso da scemo: “ Ha vinto Toro Seduto-
gli andava ripetendo – anche se tu l’hai preso a tradimento”! Luciano
C., uno di noi, capì subito che la situazione era piuttosto seria
e disse che bisognava portare in fretta Antonio dal medico. Corse a casa
sua, prese la bicicletta di Giovanni il fratello, fece montare Antonio,
che urlava senza sosta, in telaio e via all’ambulatorio di dottor Garau;
e noi tutti dietro, correndo come forsennati! Pure Toro Seduto era insieme
a noi, portava ancora la corona, ma l’arco l’aveva lasciato a terra nei
pressi del mucchio di sabbia. Appariva un po’ preoccupato e non rideva
più! Ma del resto la colpa non era del tutto sua, ‘chè Antonio
lo aveva provocato! Arrivati dal medico Luciano prese con le braccia Antonio,
che ancora gemeva per il dolore e lo portò dentro l’ambulatorio.
“ Ma guarda un po’ – esclamò il medico – e questo che significa?
Chi ti ha infilato questa specie di ferro arrugginito nella gamba”? “Toro
Seduto”! Rispondemmo, tutti in coro. “Toro Seduto? – riprese il medico
– e chi diavolo è questo Toro Seduto”? Pinuccio scappò via,
correndo come il vento: sembrava Cavallo Pazzo invece che Toro Seduto!
Dottor Garau si avvicinò alla gamba di Antonio, prese la freccia
e la estrasse con forza. Il povero Antonio emise un urlo diabolico. Quindi
dottor Garau prese la bottiglia della tintura di iodio, inzuppò
un battutolo di cottone idrofilo e lo premette da una parte e dall’altra
della gamba. “ Torna qui dopodomani, ‘chè voglio vederti la gamba
e dimmi come ti chiami”! “ Buffalo Bill”! Rispondemmo tutti in coro. “
Buffalo Bill? – soggiunse il medico – siamo presi bene anche oggi”! “Bah
–continuò – andate pure ragazzi – e concluse in tono severo – quando
giocate a attori e indiani sparatevi a peti invece che con le frecce arrugginite”!
Prendendo la freccia ci licenziò: “ Questa rimane qui e ora correte
a casa vostra, per oggi già vi siete divertiti”! Tornammo al vicinato;
Pierino era già rientrato. Lo trovammo seduto nel trono, ma era
ancora preoccupato. Antonio, ancora zoppicante si avvicinò a Toro
Seduto per dirgli: “ Mi hai solo ferito, non sono ancora morto”! A Pierino
tornò la serenità; ma non aggiunse niente, solo gli venne
di nuovo il sorriso da scemo!
Antonio C. non era del vicinato di Via Forraxeddu, ma veniva in mezzo
a noi, con fratelli e sorelle e altri, dal vicinato della Pianta dell’Olmo:
erano tanti i figli di Fiebèddu e di Mariuccia M. Anche lui aveva
il pallino del capo indiano e siccome era altezzoso e fisicamente
robusto, gli venne in testa che Toro Seduto era lui e non Pinuccio e mise
in giro, con malignità, la voce che non valeva nulla e che il vero
capo indiano era lui e il trono di re nel mucchio della sabbia spettava
a lui. E portava persino la corona, ma di penne di gallina, prese alle
galline della nonna, zia Maria Z.. Pinuccio sentendolo, avrebbe potuto
offendersi, invece non evidenziò rifiuto alcuno; però gli
disse: “ Oggi il capo sono io, domani invece sarai tu, ma bisogna fare
il giuramento davanti a tutti i ragazzini e ragazzine del vicinato della
Pianta dell’Olmo e di quello di Via Forraxeddu; così facciamo il
passaggio del comando, davanti a tutti”! Per Antonio era un sogno e per
la gioia fece una capriola in aria e cadde a terra a peso morto,
rischiando di rompersi la schiena! “Domani, poco prima di mezzogiorno –
aggiunse Pinuccio – presentati qui con gli indiani della tribù della
Pianta dell’Olmo per la cerimonia”! Di mattino presto, Pinuccio uscì
in campagna e tornò con un sacco, dentro al quale portava qualcosa,
ma non si capiva di che si trattasse. E si mise a preparare bene, bene
il trono del re, nel mucchio di sabbia. Poi ripulì tutto intorno
e poco prima di mezzogiorno era tutto pronto. C’eravamo tutti, del vicinato
di Via Forraxeddu e del vicinato della Pianta dell’Olmo, aspettando il
suono di mezzogiorno delle campane del Sacro Cuore. Poco prima Pinuccio
chiamò Antonio, dicendogli: “ Stai qui, tieniti pronto, poiché
appena cominciano a suonare le campane tu diventi Toro Seduto. Quel povero
ragazzino per la grande gioia, non pensò neanche minimamente a ciò
che l’aspettava. Neppure noi sapevamo che cosa Pinuccio avesse ordito,
ma conoscendolo bene pensavamo a qualcuna delle sue diavolerie! Appena
iniziarono a suonare le campane, Pinuccio fece avvicinare Antonio al “trono”,
e di fronte a tutti: “Io ora ti nomino Toro Seduto, siediti pure nel trono
del re”! E gli diede una leggera spinta sul petto. Gli occhi di Antonio
erano lucidi di gioia e sedette di botto. Ricordo il fatto come stesse
avvenendo in questo momento: era un ragazzino belloccio, Antonio C., coi
calzoncini corti mostrava delle natiche ben tornite e bene in polpa. Come
sedette –“Santa Barbara del cielo”! – la sua gioia cessò immantinente:
poverino! Emise un urlo di dolore infernale, e si rizzò come una
cavalletta, con una enorme foglia di fichidindia, con le spine lunghissime
penetrate nel sedere! Non rimasero neppure per il proseguo della cerimonia,
quelli del vicinato della Pianta dell’Olmo. Attraversarono il greto del
torrente di corsa: “ Gente malvagia, quella di Via Forraxeddu”! Andavano
ripetendo. E noi (di Via Forraxeddu) che colpa avevamo di tutto ciò?
Nel frattempo, Toro Seduto, assiso nel trono, con arco e frecce in mano,
in testa la corona di penne d’oca, aveva ripreso a ridere come uno scemo!
Peppe
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