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Paolo Frisi
L'alba di una grande stagione
Il 1700 si apre con la gigantesca figura di Paolo Frisi, sacerdote, scienziato, matematico, fisico, scrittore. Paolo Frisi è una delle glorie più alte di Melegnano. Su di lui vi sono ampie biografie e profondi studi, talmente il suo pensiero e la sua opera hanno impresso un segno incancellabile nella scienza e nella cultura del Settecento. Tra le diverse presentazioni biografiche, pur nella sintesi della sua vita, noi abbiamo scelto quanto scrisse di lui la studiosa Anna Maria Salini, in “Dizionario della Chiesa Ambrosiana”,  NED, Milano 1988, vol. II, pagg. 1288-1290. Ed ecco le sue parole:  “Frisi Paolo (1728-1784). Barnabita, matematico e scienziato. Nato a Melegnano da Giovanni Mattia e Francesca Magnetti nel 1728, frequentò le scuole Arcimbolde presso S. Alessandro e, molto presto, la Biblioteca Ambrosiana che conserva in sette codici moltissime sue lettere". Pur avendo studiato lettere, filosofia e teologia, per sua viva inclinazione di dedicò alla matematica, alla cosmografia fisica, all’idraulica in cui presto si distinse sia nel campo dell’insegnamento universitario a Pisa (1756-64), alle Scuole Palatine di Milano e a Bologna dal 1764, sia nelle dissertazioni scritte, che nelle applicazioni pratiche e scientifiche. Insegnò, però, anche filosofia a Lodi, a Casale Monferrato, a Pisa e alle Arcimbolde di Milano. Fu il primo a insegnare l’esistenza e l’uso del parafulmine e a introdurre l’uso del livello a cannocchiale e a negare l’esistenza della magia e delle streghe “non senza alcun pericolo - scriverà il Verri - e inquietudine” per via dell’Inquisizione. Ricevette riconoscimenti e premi per sue importanti dissertazioni, da quella Sul moto annuo della terra (1751) a quella Sull’elettricità del 1758, dal De gravitate universali corporum del 1768, alle Istituzioni di meccanica, d’idrostatica, d’idrometria e di architettura statica e idraulica... del 1777, dalle Accademie di Berlino, di Pietroburgo, di Londra. Fu insignito di medaglia d’oro dal re di Prussia, da Giuseppe II, dal re di Danimarca e fatto socio anche di altre Accademie: di Stoccolma, di Upsala, di Bologna, di Siena, di Lione. Compì parecchi viaggi in Lombardia, Piemonte, Toscana per incarichi da parte di principi e governi. Anche Clemente XIII nel 1760 si servì di lui per opere di idraulica e di sistemazione del corso del Reno e di altri fiumi. A Milano fu interpellato per la costruzione di un canale con Pavia e per progetti di navigazioni dell’Oglio e dell’Adda e di altri canali navigabili del milanese.  Fece anche un piano per la Specola di Brera e per il Collegio degli Ingegneri e si occupò anche del progetto di cui nel 1764 tutta Milano parlava, della costruzione della guglia maggiore del Duomo, esprimendo, però, come matematico esperto anche di architettura, parere negativo nelle Considerazioni di architettura, di fisica e di meccanica sopra la cupola del Duomo di Milano. Interessante e curioso in proposito il suo giudizio, riferito dal biografo Pietro Verri: “Mentre non è terminato il pavimento del Duomo, ma in parte è simile a quello di una stalla; mentre la facciata è fatta per metà, e per rimanente mostra un rozzo acervo di sassi e mattoni, pensare a profondere una cospicua somma di denaro all’ornamento dell’ultima sommità, era un errore di metodo per lo meno. Egli disse poi che non senza pericolo potevasi aggiungere un tal peso, che sarebbe stata facilmente fulminata quell’altissima torre; che avrebbe resa deforme la figura della Chiesa. Ora ciascun vede che egli aveva ragione, e che si sarebbe meglio fatto seguendo il suo parere. Ma allora per aver cercato coi suoi discorsi di impedire una deformità veramente ridicola fu esposto alla personale animosità di alcun Ingegnere, e di molti Patrizi”.   La sua opposizione poteva sembrare eccessiva, ma alla lunga riguardo alla statica non era proprio del tutto errata: lo hanno ampiamente dimostrato, dopo vari interventi precedenti, le imponenti e complesse opere di restauro sui quattro piloni del tiburio portate a termine nel 1986.  Sempre a Milano, Frisi collaborò alla rivista il  “Caffè”, con altri grandi riformatori lombardi come i fratelli Verri, C. Beccaria, G. R. Carli, e fu proprio lui, anche con i suoi viaggi a Parigi, Londra, Amsterdam, dove conobbe molti dotti - tra cui Diderot e d’Alembert - coi quali poi si mantenne in corrispondenza, a far da tramite tra gli illuministi dell’Italia settentrionale e i principali scienziati europei (Spallanzani, Lagrange, Condorcet...).  Nel 1768 fu a Vienna dove conobbe il cancelliere governativo Kaunitz che approfittò della fama da lui goduta per fargli scrivere anche di diritto canonico e sopra le controversie giurisdizionali tra Chiesa e Impero (Ragionamento sopra la potestà temporale dei principi e l’autorità spirituale della Chiesa).  Di ritorno a Milano, quando il Collegio Imperiale, dov’egli abitava, fu destinato ad altro uso, Frisi lasciò la congregazione, ma non l’abito: Pio VI, infatti, nel 1776 gli concesse la secolarizzazione. Diverso in proposito il giudizio di due suoi biografi barnabiti: il Boffito si rifà alla giustificazione addotta dal Verri, mentre il Premoli vi vede un’insofferenza, dopo i trionfi in campo scientifico, per “ogni dipendenza dai superiori”, per “ogni prescrizione della vita religiosa” perché “egli da tempo viveva più nel mondo che nel chiostro”.  Ma sarà compianto e onorato dai barnabiti, dopo la sua pia morte testimoniata da P. Racagni, avvenuta in Milano il 22 novembre 1784, con un monumento sepolcrale in Sant’Alessandro e una magnifica epigrafe esaltante i suoi meriti e il suo valore.  Meritevole di menzione pure l’elogio del suo amico Verri. “Egli coll’esempio, colle lezioni, cogli scritti fu il primo che scosse dal sonno la nazione... sostituì alle nozioni scolastiche le verità dimostrate; alle frivole questioni, la cognizione del cielo e dei fenomeni terrestri; all’araba dialettica, l’infallibile calcolo. Ne’ barnabiti si moltiplicarono i buoni studi, nelle città si dilatarono”.  Moltissime sono le opere da lui lasciate, oltre quelle sopra ricordate e quasi tutte pubblicate a Milano.  Ed ecco, qui di seguito, un elenco quasi completo delle sue opere:  
Disquisitio  in causam  phisicam  figurae et  magnitudinis telluris, (1751). Pubblicata   contro il volere dei superiori.
-   Del modo di regolare fiumi e torrenti, (1751).
-   Saggio morale di filosofia, (1755).
-   De motu diurno terrae, (1756).
-   Dissertationes variae,(1759). Dove  tracciò  le  linee  fondamentali di una  cosmologia
del tutto sperimentale. 
-   Del  modo  di  regolare  i  fiumi  e  i  torrenti,  principalmente  del  Bolognese e della
Romagna, (1762).
-   Saggio  sopra  l’architettura  gotica,  (1766).   Qui   Frisi   ritiene   erroneamente  che l’architettura gotica  fosse  l’arte  dei  Goti  e  dei  Saraceni,  continuata dagli architetti
tedeschi del secolo XIII, e dove egli tenta una descrizione dell’arte gotica.
-   De gravitate universali, (1768).
-   Della maniera di preservare gli edifizi dal fulmine, (1768).
-   Ragionamento  sopra  la  potestà  temporale  de’  principi e l’autorità spirituale della -  Chiesa, (1768). Dedicato all’imperatore d’Austria, Giuseppe II.
-   Dei canali navigabili, (1770).
-   Cosmographia, (1774). Tratta  della  composizione dei moti  rotatori al fine di rendere  più accessibile la dottrina dei movimenti della luna.
-   Elogio del Galileo, (1775). E’ un saggio   pubblicato  come articolo sul “Caffè” e  poi  ristampato  come   volumetto  a  parte.   Esso è  imperniato  sopra  un’accanita  polemica
contro i Gesuiti, che durerà  molto aspra per tutta la vita. E’ un’opera dove Frisi  versa   tutta  la sua cultura  e  la  sua  personalità.  E’  un’ esaltazione  alla  scienza, pur con il riconoscimento degli errori di Galileo.
Istituzioni di meccanica,  d’idrostatica,  d’idrometria, e  dell’architettura  statica  e  di  idraulica ad uso della Regia Scuola eretta in Milano per gli Architetti, e per gl’ingegneri, (1777).
-   Elogio del cavaliere Isacco Newton, (1778).
-   Elogio di Bonaventura Cavalieri, (1778).
-   Elogio di Tito Pomponio Attico, (1780). Nella figura del personaggio romano antico, letterato e storico, amante della cultura, amico di Cicerone, il Frisi incarna la persona e l’opera del cancelliere austriaco Kaunitz, che lo riteneva molto amico.
-   Dei conduttori elettrici, (1781).
-   Elogio di Maria Teresa, (1781). E’ una rassegna, ma anche un’esaltazione delle riforme operate nel regno dall’imperatrice. 
-   Dell’equilibrio delle cupole e delle volte, (1783).
-   Della meccanica, parte seconda che contiene l’applicazione ai fiumi, ai torrenti e ai canali navigabili principalmente d’Italia e di Lombardia, (1783). E’ una relazione tecnica dopo la visita a diversi fiumi d’Italia.
-   Elogio del signor d’Alembert, (1786). Uscito postumo. 
   Uno studioso del Frisi, il professore Arnaldo Masotti, ha raccolto alcuni scritti inediti di Paolo Frisi e li ha dati alle stampe. Essi sono i seguenti:
-   Poesie giovanili latine del Frisi.
-   Giudizio del Frisi sul trattato meccanico-geometrico di Giambattista Suardi.
-   Due lettere del Frisi sulla elettricità.
-   Brevi considerazioni sopra la cupola del duomo di Milano.
-   Piano scientifico per il regolamento del collegio dell’ingegneri, e architetti.
-   Una relazione inedita di Paolo Frisi sopra l’osservatorio di Brera.
-   Piano d’un’ Accademia scientifica, e letteraria.
Paolo Frisi, fu, dunque, nella corrente degli Illuministi. L’Illuminismo fu un vasto orientamento culturale che si sviluppò in Europa nel Settecento.  Era fondato sulla piena fiducia della ragione di spiegare il mondo e di risolverne i problemi di natura sociale e politica. Promosse una severa analisi critica di ogni forma di autoritarismo, scagliandosi in particolare contro l’assolutismo monarchico, l’aristocrazia feudale e certi aspetti della Chiesa. Favorì lo sviluppo in ogni campo del sapere.  Nel settore degli studi storici cercò di vincere l’opinione delle ipotesi provvidenzialistiche di stampo religioso e di combattere  la visione della storia come frutto della sola attività degli eserciti e dei sovrani. Il nuovo clima favorì pure l’emancipazione culturale della classe borghese, che ormai era diventata protagonista del mondo economico e commerciale e ansiosa di conquistarsi nuovi spazi anche politici. Fu la classe borghese uno dei fattori per la caduta del “vecchio regime” (Ancien régime) che ne determinerà  la dissoluzione violenta con la Rivoluzione francese. 

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